La strategia processuale del pool difensivo è apparsa chiara fin dal primo “screzio” con il sostituto procuratore Paolo Del Grosso e il presidente della Corte, “spiazzata” da domande apparentemente non in linea con l’oggetto del processo. “Non c’era solo Roberto Guzzetti in quella piccola frazione!” ha sostenuto con determinazione, ribattendo alle osservazioni ricevute, l’avvocato Marilena Guglielmana che, con la sorella Patrizia, assiste il lecchese a giudizio quale supposto assassino di Maria Adeodata Losa, l’anziana di Sogno di Torre de’ Busi trovata cadavere nella tarda mattinata di sabato 11 giugno 2016 dalla pronipote Cristina Bonacina. La testimonianza di quest’ultima è stata tra le più pregnanti della mattina odierna, caratterizzata dal tentativo – non celato – dei difensori di insinuare, quantomeno, il dubbio in relazione a possibili altri colpevoli.

A Como, in Corte d’Assise, al cospetto dunque di giudici togati e delegati popolari, è entrata quest’oggi nel vivo l’istruttoria a carico del 60enne, presente personalmente tradotto in Aula dagli agenti della Polizia Penitenziaria del Carcere di Monza dove si trova associato dal luglio dello scorso anno, come ricordato dal luogotenente Rossano Lambardi, al tempo a capo del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Lecco escusso subito dopo il collega Fabio Marra, Comandante della Stazione Carabinieri di Calolziocorte, tra i primi a intervenire sul luogo del delitto insieme ai propri uomini. Sono stati dunque gli operanti ad “aprire le danze”, seguiti al banco dei testimoni da chi, concretamente, quel sabato, entrando in casa, si è imbattuto nel corpo senza vita della vittima. “Non sono più io: la scena che ho visto mi si ripresenta ogni giorno e soprattutto ogni notte, non permettendomi di dormire nonostante la terapia che mi ha prescritto chi mi sta seguendo” ha asserito la signora Cristina. “Mi si ripropone sempre la stessa immagine di mia zia nel sangue. Anche mia figlia, per questa cosa, è in terapia […]. Prima eravamo una famiglia serena e tranquilla, senza alcun problema” ha sostenuto, mantenendo la linea tracciata poco prima dal marito Dario Fracassi, con lei oggi in Tribunale e con lei (e la loro figlioletta appena 13enne) anche quel maledetto 11 giugno dello scorso anno a Sogno, quando, dopo aver ripetutamente provato a contattare l’utenza fissa dalla zia, non ricevendo risposta, in macchina da Pontida verso la Valtellina, hanno deciso di salire a Torre de’ Busi per accertarsi se vi fossero problemi al telefono dell’anziana, in casa sola con la sorella Leonilda, 96 anni, allettata e impossibilitata dunque ad alzarsi autonomamente.

Gli avvocati Patrizia e Marilena Guglielmana con Roberto Guzzetti
“All’inizio vedendo le finestre aperte mi sono tranquillizzata: staranno facendo i mestieri ho pensato” ha raccontato la teste, costituitasi parte civile così come l’amministratore di sostegno della zia superstite. “Quando sono entrata in casa ho impiegato meno di due secondi per vederla, ho capito subito: tutto il sangue che una persona può avere in corpo era sul pavimento” riferendosi al cadavere di Maria Adeodata, disteso in posizione prona in cucina. “Sono salita subito di sopra, ho aperto la porta della camera da letto e ho visto che Leonilda era viva. Le ho chiesto da quando non vedeva la sorella e mi ha risposto da giovedì dopo pranzo: era scesa a fare il caffè e non era più salita, nemmeno per dormire. Tra l’altro quando il 118 mi ha ricontattata mi è stato chiesto di toccare la salma della zia, di sotto: non lo potrò mai dimenticare, da quel giorno la mia vita è cambiata, sono stata travolta da questa vicenda” ha aggiunto, ricordando di essere un’atleta professionista – pratica la “scalata”, di corsa su per le scale dei grattacieli partecipando al campionato e alla coppa del mondo di questa particolare disciplina – e di aver visto i propri risultati inficiati dalla “fatica” di allenarsi, non svegliandosi riposata dopo notti con il sonno disturbato.

Il sostituto procuratore Paolo Del Grosso
Eppure, credendo nell’innocenza del loro assistito, i legali difensori hanno cercato di gettare ombre anche sulla donna e il marito, chiedendo loro specifiche circa lo stato patrimoniale delle zie (risultate avere una capacità economica importante, quantificata dal luogotenente Lambardi in circa 400.000 euro tra depositi e titoli) nonché sui rapporti interni alle famiglie Losa e Bonacina, facendo leva su presunti dissidi e ipotizzati problemi con la giustizia di uno dei fratelli della signora Cristina, portata dalle sorelle Guglielmana a riferire alla Corte anche quanto a lei noto in relazione a problematiche di vicinato tra le zie e i loro dirimpettai nonché in riferimento al soggetto che Leonilda avrebbe visto salire in camera il pomeriggio dell’assassinio di Maria Adeodata, dalla stessa non riconosciuto pur avendo presente la fisionomia di Roberto Guzzetti, residente – nel periodo estivo – nella villa “sovrastante” il caseggiato teatro dell’omicidio.
Riferita dalla pronipote – “torchiata” dai legali di Guzzetti – anche un’ulteriore uscita della zia più anziana che, a qualche settimana di distanza rispetto all’11 giugno, le avrebbe detto “salutami la mia amica, quella che mi ha sistemato la sorella”, facendo riferimento a una vicina di casa, altra figura ripetutamente “tirata in ballo” dalla difesa così come due torrebusini di Sogno omonimi e un ulteriore anziano con il quale le Losa non andavano evidentemente d’accordo. A carico di nessuno di loro sembrerebbero però esserci prove... L'istruttoria sarà in ogni caso ancora molto lunga. Si torna in Aula il 7 dicembre.
A seguire la cronaca delle deposizioni degli operanti e dei primi residenti a Sogno sentiti al cospetto della Corte
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