Divieti, coprifuoco e limitazioni sugli spostamenti individuali. E ancora, strategie di contenimento e ordinanze che vanno a modificare la vita quotidiana della popolazione. Ogni Paese colpito da Covid-19 sta cercando di affrontare a suo modo la conseguente emergenza sanitaria.
Per quanto la “fase uno” abbia - indistintamente - costretto a casa milioni di persone in Italia, le differenze economiche tra individui hanno inciso particolarmente sulla qualità dei giorni e delle settimane vissute in lockdown. Il virus, infatti, per quanto “democratico” nella scelta dei propri obiettivi, ha imposto e sta imponendo uno stile di vita particolarmente difficile per chi, ad esempio, si trova confinato in spazi ristretti o, addirittura, non ha un tetto sotto cui stare.
Situazioni di disagio in questi termini si sono riscontrate, ad esempio, nel
centro di accoglienza per richiedenti asilo di Airuno, dove nel pomeriggio di giovedì
ha avuto luogo una protesta da parte dei circa 80 ospiti della struttura dovuta proprio alla concentrazione di presenze che renderebbe difficile rispettare il distanziamento sociale e dunque proteggiersi dal contagio.
In una situazione decisamente migliore sta operando
l’associazione il Gabbiano, che sul territorio lecchese ha deciso di abbracciare una modalità di intervento differente rispetto a quella di Airuno. La Onlus, che opera in Lombardia dal 1983 ed è attiva in diverse province, ha deciso di puntare sull’accoglienza diffusa, andando così a lavorare in una ventina di appartamenti e in un centro di accoglienza dislocato a Colico.
Nel lecchese i ragazzi con cui Il Gabbiano lavora, fatta eccezione per i venti a
Colico, sono infatti alloggiati in appartamenti da sei persone circa ciascuno, dislocati tra
Calolzio, Olginate, Erve e Lecco.“Ci siamo attrezzati fin da subito per poter garantire ai nostri ospiti la possibilità di rimanere aggiornati sulle disposizioni ministeriali in merito all’emergenza sanitaria che, nel corso delle settimane, sono state varate dal governo: attraverso il lavoro di mediatori e traduttori abbiamo reso accessibili i decreti anche a chi non parla l’italiano” ci racconta
Emanuele Manzoni, un operatore della Onlus.
In quanto coinvolge operatori socio-sanitari, inoltre, l’associazione ha provveduto privatamente a fare scorte di guanti, disinfettanti e mascherine a partire dall’emanazione del primo decreto, verso la fine di febbraio, tant’è che “quando è scoppiata l’emergenza vera e propria le attrezzature e i dispositivi non sono mancati, né tra ospiti né tra operatori”, garantendo così la tutela di tutti gli individui coinvolti. La prefettura, poi, ha garantito l’accesso a 150 mascherine che, per ora, riescono a coprire l’intero fabbisogno dell’associazione e degli utenti.
“Per far fronte ai disagi causati dalla pandemia, l’associazione ha messo a disposizione un team di psicologi sia per gli operatori che per gli ospiti in modo tale da monitorare le situazioni”. I richiedenti asilo, come ci spiega Manzoni, sono doppiamente colpiti: “da una parte subiscono lo stress per il percorso che li ha condotti fino a qui” che, molto spesso, coinvolge traumi psicologici molto gravi, “e dall’altra sono costantemente in pensiero per le condizioni in cui versano le famiglie d’origine, rimaste lontane”.
A seguito delle disposizioni varate dal governo che limitano gli spostamenti, gli operatori hanno deciso di facilitare il più possibile l’accesso ai beni di prima necessità per gli ospiti degli appartamenti: “come ogni cittadino, i ragazzi hanno diritto ad uscire per comprare medicinali o per fare la spesa, ma abbiamo chiesto loro di stare a casa decidendo di portare loro i beni primari”.
Non tutti gli ospiti, però, sono costantemente in casa; alcune attività di volontariato, infatti, non si sono bloccate con l’arrivo della pandemia, a differenza di quelle con il gruppo di cittadinanza attiva e il piedibus di Olginate. “Quando è esplosa la pandemia alcuni dei richiedenti asilo hanno partecipato alla pulizia straordinaria del cimitero comunale fatta per Pasqua a Olginate”, mentre si cerca di valutare la possibilità di altre collaborazioni sul fronte del volontariato.
Anche dal lato dei dieci operatori coinvolti la situazione è piuttosto distesa: “è stato chiesto ad ognuno se ce la sentivamo di continuare a lavorare ‘sul campo’ o se avremmo preferito lavori da ufficio, ma in generale siamo tutti abbastanza tranquilli”, conclude Manzoni. Una tranquillità che, probabilmente, è dovuta al fatto che al momento non sono stati riscontrati casi positivi al Covid-19, grazie anche alle misure di contenimento adottate finora dall’associazione.
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