Le variabili interpretazioni dell'ozio

Enrico Magni
Con l'estate si spera sempre che la politica chiuda i battenti almeno per qualche settimana e che tutte le cose del mondo possano trovare una certa tranquillità, precipitando nella sana noia del far niente, come quando si sta sdraiati sotto l'ombrellone o sotto un acero di un rifugio.
E' un atto creativo passare del tempo nell'otium a pensare, coltivare l'orto, far crescere le parole e le piante come una medicina per il corpo e la mente.
Su Tung-Po diceva che: "Poter stare in ozio vale quanto essere potenti". La filosofia cinese, in questo caso, addolcisce la pillola: l'ozio è una condizione di benessere e di libertà. Non è vero che l'ozio è una condizione istigante dei vizi.
E' una visione moralistica, tayloristica, produttivistica, che risente di una concezione industrialista e calvinista. No, direbbe il grillo parlante di Pinocchio. Non è così.
Come dice Milan Kundera: «Nel nostro mondo l'ozio è diventato inattività, che è tutt'altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca».
L'otium è una condizione di benessere, è un tempo liberato dalla schiavitù del fare, è una condizione che può favorire la creatività. Oziare non vuol dire sognare a occhi aperti, è leggere un libro, giocare, incontrarsi con gli amici, andare a teatro, vedere un film, andare in Grigna.
Come dice Victor Hugo: «Un uomo non è ozioso se è assorto nei propri pensieri; esiste un lavoro visibile e uno invisibile».
Ma come tutte le cose, anche l'otium è una condizione riservata soltanto ai ceti che stanno bene. L'otium è un tempo ritrovato per sé e per gli altri e serve per confrontarsi con quello che offre la situazione in cui si vive.
Infatti, è facile confondere i poveri cristi, che dormono sotto i ponti, per i landroni, che stanno sulle panche con stracci, borse e puzzano, come oziosi, come persone che non vogliono lavorare, integrarsi.
La condizione dell'otium è un privilegio che va coltivato, assaporato e per poterlo gustare ci devono essere delle condizioni sociali, economiche e culturali.
Non c'è otium in tempo di guerra, non c'è otium nella carestia, nella fame, nella miseria perché non c'è un tempo ritrovato da gustare e da poter vivere come una condizione di stare in un tempo rassicurante.
La vacanza, il viaggio, la musica, il concerto, se non sono attimi di un tempo ritrovato e goduto, si trasformano in una nevrotica necessità di affogare, incorporare e recuperare un tempo mancato o perso. L'industria del turismo sollecita un tempo libero, che diventa un prodotto schiavo della produzione. Se l'otium diventa un oggetto produttivo esclusivamente economico allora non è più il tempo ritrovato per sé: quello che conta è sempre il mercato, il Pil.
La vacanza è uno spazio che va coltivato come otium, come un momento costruttivo e ricreativo per sé; è un tempo opportuno per sviluppare desideri sani di realizzazione. Per fare questo è necessario cercare di porsi al margine della giostra iperrealistica del godimento-consumo.
Per Seneca, l'ozio doveva essere anzitutto periodo di auto-miglioramento, non di dissolutezze.
Ecco perché stare in otium vuol dire essere potenti, perché non implica possedere l'oggetto offerto dal mercato del tempo mai liberato.
Dr.Enrico Magni
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