Quel tragico 13 aprile del 2014 nelle prime ore del mattino, Luca Borghetti, 52enne padre di famiglia residente ad Annone Brianza, stava affontando una falesia ad Introbio quando all'improvviso ha accusato un malore. Un amico poi l'aveva accompagnato, sotto consiglio dello stesso Borghetti, alla vicina guardia medica del paese della Valsassina, distante pochi minuti in auto dal luogo dell'arrampicata. Invitato a recarsi in ospedale, era poi spirato all'arrivo al Manzoni.
Una morte che si poteva evitare? È a questo interrogativo a cui dovrà rispondere l'istruttoria dibattimentale ripresa quest'oggi in Tribunale a Lecco. Unico imputato, con l'accusa di omicidio colposo, è il dott. Furio Riccio, il medico che era di turno quel giorno alla guardia medica di Introbio, assistito dall'avvocato Gianluca Giovinazzo del foro di Como. Diversi testimoni hanno sfilato al cospetto giudice monocratico Enrico Manzi nel primo pomeriggio di oggi, chiamati dal pubblico ministero Silvia Zannini, titolare del fascicolo: dalla moglie del defunto, all'amico che l'ha accompagnato in pronto soccorso, ai medici coinvolti nella vicenda. "Luca era uno sportivo, che si dava sempre da fare ed amava la montagna" ha riferito la consorte, costituitasi insieme ai tre figli parte civile e rappresentata dall'avvocato Marco Sangalli, rispondendo alle domande delle parti. La donna ha anche ricordato come quella mattina il marito non le avesse rivelato alcun segno di malessere e che, in generale, godesse di ottima salute: "era un po' sovrappeso ma si stava mettendo a dieta, l'anno prima aveva anche fatto una visita dalla cardiologa ed era tutto a posto". La signora ha poi ripercorso gli avvenimenti di quella tragica giornata: "mio marito e due dei miei figli sono partiti con il resto del gruppo per Introbio, io li avrei raggiunti più tardi con il cane. Verso le 11 mi sono allontanata da casa ma a metà strada mi sono accorta che avevo dimenticato il telefono così sono rientrata". Dopo aver recuperato il cellulare la donna ha trovato due chiamate perse del marito, che, ricontattato a sua volta, non ha tuttavia risposto. Sentito il resto del gruppo, ha poi raccontato di aver appreso del malore patito dall'uomo e - recuperati i figli ad Introbio - di essersi diretto al Manzoni: "sono arrivata alle 12.06, lo ricordo come fosse ieri" ha continuato, visibilmente commossa. "I ragazzi sono rimasti in macchina perchè erano parecchio agitati. Entrata in pronto soccorso ho visto il nostro amico Mario, ed in mano aveva gli occhiali di Luca. Lì ho capito tutto".
Le condizioni di salute dell'annonese sono state successivamente precisate dal suo medico di base, che ha evidenziato rispetto alla consorte delle problematiche legate al peso in eccesso del Borghetti: un leggero rialzo pressorio, di glicemia e di colesterolo. La testimonianza chiave di quest'oggi è stata resa da Mario Valsecchi, amico di vecchia data di Borghetti, che ha raccontato i fatti di quella giornata, avendo assistito l'uomo fino all'arrivo al pronto soccorso del Manzoni: "Luca è sempre stato un buon arrampicatore" ha esordito il teste rispondendo alle domande del PM, "nonostante avesse ripreso da circa un anno ad andare in montagna era in gran forma. Ci siamo trovati alle 8.30, con noi c'erano i due dei suoi figli e altri due amici: abbiamo fatto colazione al bar e poi siamo saliti. Lui è stato il primo ad arrampicare, ha affrontato una falesia di un quinto grado superiore come difficoltà, lunga 25 metri. Quando è sceso ha detto di sentire male alle braccia, attribuendo la colpa al poco allenamento e ha preferito andare a sedersi in macchina". Quest'ultima frase pronunciata da Luca è sembrata strana a tutti i presenti, destando maggiori sospetti specialemente all'amico Mario, che dopo poco l'ha raggiunto all'automobile. "Era lì seduto sul sedile posteriore, visibilmente affaticato" ha continuato il testimone. "Mi ha detto "Mario, di sicuro ho un infarto, mi fa male il torace, portami alla guardia medica di Introbio" e così ho fatto, mentre lui mi indicava la strada. Penso si fosse isolato perchè non voleva far vedere ai figli che stava male". Una corsa durata pochi minuti, essendo il centro di soccorso molto vicino al punto di scalata: "arrivato alla guardia medica ho tentato di parcheggiare nel posteggio più vicino, quello riservato ai disabili, ma un volontario presente lì fuori mi ha sconsigliato di farlo perchè poco prima erano passati i vigili a multare le macchine in sosta in quel punto. Così Luca è sceso con le sue gambe, io sono andato a parcheggiare. Non ho fatto in tempo ad uscire dall'auto che ho visto Luca sbracciare in strada facendomi segno di raggiungerlo, mentre a fatica si sedeva sul cordolo del marciapiede. Lì ho capito che stava ancora male". Raggiunto nuovamente l'amico, il testimone ha poi riferito al giudice, con la voce spezzata dal pianto, la frase pronunciata in quell'occasione dal Borghetti: "mi ha detto che doveva andare a Lecco perchè lì non erano attrezzati. Non ho potuto fare altro che mettermi in macchina e dirigermi al Manzoni". I due hanno tentato una corsa contro il tempo, provando anche a fermarsi alla croce rossa dei Piani di Balisio, dove, sfortunatamente, in quel momento non era presente nessuno. "Poco prima di imboccare il tunnel a Ballabio" ha continuato l'amico Mario, "mi sono girato perchè ho sentito che aveva cambiato il respiro. Aveva gli occhi rivoltati all'indietro. A quel punto mi sono dedicato completamente alla guida: con una mano tenevo il volante e con l'altra suonavo ripetutamente il clacson". I due sono arrivati al parcheggio del pronto soccorso pochi minuti dopo le 11.30, dove hanno trovato diverse persone pronte ad accoglierli, avendo avvertito il suono del clacson a distanza. Tuttavia, nonostante le mosse rianimatorie e i farmaci somministrati al 52enne, non c'è stato nulla da fare, essendo arrivato -come riferito dal medico anestesista che ha soccorso l'uomo nella camera calda del nosocomio- già con un arresto circolatorio a basso voltaggio. Ma davvero il servizio di continuità assistenziale di Introbio non possedeva i mezzi per poter soccorrere l'arrampicatore? A questa domanda ha tentato di rispondere il dott. Attilio Artusi, medico di base introbiese che ha prestato per diverso tempo servizio alla guardia medica del suo comune, e persona che è stata contattata dall'odierno imputato poche ore dopo il decesso dell'uomo. Il medico ha sottolineato, rispondendo alle domande del PM Zannini, che l'ambulatorio di Introbio non possiede il defibrillatore, al contrario dell'adiacente centro di soccorso della Valsassina, situato proprio nello stesso stabile della guardia medica, che ha sede nella stanza confinante. Rilevanti anche dal punto di vista processuale sono state le chiamate che il dott. Riccio ha effettuato al medico introbiese; all'epoca dei fatti, sentito dalla polizia giudiziaria, Artusi ha dichiarato che il dottore di turno alla guardia medica l'aveva contattato telefonicamente due volte quel giorno: "nella prima telefonata, avvenuta in mattinata, Riccio mi chiedeva se si potesse togliere la multa effettuata dalla Polizia Locale per aver parcheggiato nel posto riservato ai disabili proprio all'ingresso della guardia medica" ha ricordato il testimone. "Poi, nel primo pomeriggio, mi ha detto di aver appreso della morte di un paziente transitato da lui e gli ho consigliato di stendere il registro della giornata e di chiamare il 118, dichiarando quanto accaduto, essendo l'unico modo che abbiamo per tutelarci". Anche i volontari del vicino soccorso della Valsassina, chiamati a testimoniare, hanno confermato di essere attrezzati con un defibrillatore per ciascuna delle 4 ambulanze in dotazione, utilizzabili solo dopo l'autorizzazione ad intervenire della centrale operativa del 118; tuttavia si è appurato che quella mattina, quando il Borghetti si è recato alla guardia medica, i volontari del soccorso erano impegnati in un altro intervento. "Ipoteticamente, se la guardia medica avesse chiamato il numero per le urgenze" ha dichiarato al giudice Manzi uno dei volontari, "sarebbe intervenuta la squadra più vicina che non era impegnata. In sede avevamo il nostro centralinista, venuto a mancare qualche mese fa". Proprio quest'ultimo -le cui dichiarazioni sono state acquisite dal giudice su consenso delle parti, essendo il teste deceduto- aveva spiegato alla Polizia Giudiziaria di aver notato che il dottore di turno alla guardia medica era particolarmente agitato e infastidito quella mattina per la multa rimediata, e che cercava in tutti i modi di farla rimuovere. Il processo è stato aggiornato al prossimo 27 luglio per l'audizione dei testimoni di parte civile e di un ufficiale di polizia giudiziaria.
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