
Il sostituto procuratore Giulia Angeleri
Partendo dal minimo della pena - in considerazione della disponibilità dimostrata nel corso dell'istruttoria da parte del difensore all'acquisire alcuni atti, snellendo il procedimento - "sommando" la recidiva e la continuazione, il sostituto procuratore Giulia Angeleri - al "battesimo" dinnanzi al collegio giudicante del Tribunale di Lecco - è arrivata a chiedere la condanna dell'imputato a 9 anni di reclusione oltre ad una multa da 2.600 euro. Una batosta insomma. Con la proposta di pena che poteva essere ancor più salata se si considera che il PM, alla luce di quanto emerso a dibattimento, ha optato - molto onestamente - per suggerire l'assoluzione in relazione all'accusa più pesante avente quale fulcro un episodio che al reato di rapina associava anche il sequestro di persona. Solo a giugno, dopo le conclusioni dell'avvocato Stefano Di Donna, legale di parte civile in rappresentanza di una delle persone offese e l'arringa dell'avvocato Manoela Stucchi per il 27enne "alla sbarra", si conoscerà il verdetto della "corte", con il dr. Enrico Manzi (presidente) affiancato dai giudici a latere Nora Lisa Passoni e Martina Beggio.
La pubblica accusa non parrebbe però avere dubbi: Tindaro Mazza, originario della Sicilia, nel giro di 20 minuti, nella serata del 20 novembre 2017, avrebbe preso parte a due (tentate) rapine tornando poi in azione, congiuntamente ad altri due amici, a breve distanza temporale, accanendosi su un terzo giovanotto, "reo" anch'egli di viaggiare da solo in treno. I tre episodi violenti, compiutamente ricostruiti in Aula dalle vittime, si sono infatti consumati su di un regionale della linea Milano-Lecco, con i primi due assalti operati mentre il convoglio sfrecciava in direzione nord e l'ultimo dopo l'inversione di marcia. Sarebbero altresì da inquadrare - come illustrato da un vicebrigadiere della Compagnia Carabinieri di Vimercate - in una serie di scorribande attribuibili ad una "gang" di ragazzi - la maggior parte dei quali minorenni - eradicata grazie all'intervento congiunto dell'Arma e della Polizia, coinvolgendo dunque i colleghi militari della Compagnia di Merate nonchè le Polfer di Monza e Lecco, rappresentate in Aula rispettivamente dagli operanti Guido Fumagalli e Vincenzo Mazzilli, pronti a sintetizzare il contributo dato alle indagini, identificando di fatto, passo dopo passo, tutti i componenti della "crew" a cominciare all'italo-marocchino ritenuto il leader. Proprio con quest'ultimo e con un magrebino minorenne Mazza - al momento ai domiciliari in provincia di Catania, dopo il rintraccio operato a Rimini dagli inquirenti, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico dal GIP di Monza - sarebbe entrato in azione il 20 novembre 2017: il sistema di videosorveglianza della stazione di Monza lo immortala mentre sale in treno, quello di Calolzio mentre scende con i due amici. Le celle agganciate dal suo telefono danno ulteriore riscontro alle immagini, già chiarissime. Nel mezzo, due "assalti". Il primo ai danni di un ragazzo dal sangue veramente freddo: pur essendo stato minacciato prima con un coltellino poi con una pistola, infatti, è riuscito a non mollare ai tre sconosciuti né il cellulare né il portafogli. Il secondo contro un lecchese ancor più scaltro: circondato tra gli scali di Airuno e Calolzio, ha acconsentito a cedere le cuffie e il portafogli (vuoto) dopo aver chiesto di trattenere i documenti per poi rifiutarsi di consegnare la fede, pur trovandosi con "il ferro" dinnanzi al naso. "Lui ha caricato, io non so come gli ho preso il braccio" ha detto in Aula. "Adesso mi ridai tutto o ti spacco di botte" sarebbe anche riuscito a dire al più esagitato degli aggressori mettendo in fuga il terzetto all'arrivo in Val San Martino. E' andata assai peggio per l'operaio - classe 1993 - preso di mira al ritorno: salito in treno a Airuno, ha spiegato in Tribunale di essere stato avvicinato da tre sconosciuti mentre era in dormiveglia, rifiutandosi di dare loro una sigaretta per farsi uno spinello così come il telefono chiesto per effettuare una chiamata. Sarebbe dunque finito il loro balia fino alla stazione di Cernusco, sotto la minaccia sempre di un coltellino e di una pistola. Alla fine ha lasciato agli assalitori 70 euro in contanti, un Galaxy 7 Edge e un pacchetto di sigarette, dopo averne ricevuta una insieme all'accendino "così fumi e ti calmi", come gli avrebbero detto con sprezzo i rapinatori, facendolo scendere. "Volevano anche le scarpe e il giubbotto ma ho detto loro che era falso" ha ricordato sorridendo il ventiseienne, costituitosi parte civile, meno allegro nel dover ammettere di aver poi perso un lavoro ben pagato in quanto spaventato dal prendere nuovamente il treno, dovendo accontentarsi di un'occupazione meno retribuita ma vicino a casa, non riuscendo, da quel giorno, a salire sui mezzi pubblici.
In tutte e tre le circostanze - ha ricostruito la dottoressa Angeleri - "Mazza era il palo, tutte le vittime lo ricordano perfettamente e lo hanno riconosciuto nelle foto mostrate loro".
Mancano invece riscontri altrettanto precisi e puntuali per ricondurre all'imputato anche l'ulteriore episodio in contestazione, datato invece 26 novembre. Nel sottopasso ferroviario di Olgiate un ecuadoregno classe 1996, per come esposto in denuncia e confermato quest'oggi in Aula, sarebbe stato bloccato da quattro ragazzi che, dopo avergli prelevato il Pc, il cellulare e il portafogli, ancora una volta sotto la minaccia di coltello e pistola, lo avrebbero costretto a seguirli fino alla banca più vicina - di fatto sequestrandolo - per effettuare prelevamenti fino al massimale della sua carta di credito, riportandolo infine in stazione e da lì guadagnare la fuga.
La sentenza è ora attesa, a chiusura del cerchio, il 13 giugno.
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