PAROLE CHE PARLANO/165

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Lavandino, lavabo o lavello?

Non c’è dubbio: fra questi termini, lavandino è quello che usiamo maggiormente. Proviene dal verbo latino lavare che, posto al gerundio lavanda, significa “cose da lavare”. Immagino che a tutti sia venuta in mente anche la pianta aromatica detta appunto lavanda: il suo nome ha la stessa identica provenienza, era infatti molto utilizzata nell'antichità, in particolare dai Greci e dai Romani, per il suo profumo e per aromatizzare l’acqua in cui si immergevano per detergersi.

Il lavabo, pur derivando dallo stesso verbo lavare, è rimasto esattamente come il futuro del verbo latino col significato, quindi, di laverò. Per comprenderne l’origine, è necessario leggere il verso 6 del salmo 25 della Vulgata: Lavabo in innocentia manus meas, “laverò le mia mani nell’innocenza”. Questa frase viene recitata dai sacerdoti quando con gesto rituale si lavano le dita delle mani prima di celebrare l’Eucarestia (nel rito ambrosiano è facoltativo). Nelle sagrestie, poi, questa frase veniva spesso apposta presso i lavandini a memoria del gesto di purificazione. Ecco quindi che quel primo termine “lavabo”, cosa più unica che rara, da verbo è divenuto sostantivo, per indicare l’oggetto stesso in cui ci si lava.

Anche il termine lavello, il cui suono rimanda ancora giustamente al verbo lavare, ha una storia interessante. Deriva infatti dal sostantivo latino labellum (diminutivo di labrum, lavabrum), col significato di “piccolo bacino”, luogo dove ci si poteva lavare. Da esso proviene anche il nostro avello (che ha assunto questa forma perdendo la elle iniziale) che significa “arca sepolcrale”, “sarcofago”. Proprio la casuale somiglianza fra i lavelli e gli antichi sepolcri lapidei, spesso utilizzati in tempi successivi come lavatoi e abbeveratoi, ha portato allo strano intreccio fra i due termini.

Rubrica a cura di Dino Ticli
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