Lecco: andiamo nelle piazze a curiosare i vari menù

Settembre, è tempo di andare nelle piazze a curiosare i vari menu dei ristoranti per sbirciare i prezzi, scartabellare le proposte organolettiche e la tipologia culinaria per cogliere un segno, un sintomo della città. E, dopo avere fatto il giro della piazza centrale di Lecco, invasa di tavoli, tavolini, bicchieri, qualche piccione e una scultura di acciaio, dedicata a Carlo Mauri, con un femore con attorno la riproduzione della gabbia di ferro di Ilizarov, sobbalzano nella mente alcune considerazioni.

La più banale è quella dei prezzi: tendono all'alto. Non sono alla portata del ceto medio. Il turista passa una volta poi non ritorna. Il personale di servizio che serve ai tavoli è femminile, pochi sono i maschi: la cura è sempre affidata alle donne.
I menu raccontano di una cucina general generica. Non è tradizionale, non è mediterranea, non è regionale, non è locale, non è una nouvelle cousine, non è molecolare, non è la cucina Artusi, insomma, ci sono delle proposte vacue: di tutto e un po'.
In un menu compare la proposta di un piatto assurdo: "vitello tonnato antico". Basta sfogliare il Cucchiaino D'Argento per non trovarlo. L'attribuzione ‘antico' fa ‘sospettare' che la carne di vitello del tonnato sia post datato. Non esiste. Un piatto di spaghetti con le cozze va bene al mare non in piazza a Lecco. E' meglio un bollito misto tradizionale freddo in bellavista guarnito da una giardiniera in agrodolce, oppure un lavarello alla piastra, una trota salmonata in crosta. Il menu si può arricchire con altre proposte che però escludano i pizzoccheri che sono della Valtellina.
In sostanza dalla lettura dei vari menu emerge l'inesistenza di un filo rosso culinario. Oppure, si può dire, che quest'assemblaggio risponde, non all'idea di una cucina specifica, ma a una domanda culinaria generica, informale da parte degli ospitanti e degli ospiti.
Tutto questo è il sintomo di una mancanza della ristorazione locale che non sa proporre una cucina con dei piatti specifici ricorrenti di qualità ma preferisce stare sul generico, sul banale. Eppure, come diceva il filosofo Feurbach, se "L'uomo è ciò che mangia", allora i cibi proposti indistinti, scoordinati l'uno dall'altro, corrispondono a un cliente e a un ristoratore indifferenziato, senza un'identità.
Inoltre, è il segno di una mancanza di attenzione da parte dell'ospitante al gusto, al palato, al piacere della tavola come atto conviviale: tutto è consumato nell'arco di qualche decina di minuti.
La piazza come mensa comunitaria, come luogo di condivisione, incontro, agorà si è trasformata in un luogo in cui prevale la dimensione del consumo orale. E' una piazza sfuggente che corrisponde al tempo dell'aperitivo; è una piazza di passaggio, transito com'è il cibo proposto.
E' un'offerta culinaria poco attrattiva, indistinta. E' indispensabile proporre una cucina classica internazionale con piatti di richiamo locali. Creare una ristorazione che sia globale e locale.
Come il profumo delle madeleine di Marcel Proust che evoca un tempo passato quando andava dalla zia Leonia, che gli offriva le madeleine appena inzuppate nel suo infuso di tè o di tiglio. L'immagine di Lecco resterà nella memoria se sarà in grado di offrire all'ospite un cibo particolare in grado di colpire il suo apparato gustativo per essere fissato nella memoria.
Ci sono dei piatti identitari della zona che potrebbero essere proposti, ci sono nei testi storici, come "I Promessi Sposi" e non solo che propongono dei piatti interessanti, che andrebbero ricomposti e rivisitati; così ci sono dei vini della zona che vanno suggeriti con più convinzione.

dr. Enrico Magni - psicologo
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