Mosca: la strategia del terrore letta in chiave psicologica

L’attentato al Crocus City Hall, con 133 morti e 152 feriti, di questo grande centro commerciale multifunzionale, segno dell’onnipotenza della grande Mosca, non meno di New York o di Dubai, fatto da sei terroristi ceceni dell’Isis, va inquadrato dentro il processo di ridefinizione degli equilibri geopolitici e della psicologia di massa. Nel saggio Frammentazioni, psicologia politica e globalizzazione (Psiconline Edizioni), da poco pubblicato, mi sono interrogato sui conflitti della società global e post global. Questi atti di terrorismo si iscrivono all’interno di questa frammentazione geopolitica e psicologica.

In tutte le grandi città, la struttura urbana è costituita da spazi aggregativi, piazze, stazioni, luoghi di culto, stadi, centri commerciali, discoteche; l'insieme di queste parti compongono lo spazio sociale in cui individui di ogni generazione, razza si incontrano, si scambiano parole e socializzano. Il  Crocus City Hall è uno di questi luoghi. È una struttura in cui si sviluppano riti sociali, commerciali, ludici, informali, amicali, è l'angolo dell'incontro, del divertimento, del tempo libero, del battesimo sociale.

Nei secoli trascorsi nelle piazze si sono consumati riti di iniziazione, sacrifici, si sono impiccati traditori, rivoluzionari, si sono bruciate streghe, si sono emesse pubbliche sentenze, si sono celebrate le effigie della violenza e del potere.

Da sempre l'omicidio pubblico porta il volto del terrore, comunica che può uccidere in qualsiasi luogo ed è in grado di colpire quando e come vuole, generando terrore, paura e angoscia. Gli atti terroristici nelle stazioni, sui treni, nei luoghi di culto, nelle sale da concerto, nei centri commerciali e nei mercati servono per far proliferare paura, angoscia, insicurezza e instabilità.

Qualche anno fa gli attentati terroristici si sono verificati in luoghi pubblici all’aperto: piazze, stazioni, mercati. Gli attuali attentati si svolgono in spazi chiusi (discoteche, auditori), vogliono simbolizzare che non esistono luoghi protetti da confini, mura, limes. L’uccisione all’interno delle mura evidenzia la fragilità della claustrofilia, della conservazione, della sicurezza e che è possibile colpire la pancia del potere.

A giocare a vantaggio alla macchina del terrore è l’apparato scenico amplificato in tempo reale del media, che genera uno stato di angoscia indistinta che condiziona le masse, le pratiche della quotidianità e della condivisione. Il contenitore protettivo da amico diventa nemico causando terrore, insicurezza, diffidenza e fa emergere dal profondo dell'inconscio collettivo la parte psicotica con azioni distruttive. Il potere amico diventa nemico.

Usando una classificazione del Federal Bureau of Investigation (FBI), i sei terroristi potrebbero essere classificati dei mass killer. Il mass killer è l'omicida che in un'unica azione uccide più individui. Il mass killer resta nell'ombra fino all'ultimo momento, si mimetizza nella quotidianità, si sottrae al pubblico, mantiene un tono basso, si comporta come un solitario, evita di farsi notare fino all'ultimo, si colloca in una posizione marginale: è tendenzialmente un solitario.

É un terrorista sociale che elabora un pensiero persecutorio nei confronti delle istituzioni distorcendo e deformando la dimensione religiosa, etnica, politica, sociale e culturale. L’azione omicidiaria del mass killer si sviluppa all’interno di un ambiente sociale, religioso, politico, culturale ed economica. Per il mass killer uccidere più persone rappresenta l'appagamento di un bisogno megalomanico e narcisistico. É solo attraverso l'impotenza-onnipotenza della morte che riesce a realizzare il bisogno di essere parte di un grande sogno.

      In La psicologia delle Folle, Gustave le Bon sostiene che il sentimento di potenza sottomette la responsabilità. Il terrorista per ottenere il successo si richiama all'appartenenza, all'identità ereditaria, alla razza, alla religione identitaria del bene contro il male. Tutto questo genera vendetta e altro terrore.   
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista
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