PAROLE CHE PARLANO/143

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Mai

Perché mai dovremmo parlare di un termine che si mostra in tutta la sua semplicità di significato oltre che nella sua brevità? Ebbene, già in questa frase l’avverbio mai ci informa che è lì collocato in modo enfatico, come rafforzativo. Equivale a dire che potremmo anche toglierlo, lasciando invariato il senso della frase, che perderebbe, tuttavia, parte della sua potenza espressiva.

La cosa curiosa sta nella sua origine: dal latino magis, più, di più, da cui derivano termini ben più altisonanti come magistrato e maestro. Il piccolo mai nasce con questo significato, soprattutto unito all’avverbio non: “non mai” cioè “non più”. Poi però acquisisce altre accezioni come “nessuna volta” (non ti vedrò mai più, non ho mai mangiato così bene ecc.), “nessun tempo” (non mi è mai capitato di andare in America), e “qualche volta” (se mai ti capitasse, non avete mai usato questo avverbio?). Un piccolo oggetto grammaticale, insomma, che usato a dovere (potremmo dire come il prezzemolo o il cacio sui maccheroni, ma senza mai abusarne) ci permette di rendere espressivo come non mai il nostro linguaggio.

Rubrica a cura di Dino Ticli
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