Avrebbe dovuto fare ritorno al villaggio di Moespur, nel Nord-ovest del Bangladesh, il prossimo 20 settembre, invece il missionario olginatese padre Pierfrancesco Corti si tratterrà in paese più a lungo a causa di alcune cure cui dovrà sottoporsi. Un imprevisto che non ha intaccato il suo entusiasmo nella gestione della missione del Pime che guida da 4 anni, e in cui spera di poter tornare al più presto.

Padre Pierfrancesco Corti
Lo abbiamo incontrato nell'abitazione di famiglia a pochi passi dalla chiesa, dove ci ha raccontato di una realtà che dallo scorso autunno, in seguito agli attacchi nei confronti di occidentali culminati nella strage dello scorso luglio a Dacca, si è fatta molto più difficile.
"Possiamo spostarci solo con la scorta della polizia, le settimane precedenti al mio rientro in Italia sono stati arrestati due gruppi sospettati di preparare altri attentati" ha spiegato padre Pierfrancesco, 51 anni, che all'età di 31 ha scelto la strada dell'ordinazione sacerdotale.
"Il clima è cambiato dopo l'uccisione del cooperante italiano e di un giapponese, lo scorso autunno. A Novembre 2015 ho trovato una scritta su una tomba che annunciava la mia morte, non gli ho dato tanto peso anche se, su consiglio di molti, ho denunciato il fatto alle forze dell'ordine. Poco dopo si è verificato l'attentato nei confronti di padre Piero Parolari, e a luglio la strage a Dacca. Nonostante tutto questo, il nostro impegno alla missione continua, c'è sempre molto da fare".
Il misisonario con la ''scorta'' armata
Padre Pierfrancesco Corti, missionario del Pime, è in Bangladesh da 15 anni: dopo un'esperienza di 3 anni a Rajshahi è stato responsabile di un ostello in una scuola tecnica a Dinaspur. Nel 2012 il nuovo vescovo lo ha destinato alla missione di Moespur.
"Una parrocchia era già presente, a me è stato affidato il compito di fondarne una nuova nelle aree più lontane da essa, promuovendo fra i tribali l'opera di evangelizzazione" ha spiegato il sacerdote.
"Quando sono arrivato non c'era nulla, ad eccezione di una piccola cappella e una casa con tre suore. La maggior parte della popolazione, 3.500 persone circa suddivisi in 30 villaggi, vivono di agricoltura e svolgono una vita semplice. Per aiutare le famiglie più povere prendiamo in carico i loro bambini, garantiamo loro una istruzione, vitto e alloggio negli ostelli, e cure mediche grazie al dispensario".
Il religioso con alcune delle donne della missione
Alcuni degli insegnanti che operano all'interno delle due scuole governative sono pagati dai missionari, e grazie alla generosità di due donne italiane è stato possibile creare il centro farmaceutico e un nuovo ostello vicino alla missione
. "Una l'ha sconosciuta il vescovo durante una visita in Italia, l'altra ha contattato me. Il loro aiuto è stato prezioso" ha spiegato padre Corti.
Oggi sono circa 350 i bambini e ragazzi che possono studiare grazie al Pime, e 3.000 persone ogni anno usufruiscono del dispensario per le cure mediche.
"Attualmente stanno terminando i lavori per la realizzazione dell'ostello destinato alle bambine, che ne ospiterà 59, e continua l'impegno nell'ambito educativo e dell'assistenza sanitaria. L'obiettivo per i prossimi messi è quello di avvicinare le popolazioni tribali, che osservano religioni "animiste", situate al confine della missione. Sono in contatto con i miei collaboratori, è possibile che venga inviato temporaneamente un nuovo padre in mia sostituzione".
L'auspicio del missionario, che ottiene supporto dall'Italia anche grazie alle attività promosse dal Gruppo missionario olginatese, è quello di poter tornare presto ad occuparsi della "sua" missione.
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