
Le piante in foto scattate il giorno del sequestro
La volta scorsa, gli avvocati difensori Fabrizio Consoloni e Nicoletta Manca, avevano avanzato il dubbio – concreto – che, per una svista, le piantine sottoposte a perizia non fossero parte di quelle sequestrate, nell’agosto dello scorso anno, al loro assistito, sottolineando alcune incongruenze in riferimento proprio al numero di fusti rinvenuti nonché alla data della loro consegna al laboratorio i cui operatori si sono poi occupati delle analisi ora sotto la lente dei legali. Quest’oggi nell’ambito del processo a carico di Ivano Lazzari, l’agricoltore 51enne finito dinnanzi al giudice dopo essere stato “pizzicato” intento nella coltivazione di una mini-piantagione di canapa indiana, ad Esino Lario, in un’area terrazzata lungo la sp65, è stata sollevata un’altra questione relativamente ad un documento aggiunto al fascicolo del Pm di cui gli avvocati Consoloni e Manca hanno chiesto lo stralcio ottenendo dal dottor Gian Marco De Vincenzi la non acquisizione. Il giudice ha poi chiesto al pubblico ministero (quest’oggi il vice procuratore onorario Pietro Bassi) di accertare se il “corpo del reato” sia stato già distrutto, come ordinato dalla Procura all’esito delle analisi oppure se sia ancora in deposito: solo quest’ultima condizione permetterebbe infatti di richiedere ulteriori accertamenti sulle piantina per fugare i sospetti circa l’effettiva corrispondenza tra i risultati a disposizione e quanto coltivato dal Lazzari che, nel corso dell’udienza odierna, è stato escusso, raccontando la propria versione dell’accaduto. Egli, titolare di una fattoria con diversi animali tra cui anche un centinaio di volatili, tra pappagallini e canarini, ha spiegato come dalla piantagione di Esino volesse ottenere semi di canapa, comunemente contenuti anche nei mangimi preconfezionati destinati agli uccellini, con tanto di dimostrazione “pratica” di ciò in Aula con l’avvocato Consoloni che ha porto al giudice una confezione di granaglie con indicata in etichetta proprio la presenza di “derivati” della cannabis indica. Ma non solo, senza riuscire a indicare su quale rivista ha letto la notizia, Lazzari ha anche sostenuto di essere venuto a conoscenza delle qualità delle foglie che taglierebbero la fame e abbasserebbero il diabete. Insomma, a suo dire, la messa a dimora delle 130 piante, già alte circa due metri, al momento del blitz dei Carabinieri che – dopo aver scovato l’appezzamento sono rimasti per giorni appostati per scoprire chi fosse il coltivatore – aveva solo e esclusivamente scopi nobili, nulla a che vedere con la commercializzazione di marijuana. E, al momento del fermo, non avrebbe nemmeno opposto resistenza o meglio la sua iniziale fuga, sempre a suo dire, sarebbe stata dettata soltanto dal fatto che i militari inizialmente non si sarebbero identificati. “Mi sono messo a correre, pensando fossero bracconieri” ha affermato in Aula con due dei suoi figli che hanno poi confermato l’atteggiamento collaborativo poi tenuto dal padre nel corso della perquisizione domiciliare a cui è stato sottoposto prima della formalizzazione dell’arresto.
Il processo a suo carico riprenderà il 6 ottobre.
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