Suor Carolina Iavazzo da anni lotta con energia e convinzione profonda per non cedere al braccio forte della malavita: lo ha fatto a Brancaccio, il quartiere di Palermo dove il 15 settembre 1993 è stato ucciso per mano di Cosa nostra il Beato Don Pino Puglisi - di cui era principale collaboratrice nonché amica e confidente – e continua a farlo tra Bovalino e San Luca, nel cuore della Locride, dove vive in un container prefabbricato con la sua piccola Fraternita del Buon Samaritano, formata con le consorelle Suor Francesca e Suor Marianna, e potendo contare solo sul suo stipendio di insegnante di religione.

Suor Carolina
Proprio qui, presso il Centro d’Aggregazione giovanile “Padre Pino Puglisi” di Bosco Sant’Ippolito, nato nel 2005 in una struttura inizialmente fatiscente e poi ricostruito nel 2007 grazie a un finanziamento, Suor Carolina, 67 anni, offre ai giovani e agli adolescenti un'alternativa alla strada, allontanandoli dalle faide della ‘ndrangheta, tra attività sportive, lavorative e spirituali che li stimolino a mettersi in gioco e ad ampliare i propri orizzonti, seguendo le orme dell'amico e modello Don Puglisi: “L'unico modo per contrastare la criminalità organizzata e la mentalità che la sostiene è dare ai giovani un motivo valido per distaccarsi da certi ambienti, una possibilità di scegliere, combattendo il degrado e l'ignoranza di cui le mafie si nutrono con piccoli e grandi gesti quotidiani, proprio come faceva Pino Puglisi, che per questo venne percepito come un pericolo agli occhi della malavita”, ha raccontato Suor Carolina, che nella serata di martedì è stata ospite del cineteatro “Arte sfera” di Valmadrera, gremito in occasione dell’incontro organizzato dall’Istituto Comprensivo Statale e dall’Associazione Amici della Calabria e del Sud con il patrocinio del Comune di Valmadrera.

Quello di rieducare la nuova generazione era un compito che Pino Puglisi svolgeva con grande amore e devozione, oltre che con tanto coraggio, garantendo ai ragazzi di Brancaccio – “un quartiere che viveva di pochezze” - le stesse opportunità di incontro, condivisione, crescita e impegno sociale che avevano i giovani nati e cresciuti lontani da questi difficili territori: “Era un prete eccezionale, dedito a Dio e agli altri, che ha insegnato ai più giovani a dire di no alla mafia, all'ignoranza, ai furto e a dire sì alla cultura, alla solidarietà.” Un uomo “normale" – come lo ha definito Suor Carolina – che si è battuto per migliorare le condizioni del rione, nonostante le minacce di Cosa nostra: “A volte lo picchiavano, riceveva lettere anonime, gli bucavano le ruote della macchina. Eppure incassava. E più i mafiosi manifestavano insofferenza, più lui lottava. Hanno colpito i suoi amici di notte, appiccando il fuoco alle porte dei Padri di famiglia, e lui ha reagito, additandoli come animali, vigliacchi che colpivano alle spalle”.

La storia del sacerdote di Brancaccio è la storia di un uomo che è morto ‘in piedi', con onore, per nobili ideali, con la convinzione che non si scompare mai veramente quando si lascia qualcosa di buono. “L’esempio di Padre Puglisi, che ha fatto una scelta di vita chiara ed è morto sorridendo al proprio assassino, chiama tutti noi ad affrontare le nostre responsabilità quotidiane e a schierarci, evitando sempre la strada dell’omertà e del non fare. È difficile al giorno d'oggi, ma dobbiamo aprire gli occhi, fare del bene, denunciare il male sempre”, ha concluso Suor Carolina a gran voce, dimostrando ancora una volta di essere una donna forte e determinata che, a chi le chiede se non teme che possa accaderle qualcosa, risponde proprio come era solito fare l’amico Don Pino: “Se non hai paura non possono farti niente”.
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