Oliveto: una condanna e una assoluzione per l'infortunio costato la vita a un operaio

Una condanna e un'assoluzione. Si può sintetizzare così la sentenza pronunciata stamani in tribunale a Lecco dal giudice in ruolo monocratico Paolo Salvatore, in relazione al procedimento penale che trae origine dall'infortunio mortale verificatosi nel luglio 2017 a Oliveto Lario. Qui l'operaio 50enne Lirim Djaferi, di origine macedone, rimase coinvolto in un drammatico incidente che non gli lasciò scampo, travolto da un muro di contenimento ''sbriciolatosi'' in maniera improvvisa ed inaspettata, come è stato ricordato più volte stamani in aula, durante la discussione che ha chiuso l'istruttoria dibattimentale.
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Il luogo in cui è avvenuta la tragedia
A processo, a seguito degli accertamenti condotti da Carabinieri, Ats e coordinati dalla Procura della Repubblica di Lecco, erano finiti il datore di lavoro della vittima e l'allora responsabile della sicurezza della società che aveva in gestione l'immobile. Scenario della tragedia il parco dell'ex casa di riposo dell'ATM di Milano, a poche ore dall'avvio di un primo intervento finalizzato allo sfalcio della fitta vegetazione che, cresciuta rigogliosa negli anni, aveva coperto camminamenti e muri, perfino quello crollato sull'operaio, provocandone la morte. A nulla infatti, era valso il tempestivo intervento dei soccorritori del 118 portatisi sul posto per prestare al 50enne le prime cure del caso.
Stamani il processo è giunto alle battute finali; prima della discussione è stato escusso il dottor Riccardo Falco, consulente di una delle difese. Nel suo intervento il professionista ha spiegato di aver svolto un sopralluogo nella vasta proprietà in cui si era verificato l'infortunio, prendendo visione anche dei frammenti di muro crollato. Un manufatto in cemento non armato che poggiava su un secondo muro realizzato in sasso; a colpire il consulente la mancanza di un ancoraggio che tenesse insieme le due strutture, circostanza definita ''incredibile'' dallo stesso teste. ''E' strano che quel muro abbia retto così tanto. In ogni caso sarebbe caduto prima o poi'' ha detto il dottor Falco. La sua pericolosità avrebbe potuto emergere soltanto a fronte di un'analisi approfondita, ''toccandolo''. A prima vista non se ne notavano le problematiche; in ogni caso per il consulente non si trattava di una materia di competenza del datore di lavoro della vittima (uno dei due imputati) che era appunto intervenuto per ripulire l'area dalle sterpaglie presenti, liberando così un camminamento che era stato coperto, nel corso degli anni, dalla vegetazione.
Chiusa l'istruttoria, spazio alla discussione, apertasi con la requisitoria del vice procuratore onorario Caterina Scarselli. Nel rilevare l'assenza di un vero e proprio cantiere quando si verificò l'infortunio mortale (si era in una fase preliminare, con lavori di pulizia dell'area propedeutici all'intervento edilizio vero e proprio), il PM ha altresì evidenziato l'impossibilità di stabilire le condizioni di pericolo del muro, coperto sino a quel momento dalla vegetazione. Una condizione strutturale eventualmente imputabile - a detta del vpo - ad un problema di manutenzione precedente. Da qui la richiesta di assoluzione dei due imputati poichè il fatto non sussiste.
Sulla stessa linea la posizione dei difensori dei due imputati, che uno alla volta si sono battuti per dimostrare l'estraneità dei rispettivi assistiti dai fatti che venivano loro contestati. Entrambi hanno specificato - fra i vari temi affrontati in discussione - come il muro fosse crollato in maniera imprevista ed imprevedibile, per cause non imputabili alle parti. Il sito appariva - sino ai fatti contestati - in sicurezza nel punto in cui si verificò l'incidente poichè un precedente distacco datato maggio di quello stesso anno, si era registrato in un'altra zona della proprietà, ad una distanza di almeno 200 metri dal luogo del sinistro.
Ritiratosi in camera di consiglio, il giudice si è espresso però diversamente nelle sue conclusioni: assolto il datore di lavoro della vittima, è stato invece condannato a 5 mesi e 10 giorni (con il beneficio della pena sospesa) il professionista finito a processo, che non avrebbe ottemperato agli adempimenti connessi alla sicurezza del sito, seppur in una fase ancora preliminare dell'intervento edilizio previsto e in fase di progettazione.
G.C.
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