Lecco: un'intensa serata nel ricordo di Giulio Boscagli, uomo e politico

Tra il personale e il politico, il ricordo del già sindaco lecchese Giulio Boscagli, morto a 75 anni lo scorso mese di gennaio, ricordo voluto dal Comune nel corso di un incontro tenutosi ieri sera all’auditorium della Casa dell’Economia.
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Presenti in sala molti politici - e tra loro anche gli esponenti di un’altra stagione, quella di quattro decenni fa, compagni di militanza in quella che fu la Democrazia cristiana ma anche avversari - e naturalmente gli amici di Comunione e liberazione tra cui Roberto Formigoni, figura di spicco del Movimento fondato da don Giussani, per anni presidente regionale lombardo e cognato di Boscagli.
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Dopo l’introduzione del sindaco Mauro Gattinoni, hanno portato la loro testimonianza Vico Valassi, imprenditore ma anche figura di primo piano della vita pubblica locale, ex presidente della Camera di commercio e ancora di Univerlecco; Giuseppe Conti, oggi primo cittadino di Garlate ma quarant’anni fa capogruppo consiliare lecchese del Pci; Filippo Boscagli, di cui Giulio era zio, e ora consigliere comunale per Fratelli d’Italia; Gigi Riva, giornalista e amico di Giulio.
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La conclusione è stata invece della moglie Annamaria Formigoni. Da parte sua, il prevosto don Davide Milani, in questi giorni a Roma, ha inviato un proprio messaggio, tratteggiando un «Giulio politico e un Boscagli cristiano: l’uno non poteva fare a meno dell’altro».
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Mauro Gattinoni

Il sindaco Mauro Gattinoni ha voluto dare carattere istituzionale alla serata. Presente il gonfalone del Comune, egli stesso si è presentato in fascia tricolore: «La sede naturale di questa iniziativa sarebbe stata la sala consiliare del municipio, che però non sarebbe stata in grado di contenere tutte le persone». Il primo cittadino ha offerto tre spunti di riflessione: oltre a quelli di carattere personale, l’attenzione è stata rivolta all’evoluzione della città e al lavoro di sindaco.
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Proprio quando Boscagli era alla guida del Comune, negli anni Ottanta, Lecco ha vissuto una trasformazione epocale, anche traumatica. Una trasformazione che fu possibile accompagnare con la mediazione e l’intelligenza, e «quella trasformazione è ancora in corso, mentre in questi quarant’anni non è cambiata solo la città, ma anche i cittadini: oggi il 10% è di origine straniera, la famiglie sono costituite da 2,4 persone, ogni cento ragazzi ci sono 198 anziani». Ciò significa un mutamento di prospettiva, e «gli investimenti che oggi facciamo per sviluppare la città non sono rivolti ai turisti, ma ai residenti, perché siano contenti di vivere qui» e per avviare politiche che evitino la fuga dei giovani per i quali Lecco «potrebbe dimostrarsi espulsiva».
A proposito del “mestiere” di sindaco, la distanza tra quarant’anni fa e oggi è abissale: Boscagli è stato l’ultimo eletto con la vecchia legge, quando i cittadini non sceglievano direttamente il primo cittadino bensì il solo consiglio comunale all’interno del quale veniva stabilita la guida del municipio. Oggi c'è quindi l’apparenza di una partecipazione maggiore, che in realtà è minore come del resto dimostra l’astensionismo in crescita. Allora, il dialogo e il confronto continuo erano obbligati; oggi che la legge dà più forza al sindaco eletto, il peso delle minoranze è compresso, così come il ruolo delle associazioni, e «se la partecipazione è limitata perde l’anima e ciò, per le occasioni che abbiamo avuto di parlarne, era ben vivo nel pensiero di Giulio Boscagli».
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Nel suo intervento, Gattinoni ha voluto portare l’attenzione della platea sul gonfalone comunale con la medaglia d’argento per i valori resistenziali che nel 1976, in una cerimonia allo stadio, venne consegnata da Sandro Pertini, allora presidente della Camera e in seguito della Repubblica.
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Con un motivo ben preciso che ha esplicitato poi Gigi Riva: «Una medaglia per la città, una medaglia per tutti. Allora sembrava che la Resistenza avesse un solo colore, ostracizzando il ruolo dei cattolici nella lotta di Liberazione. In quell’occasione, fu proprio Boscagli a mobilitare i vecchi partigiani delle Fiamme Verdi e tanti altri per contrastare quel giudizio: sfilarono per la città ed entrarono allo stadio tra i dischi dell’estrema sinistra».
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A ricordare a Boscagli la visita di Pertini a Lecco, c’era anche un quadro che gli aveva regalato un pittore albanese trasferitosi a Milano, Ibrahim Kodra: raffigura il presidente con una colomba. Il già sindaco lo avrebbe voluto regalare alla città e prossimamente – ha annunciato Gattinoni – sarà appeso al centro civico di Germanedo che proprio a Sandro Pertini è intitolato.
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Gigi Riva

Riva ha inoltre tratteggiato un ritratto del Boscagli non ancora sindaco: cresciuto all’oratorio San Luigi, quello della parrocchia di San Nicolò, poi l’incontro con don Giussani «che ci ha cambiato la vita», il liceo, i giornalini di Gioventù studentesca, l’Università e la Laurea in fisica e poi la scelta di lavorare all’Unità di transizione, così si chiamava un centro culturale che era anche di elaborazione politica e «che ha sfornato proposte a tutto campo, a volte anticipatrici». E poi le scuole e una cooperativa di consumo «che fu un gruppo d’acquisto ante litteram», fino ad arrivare all’attività nella Democrazia cristiana attraverso quel Movimento popolare che era l’espressione politica di Comunione e liberazione: «Per lui iniziò una nuova stagione e lo stile adottato all’Unità di transizione informò anche la sua attività politica alla quale ha continuato a guardare anche quando si è ritirato e negli ultimi tempi diceva: se c’è una speranza dobbiamo trovarla in quel popolo che le élite politiche e l’informazione non guardano, nell’imprenditore che manda avanti l’azienda, nel lavoratori che ogni mattina si svegliano, nelle famiglie che faticano tra mille difficoltà».
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Vico Valassi

Vico Valassi e Conti si sono soffermati proprio su quegli anni Ottanta, quelli della trasformazione cittadina. L’imprenditore edile ha detto: «In quei tempi si delineava la voglia di una nuova città», furono predisposti dieci piani di ristrutturazione urbanistica relativi ad alcune vaste aree che erano appunto lasciate libere dalle dismissioni della grande industria. «Noi – ha proseguito – abbiamo sempre avuto sindaci rappresentativi e capaci. In alcuni momenti, magari, la situazione era più difficile perché la società civile non rispondeva». In particolare, Valassi ha ricostruito l’arrivo del Politecnico a Lecco, cominciando con pochi corsi sistemati in corso Matteotti: «Boscagli era una persona per bene. Con lui il confronto era sereno e ciò dipendeva anche dal suo carattere: non diceva sempre sì o no, ma quello che pensava giusto».
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Giuseppe Conti

Per Giuseppe Conti quegli anni Ottanta furono uno spartiacque: «Boscagli fu l’ultimo sindaco democristiano. Io l’ultimo segretario provinciale del Partito comunista. Quando Boscagli divenne sindaco, nel 1986, avevo 30 anni ed ero capogruppo consiliare del Pci. E siamo stati insieme pur su diverse barricate. Eravamo espressione di due mondi politici diversi che in quei periodi ebbero alcune consonanze. C’erano attenzione e rispetto: ascoltare l’altro era una dote e non una perdita di tempo. Boscagli ha sempre garantito il confronto anche se nessuno faceva sconti. Guardando la politica di oggi fatta di insulti personali, misura la distanza abissale da allora».
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A proposito della trasformazione urbana, Conti ha ricordato: «Fu qualcosa di epocale. Oggi sappiamo com’è andata. Ma allora c’era un grande punto interrogativo. Chiudevano fabbriche con migliaia di operai che erano state per anni una certezza. Assieme c’era la consapevolezza che occorressero scelte decisive. Allora, la Dc governava con il Psi e anche le consonanze tra Dc e Pci contribuirono alla crisi politica e al commissariamento del Comune. Io non sono se eravamo meglio o peggio, ma abbiamo vissuto tempi irripetibili e, come diceva anche Giulio Boscagli, potevamo anche pensare che un mondo migliore fosse possibile».
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Filippo Boscagli

A seguire è toccato a Filippo Boscagli parlare dello zio Giulio, non solo come di un parente ammirato, ma anche di un maestro politico, sottolineando come per lui la politica fosse inscindibile dai rapporti di amicizia, come ricordasse continuamente che «l’importante è avere punti di riferimento precisi perché fare politica è appartenere a una parte di popolo; è stato un maestro per come viveva la realtà di quel momento, considerava l’attività politica dentro una storia più generale. La storia l’amava, la storia locale, i rioni, ed era anche un modo per indirizzare meglio la propria attività politica, fatta per vocazione e quindi così diversa da quella portata avanti per professione o per hobby o passione. Sentiva l’importanza della presenza cristiana e non lui non poteva abdicare. Credo che il punto più alto sia stato quando, nel 2012, decise di non ricandidarsi più: era capogruppo in Consiglio regionale del partito più forte e poteva certo restarvi o ambire a un seggio in Parlamento. Ma decise di ritirarsi, senza essere in pensione e senza avere garanzie per il suo futuro. Una coerenza totale».
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Annamaria Formigoni

Infine, il saluto di Annamaria Formigoni che ha ringraziato per una serata «che ha permesso di allargare il nostro modo di vedere Giulio e in maniera non scontata. Diceva, citando una frase di papa Ratti, che la politica è la prima forma di carità. Amava ciascuno e cercava di dare spazio a ciascuno. Non era uno che si imponeva (e forse è per quello che ci siamo trovati…)».
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D.C.
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