2 aprile 2014: dieci anni fa scoppia la bomba 'Metastasi'. 'Enorme fragore, cratere ridotto ma macchia indelebile'

Dieci anni fa, il 2 aprile 2014, il Gico della Guardia di Finanza di Milano dava esecuzione a dieci ordinanze di custodia cautelare in carcere a seguito di un’inchiesta della Dda di Milano coordinata dai pm Claudio Gittardi e Bruna Albertini.
Tra loro Mario Trovato, fratello dell’ergastolano Franco, il suo storico autista Alessandro Nania e altri personaggi legati – nella ricostruzione degli inquirenti - alla ‘ndrangheta lecchese.
Ma a fare davvero scalpore fu il coinvolgimento nell'inchiesta poi etichettata come “Metastasi” di due politici locali ed esponenti del Partito democratico: Marco Rusconi, allora sindaco di Valmadrera ed Ernesto Palermo, consigliere comunale di Lecco nel primo mandato Brivio, ritenuto essere uomo della famiglia Trovato. 
Associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, corruzione e turbativa d’asta, i reati contestati, a vario titolo, agli indagati.
I fatti al centro dell'attività investigati riguardavano, tra le altre cose, il chiosco avviato sul Pratone di Paré e il bando di gara a evidenza pubblica promosso dall'amministrazione comunale per la sua gestione. Nell’aprile 2011 era risultata vincitrice la ''Lido di Paré Srl''. Società che, secondo l’impianto accusatorio, era riconducibile a Mario Trovato e che aveva avuto un “vantaggio” nella gara grazie all’aiuto del sindaco Rusconi, “coinvolto” dall’intermediazione di Palermo. Un procedimento amministrativo sul quale era poi piombata un’informativa atipica della Prefettura, che segnalava dei “contatti” tra alcuni soci ed esponenti della ‘ndrangheta.
Abbiamo ripercorso fatti e “conseguenze” con Duccio Facchini, giornalista e animatore del gruppo Qui Lecco Libera.
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Duccio Facchini
Da tempo Qui Lecco Libera si occupava di mafia a Lecco, interloquendo in particolare con le amministrazioni comunali per sensibilizzarle sul tema. Che cosa hai pensato quando hai avuto la notizia degli arresti?
La prima reazione fu di profondo shock e preoccupazione per la gravità che dai primi riscontri che emergevano in quelle ore aveva assunto il radicamento mafioso nel nostro territorio. Quel giorno ero in redazione a Milano, appena appresa la notizia salì sul primo treno e tornai a Lecco. Se non ricordo male quel giorno facemmo una prima manifestazione di fronte a Palazzo Bovara perché da quello che era già trapelato sulla stampa emergeva un grosso problema al Comune di Lecco. In quelle ore mi misi in contatto con fonti e colleghi giornalisti esperti di cronaca giudiziaria per recuperare le prime carte dell’indagine e iniziare a capirne di più.

Da subito si era capito che si trattava di una cosa grave, ti saresti aspettato, allora, una vicenda del genere nel lecchese e il coinvolgimento di importanti esponenti politici locali?
In quel momento, per quel che se ne sapeva, per le accuse e il ruolo che poteva essere stato svolto da personaggi legati alla criminalità organizzata lecchese, di per sé non era una cosa inedita, da anni cercavamo di sensibilizzare il territorio sulla ultratrentennale presenza della ‘ndrangheta, Metastasi arriva 22 anni dopo gli arresti di Wall Street, con in mezzo numerose altre operazioni antimafia. Per dire che la reazione non fu di meraviglia.

In che senso?
Prendiamo il caso dell’allora consigliere comunale lecchese del Pd Ernesto Palermo, che a conclusione del processo è stato condannato in Cassazione nel 2019 a 10 anni e 4 mesi per associazione mafiosa. Ben prima degli arresti, come testimonia anche un video pubblicato sul sito di Qui Lecco Libera (http://www.quileccolibera.net/2014/04/02/dopo-gli-arresti-per-ndrangheta/), nello studio del primo cittadino lecchese gli manifestammo esplicitamente le nostre preoccupazioni nei riguardi del personaggio.
Non serviva certo un indovino per accorgersi di atteggiamenti, comportamenti, modalità relazionali del soggetto a dir poco delicate. La vicenda e il suo epilogo, che ha retto fino alla Cassazione, dimostra chi aveva ragione e chi torto nello stigmatizzare un comportamento, nella migliore delle ipotesi superficiale, nella selezione del ceto politico da parte degli allora alti rappresentanti della politica locale. 
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Marco Rusconi (nel riquadro) e la fiaccolata organizzata in sua solidarietà

Un grosso interrogativo riguarda Marco Rusconi, l’allora sindaco di Valmadrera: 36enne, conosciuto all’interno della comunità per il suo impegno in campo sociale e politico. Il suo arresto fu accolto con sgomento e incredulità, a Valmadrera in quattrocento scesero in strada per una fiaccolata in segno di solidarietà. Che idea ti sei fatto sul suo coinvolgimento?
 
Premessa. Come Qui Lecco Libera negli anni del nostro impegno antimafia abbiamo realizzato tra le tante altre cose delle vere e proprie mappe della ‘ndrangheta a Lecco e provincia. Quel materiale fu, ed è ancora, preziosissimo, con tanto di fotografie, storie, biografie, fatti, luoghi, indirizzi. Lo portammo nelle scuole e lo portammo anche nei Comuni. Valmadrera fu uno di questi. Ricordo ancora, ben prima degli arresti, l’incontro con Marco Rusconi per proporgli di organizzare anche a Valmadrera un’occasione di dibattito sulla storia e sul presente degli interessi mafiosi nel lecchese. Fu un incontro cordiale, per cui ci rimasi veramente male nello scorrere gli atti di quella indagine perché al di là dei rilievi penali, elementi che per noi di Qui Lecco Libera sono sempre stati secondari rispetto alla gravità dei comportamenti politici, emergeva una colpevole leggerezza, a dir poco, nell’approcciarsi a personaggi e a modalità di gestione della cosa pubblica del genere. 

Marco Rusconi è stato condannato in via definitiva a due anni per turbativa d’asta (pena sospesa e non menzione) e non per corruzione come inizialmente ipotizzato dagli inquirenti. A livello politico naturalmente ha pagato il suo errore: si è dimesso dalla sua carica e ha rinunciato alla già annunciata candidatura per il bis. A livello professionale è andata diversamente: pochi mesi dopo il suo arresto è stato nominato membro dello staff della direzione generale di Idroservice, la Srl pubblica che all’epoca si occupava del ciclo idrico integrato e che oggi si è fusa con Lario reti holding, altra società partecipata dai Comuni, dove ricopre l’incarico di dirigente della Divisione ingegneria. Pochi mesi fa in questa veste è intervenuto in una commissione del Comune di Lecco per spiegare gli investimenti della società sulla rete idrica della città. Che effetto ti fa tutto questo?
Marco Rusconi è stato condannato e, Costituzione alla mano, ha tutto il diritto di ricostruirsi una dimensione e superare quella fase disastrosa che ha attraversato. Sono convinto che nella vicenda Metastasi lui e la sua condotta colpevolmente ingenua abbiano parato la schiena di tanti improvvisati consiglieri che lo hanno nei fatti mandato al massacro. Ricordo con disagio alcuni personaggi della politica locale che, dopo averci sfottuto chiamandoci “magistrati in erba” per il semplice fatto che raccontavamo ai cittadini quanto accaduto, arrivarono a festeggiare la sua “semplice” condanna per turbativa d’asta e non per corruzione, facendo finta di tifare per lui quando in realtà tifavano per loro stessi. Inoltre anche sotto il profilo umano, indipendentemente da ciò che si ha commesso, credo sia una sberla forte essere arrestati nel cuore della notte di fronte alla propria famiglia.
Detto tutto questo, fossi stato in lui e in coloro che hanno assunto la decisione di quella nomina, avrei fatto altre scelte che ritengo più opportune per il messaggio che si dà ai cittadini. 
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Ernesto Palermo (in primo piano), sui banchi del consiglio comunale di Lecco

Nelle vostre analisi dell’epoca un grosso spazio avevano occupato le riflessioni sull’allora sindaco di Lecco Virginio Brivio (http://www.quileccolibera.net/2014/09/19/metastasi-la-versione-di-brivio-ai-pm/). Dipinto dalle prime cronache come un consigliere un po’ ingenuo dell’amico/collega Rusconi che si era cacciato in un pasticcio, dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione ne era uscito con un ruolo, seppur penalmente irrilevante, ben diverso.

Senza dubbio l’approfondimento dei comportamenti dell’allora sindaco di Lecco da parte nostra è risultato indigesto a tanti, eppure erano le carte, le sue stesse dichiarazioni contraddittorie, insomma era la realtà a parlare. Noi eravamo semplicemente dei megafoni.
A conferma della nostra totale buona fede nei suoi riguardi, cito un episodio successivo agli arresti quando andammo una sera fuori dal Teatro della società per cercare di capire direttamente da lui che cosa stesse succedendo (http://www.quileccolibera.net/2014/04/04/brivio-mediatore-la-difesa-del-sindaco-di-lecco/), perché alcuni giornali nazionali che avevano già in mano le carte dell’inchiesta andassero giù così pesanti nei suoi confronti. Noi volevamo capire da lui e in quella, come in altre occasioni, la sua ricostruzione dei fatti fu a dir poco incoerente. Poi fu tirato su un muro.
Un’altra immagine triste che mi porto dietro è quella di tre consiglieri comunali disposti a mo’ di soldatini-censori di fronte a un nostro striscione esposto nel cortile di Palazzo Bovara durante il 25 aprile di quell’anno: recava la frase di Simone Weil, “Non essere complici, non mentire, non restare ciechi”. Per dire del clima di omertà che aveva contagiato alcuni, per fortuna sparuti.
A dieci anni di distanza personalmente rifarei esattamente le stesse cose e denuncerei esattamente gli stessi comportamenti, soprattutto quelli penalmente irrilevanti ma politicamente inaccettabili. Mi dispiace per le lacerazioni che ne seguirono e anche per la rottura di alcuni rapporti umani però resta il fatto che noi avevamo ragione e lui torto.

Il fulcro di questa vicenda era rappresentato dal pratone di Paré. Con il senno di poi, un affare modesto, visto anche i capi di accusa che si erano scomodati. In un’intervista (https://www.quileccolibera.net/2014/04/21/metastasi-intervista-a-vincenzo-e-angelo-musolino/) che all’epoca avevate fatto a Vincenzo Musolino, cognato di Franco Trovato, nonché personaggio chiave dell’inchiesta Wall Street dei primi anni Novanta, lui stesso aveva “ridimensionato” la vicenda e sminuito il ruolo e il potere simbolico del “ritorno sulla scena” di Mario Trovato. Che cosa ne pensasti allora e che cosa ne pensi oggi?
In parte è una cosa vera e in parte no. Mi spiego, che l’inchiesta Metastasi sia esplosa con un enorme fragore lasciando poi un cratere abbastanza ridotto, come diceva giustamente Musolino, persona dallo sguardo appuntito a questo riguardo, è indubbio. Metastasi non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che fu l’inchiesta “Infinito” dell’estate 2010, quella della Perego Strade, per capirci. Altre proporzioni, altro livello, altro cratere. Dall’altra parte però come abbiamo raccontato in quegli anni accedendo proprio alle carte dell’inchiesta sostanzialmente nella loro interezza, sotto la superficie di Metastasi c’era un vero e proprio mondo oscuro, squalificato e sul ciglio del codice penale. Rimando su questo a tutti i nostri articoli e denunce, con fatti che andavano dall’ospedale di Lecco fin in Corso Promessi Sposi.
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Un momento del funerale di Mario Trovato (nel riquadro)
Mario Trovato, era stato condannato a 15 anni e mezzo di carcere ed è morto prima di finire di scontare la sua pena. Che cosa resta oggi di quel mondo?
Resta Franco Trovato e la sua storia criminale (http://www.quileccolibera.net/2017/09/04/arresto-trovato/), mai nei fatti eguagliata, all’ergastolo e in regime di carcere duro dal 1992. E purtroppo devo dire che resta una sottovalutazione un po’ ipocrita e un po’ interessata dell’influenza dell’economia criminale nella ricca Lombardia. Mi sembra che se ne parli molto meno.

In definitiva, che cosa rappresenta oggi Metastasi? Qual è il lascito di questa inchiesta sul territorio?
Dieci anni dopo possiamo dire che è una macchia indelebile e che ha mostrato però chi praticava una rigorosa antimafia per convinzione e chi invece una light per convenienza, per tagliare qualche nastro, per lavarsi la coscienza. 

Oltre alla macchia, ci sono stati risvolti positivi?
Sì, in questi dieci anni quasi tutti i rapporti che si erano raffreddati per le questioni sopra riassunte si sono in qualche modo riavvicinati. Come se ci fosse stato un riconoscimento reciproco, a parte poche e sopportabilissime eccezioni. Ho il rimorso di non essermi mai chiarito e in qualche modo “ritrovato” con Paolo Cereda, che fu tra gli animatori di Libera qui a Lecco e con il quale ebbi personalmente degli scontri durissimi, soprattutto sul recupero della ex pizzeria Wall Street. È scomparso troppo presto, il territorio ha perso un motore di cose e di passione.
Ci tengo a citare però un episodio amaro ma dai risvolti positivi. In quel periodo ci beccammo tanto fango ma non querelammo mai. Lo facemmo solo una volta, nel caso di un assessore della prima giunta Brivio che si era reso protagonista sui social di frasi diffamatorie nei confronti di Qui Lecco Libera e di chi ne faceva parte. Persone perbene, che ci avevano messo la faccia. Inclusa la nostra indimenticata Marika Ara, che salì insieme ad altri sul palco della Sala Ticozzi in una serata memorabile per leggere senza paura alcuni estratti dell’ordinanza di custodia cautelare. Bene, il personaggio ci diffamò malamente e da quell’ottusa voglia di difendere l’indifendibile è fruttato un simbolico risarcimento di 3mila euro che abbiamo integralmente fatto devolvere a una organizzazione non governativa che si occupava e si occupa ancora di salvare le vite nel Mediterraneo. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori.
Manuela Valsecchi
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