Come casso ghemo fato alora fin desso?

Alla prosopopea che ogni venticinque aprile porta inevitabilmente con sé, si aggiungono quest'anno anche le polemiche innescate dall'ondivaga posizione dell'A.N.P.I. a proposito della guerra in Ucraina, e dalle faziose esternazioni di un professore cui, a suo dire, le mamme di Mariupol scrivono direttamente perché si faccia interprete delle loro preghiere e faccia di tutto - lui - per fermare la guerra. Ah, queste coraggiose donne ucraine che lasciano i figli in lacrime ed escono dai bunker sotterranei sfidando gli sgozzatori ceceni e le bombe a grappolo putiniane per cercare di avere campo e inviare col loro cellulare delle mail a un docente della LUISS opinionista della Berlinguer! Che donne, che partigiane! Altro che l'Agnese che andava a morire!

Ho conosciuto abbastanza bene Antonio Caprarica per intuire quanti sforzi abbia fatto per rispondere con stile, senza evitare che la rabbia traboccasse, quando la provocazione del professore ha raggiunto vette parossistiche. "Mio nonno sotto il fascismo ha avuto un'infanzia felice", disse. Io che finora mi ero rifiutato di riabilitare il Ventennio nonostante i treni arrivassero in orario sto ora seriamente pensando di riconsiderare il mio giudizio storico in funzione della felicità dell'infanzia del nonno del professor Orsini.

È teoricamente vero che per dare un giudizio ponderato su un periodo storico occorre beneficiare di una certa distanza temporale, uscire dalla corrente, staccarsi sulla riva e osservare con equilibrio il corso degli eventi senza esserne immersi e sballottati. È altrettanto vero che ci sono state e ci sono epoche e fatti storici per i quali non sono giustificabili questi sofismi, perché il puzzo delle malefatte si sente da subito. Così è per l'aggressione russa all'Ucraina, e così fu per il fascismo.

Voglio dirlo con le parole di un semplice, di uno che non ha una cattedra universitaria, che non si fregia di alcun titolo professorale come io o il professore Orsini potremmo fare, ma che a noi, che siamo sempre vissuti dando per scontata la libertà, può insegnare davvero cosa sia:

"Che fai adesso lei, mi ride in faccia? E come si permette? Come dice? Che fino al giorno prima eravamo stati tutti fascisti?

Ah, certo. Come no? Ma prima, però. Adesso era un'altra storia. Cosa vuole che ne sapessimo noi prima, della libertà? Ma neanche che esistesse. Se lei nasce e fin da piccolo è abituato a stare attento a quel che dice, anzi, a ripetere sempre quel che affermano gli altri, se no chissà che succede... come vuole che le salti per la testa di uscirsene con un qualcosa di diverso? Neanche lo sa che si può fare. E se per caso vede una volta qualcuno che invece lo fa, subito pensa: «Quello è matto». Ma quando poi all'improvviso viene a sapere che c'è finalmente la libertà e che ognuno può dire quello che vuole senza che nessun altro glielo vieti o gli faccia qualcosa, lei permette che è un bel passo avanti che non se lo sarebbe nemmeno mai aspettato? «Ostia», si chiede lei: «Ma davvero posso dire quello che voglio? No ghe credo! Zurème che lìè vero! Come casso ghemo fato alora, maladeti nantri, fin desso?» e di colpo diventa antifascista".

(A. Pennacchi, Canale Mussolini. Parte seconda, Mondadori, Milano 2015, p. 109)

"Di colpo diventa antifascista", dice nel suo venetopontino flusso di coscienza la voce narrante del bellissimo romanzo di Antonio Pennacchi su Littoria (più bello questo secondo del suo primo). Mi chiedo cosa sia successo in questi anni dal 1945 al 2022 perché di fronte alle aberrazioni del fascismo si possa ancora pensare di essere revisionisti, ambigui, tiepidi, o semplicemente paraculi.

Stefano Motta
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