Malgrate, 'Shopping a Hong Kong': sentite le ultime tre acquirenti delle borse tarocche
Nessuna ha saputo indicare esattamente in quale anno, anche per via del tempo trascorso dai fatti. Tutte hanno però confermato di aver effettuato più di un acquisto dalla signora Barbara a cui sono arrivate chi tramite il passaparola tra amiche e chi, invece, navigando in internet.
Sono state tre le acquirenti escusse quest’oggi nell’ambito del processo ingenerato da un filone dall’operazione “Shopping in Hong Kong”, condotta dalla Guardia di Finanza di Lecco. Dinnanzi al giudice monocratico Gian Marco de Vincenzi, nello specifico si sta procedendo nei confronti di due coniugi residenti a Malgrate accusati a vario titolo di ricettazione, truffa, introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (secondo gli articoli 648, 640 e 474 del codice penale) per aver importato e poi rivenduto borse e accessori arrecanti marchi contraffatti a regola d’arte nonché di truffa per aver continuato a percepire indebitamente, dal dicembre 2008 fino al 2012, due pensioni intestate a una defunta (creando un danno all’Inps di circa 20mila euro) e della detenzione di materiale pedopornografico rinvenuto su supporti informatici rinvenuti nell’abitazione della coppia, ora al centro dell’attenzione del sostituto procuratore Cinzia Citterio. Interrogando infatti le tre testi, il magistrato ha cercato di far luce sul luogo fisico in cui avveniva la cessione, da parte della signora Barbara e del marito Paolo (la cui posizione è apparsa però più defilata, rispetto almeno ai reati legati allo “smercio” della mercanzia fatta pervenire dall’Asia) di quanto promesso alle clienti, elemento questo essenziale per chiedere poi, in fase di conclusioni, il sequestro del bene se venisse appurato che era strumentale all’attività illecita condotta dai due.
“Ho conosciuto Barbara tramite e-bay” ha affermato la prima signora, di Malgrate così come gli imputati. “Ci siamo accordate per la spedizione poi però mi ha detto che anche lei viveva in paese e sono così andata a casa sua. Sono tornata anche altre volte, sempre da sola, tranne forse una volta con mio figlio maggiore”. E ancora. “A casa c’erano anche altri articoli: entravo e mi fermavo nel salone. Le borse erano appoggiate a terra su un tappeto e su un tavolo, ho visto anche un portafogli”.
“Non ricordo esattamente ma ho preso forse un paio di borse marchiate Louis Vuitton e mi sembra di ricordare una Gucci: ho avuto il suo contatto tramite una conoscente” ha argomentato, invece, la seconda testimone, impiegata a Valmadrera. “Su un sito si poteva anche vedere quello che aveva a disposizione: l’ho vista sempre al cancello di casa, mi consegnava le borse in sacchetti di plastica. L’unica volta che sono andata sulla porta, ho notato che c’era una signora su una sedia a rotelle e un signore di spalle” ha poi aggiunto sostenendo di non saper riferire esattamente l’anno della sua frequentazione con la signora Barbara anche perché non ha chiaramente in mano alcuna ricevuta. “Pagavo cash, mi pare 150 euro a borsa”.
Più salati i prezzi indicati invece dall’ultima cliente comparsa dinnanzi al dottor De Vincenzi, una bergamasca amica di una negoziante lecchese che l’avrebbe messa in contatto con l’imputata. Ella ha parlato infatti di borse a 300 – 400 euro e braccialettini di Tiffany a 80 euro l’uno, venduti “come fossero veri ma a prezzo vantaggioso perché fallati”.
“La prima borsa me l’ha portata in negozio dalla mia amica. Una volta sono andata invece a casa sua, non ricordo il paese. C’erano tanti articoli: borse, portafogli e forse anche scarpe. Mi ha detto di guardare anche il sito per altri prodotti”.
Con l’accordo delle parti, la sfilata di testimoni si è conclusa con queste ultime dichiarazioni: l’avvocato Stefano Pelizzari e la collega Elisa Magnani, difensori dei coniugi, hanno infatti dato assenso all’acquisizione delle sommarie informazioni rese da altre clienti in fase di indagini. L’istruttoria si chiuderà dunque il prossimo 12 novembre quando rassegneranno le proprio conclusioni il pubblico ministero e l'avvocato Laura Venni, costituitasi parte civile per conto della casa di moda Louis Vuitton pronta a chiedere un risarcimento di 100mila euro, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente eseguibile, per i presunti danni subiti. Per la sentenza però bisognerà poi attendere una data successiva quando sarà la volta degli avvocati Pelizzari e Magnani la cui linea difensiva non è ancora stata del tutto svelata.
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“Ho conosciuto Barbara tramite e-bay” ha affermato la prima signora, di Malgrate così come gli imputati. “Ci siamo accordate per la spedizione poi però mi ha detto che anche lei viveva in paese e sono così andata a casa sua. Sono tornata anche altre volte, sempre da sola, tranne forse una volta con mio figlio maggiore”. E ancora. “A casa c’erano anche altri articoli: entravo e mi fermavo nel salone. Le borse erano appoggiate a terra su un tappeto e su un tavolo, ho visto anche un portafogli”.
“Non ricordo esattamente ma ho preso forse un paio di borse marchiate Louis Vuitton e mi sembra di ricordare una Gucci: ho avuto il suo contatto tramite una conoscente” ha argomentato, invece, la seconda testimone, impiegata a Valmadrera. “Su un sito si poteva anche vedere quello che aveva a disposizione: l’ho vista sempre al cancello di casa, mi consegnava le borse in sacchetti di plastica. L’unica volta che sono andata sulla porta, ho notato che c’era una signora su una sedia a rotelle e un signore di spalle” ha poi aggiunto sostenendo di non saper riferire esattamente l’anno della sua frequentazione con la signora Barbara anche perché non ha chiaramente in mano alcuna ricevuta. “Pagavo cash, mi pare 150 euro a borsa”.
Più salati i prezzi indicati invece dall’ultima cliente comparsa dinnanzi al dottor De Vincenzi, una bergamasca amica di una negoziante lecchese che l’avrebbe messa in contatto con l’imputata. Ella ha parlato infatti di borse a 300 – 400 euro e braccialettini di Tiffany a 80 euro l’uno, venduti “come fossero veri ma a prezzo vantaggioso perché fallati”.
“La prima borsa me l’ha portata in negozio dalla mia amica. Una volta sono andata invece a casa sua, non ricordo il paese. C’erano tanti articoli: borse, portafogli e forse anche scarpe. Mi ha detto di guardare anche il sito per altri prodotti”.
Con l’accordo delle parti, la sfilata di testimoni si è conclusa con queste ultime dichiarazioni: l’avvocato Stefano Pelizzari e la collega Elisa Magnani, difensori dei coniugi, hanno infatti dato assenso all’acquisizione delle sommarie informazioni rese da altre clienti in fase di indagini. L’istruttoria si chiuderà dunque il prossimo 12 novembre quando rassegneranno le proprio conclusioni il pubblico ministero e l'avvocato Laura Venni, costituitasi parte civile per conto della casa di moda Louis Vuitton pronta a chiedere un risarcimento di 100mila euro, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente eseguibile, per i presunti danni subiti. Per la sentenza però bisognerà poi attendere una data successiva quando sarà la volta degli avvocati Pelizzari e Magnani la cui linea difensiva non è ancora stata del tutto svelata.
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A.M.