Edoardo Fumagalli, un avvocato di grido, ma soprattutto un luminare del diritto, ''che cerca una luce nuova ogni mattina''
Per chi non lo conosce di fama, Edoardo Fumagalli è un grande uomo di oltre 1.80 di altezza, occhi vispi, occhiali con le bacchette larghe e maculate in stile moderno, un gusto nel vestire un po' eccentrico, fatto di colori vivaci, con scarpe intonate all'abito e un'andatura pacata ma ferma e decisa che ti dà sicurezza solo nel guardarla. Ma per i lecchesi e per il mondo delle toghe è l'avvocato Fumagalli, il decano del foro cittadino, 86 anni il prossimo 12 agosto e una carriera iniziata nel 1957 come procuratore legale. Con il diritto nel sangue, ancora oggi non manca di formarsi e di tenersi aggiornato, cercando di restare al passo sia con la legislazione in continuo mutamento che con gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione per facilitare il lavoro del giurista.
La sua vita accanto alla professione è stata un pullulare di attività e passioni, senza mai un minuto libero da "dedicare" all'ozio o ad attività di poco conto. "Mi arrabbio quando butto via il tempo" ha raccontato nel suo studio di Via Carlo Cattaneo. Un ampio locale con la sala di attesa per i clienti, lo spazio per la segretaria e diverse stanze. La sua è l'ultima sulla sinistra, entrando dall'ingresso: una scrivania ingombra di libri, con una lampada da tavolo, un porta carte in legno a forma di pesce, diverse librerie con i codici e i CD di musica classica, la sua grande passione, una vetrina con tanti minerali e pietre raccolti durante le gite in montagna e alle pareti quadri di tutti i gusti che spaziano dal moderno al crocifisso disegnato a matita. "Quando vado in trasferta con il treno porto sempre con me la rivista di diritto o civiltà cattolica, di cui sono un fedele abbonato. Aspettare non è un problema, basta avere qualcosa da fare".
Nativo di Lecco, studente del liceo classico Manzoni ai tempi della mitica squadra di docenti capitanata dal preside Don Giovanni Ticozzi e dai prof. Formaggia, Lepori, Persi, laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano nel 1955 inizia la sua attività in proprio nel 1958 e da quel momento il campo penale diventa il suo pane quotidiano. La sua inclinazione lo ha condotto a nutrirsi più del diritto e delle procedure, campo nel quale è considerato un luminare, più che al richiamo dialettico più consono ai retori. "Preferisco affrontare un argomento di diritto in modo nudo e crudo" ha spiegato con la sua voce pacata e riflessiva "e per questa ragione voglio essere sempre aggiornato. Se riescono gli altri, mi dico, perché non ci devo riuscire io? Del resto un po' di esperienza in più la vanto". Animo combattivo, mai arrendevole ma sempre rispettoso, amante soprattutto della vita "cerco sempre di vivere in modo che ogni giorno sia diverso dall'altro, che ci sia una luce nuova ogni mattina", non nasconde come oggi le cose siano cambiate. In peggio. "Noi avvocati ormai siamo in troppi e qualche mela marcia in più c'è, è la legge dei numeri. Un tempo la preparazione per l'esame era dura...altro che codici commentati. Era già una fortuna se c'erano i 4 codici. Mi è sempre piaciuto il penale e la procedura...oggi è tutto diverso. La procedura è quasi cancellata rispetto al passato, non c'è paragone. Un tempo sui virtuosismi si costruiva un processo e a volte anche la vittoria, facendolo saltare". Sul rapporto con i magistrati dice che "tutto dipende dalle persone" anche se "a Milano c'è lo spirito cittadino, della grande metropoli. A Lecco c'è lo spirito curialesco, dell'avvocato che bada al proprio interesse. Ogni foro ha la sua tradizione, certo è che qui manca quel fil rouge tra avvocati e magistrati". Sportivo, tifoso dell'Inter era capace di raggiungere la vetta del Resegone di buon mattino e poi scendere, fare magari una nuotata ai Canottieri e partire alla volta di San Siro per la partita domenicale della squadra del cuore, l'Inter. Dietro questa voglia di vivere in pienezza ogni cosa, senza farsi sfuggire un anelito di vita, c'è il desiderio "di fare tutte le cose come se fossero le più importanti". Una filosofia che gli consente di dire che anche dietro una contravvenzione può nascondersi una discussione infinita da parte dell'avvocato. "Al centro deve esserci sempre l'uomo e la sua libertà. Quando è stato rifatto il codice, credo che l'uomo non sia stato considerato con il dovuto peso".
Ma entrando nel vivo della sua professione, va ricordato che l'avvocato Fumagalli è stato uno dei "protagonisti" della stagione dei sequestri a Lecco. Fu infatti il legale difensore di Luigi Clerici, il telefonista della banda che nell'ottobre del 1974 rapì l'imprenditore Giovanni Stucchi di Olginate e non ne fece mai più ritrovare i resti. Gli inquirenti sapevano che Clerici era coinvolto in qualche modo nel sequestro ma non trovavano il filo per incastrarlo. A fornire l'assist per l'incolpazione fu lo stesso Clerici. "Il mio cliente era implicato in un altro processo. Minacciava un avvocato, fingendosi meridionale e facendo le telefonate poco prima di uscire da Milano, da una cabina telefonica, utilizzando un gettone. Solo che parlava troppo, era uno che amava raccontare e perdersi nei dettagli e così è stato colto in fallo. Lo hanno messo sotto controllo e lo hanno beccato. Gli inquirenti ora avevano in mano la sua voce tramite le telefonate in due distinti episodi, è bastato confrontarle per avere la conferma che il telefonista per il sequestro Stucchi era proprio lui". Nonostante la sua innata e per nulla celata passione per il diritto che lo farebbero apparire gelido e tutto d'un pezzo, l'avvocato Fumagalli è invece capace di "emozionarsi" e di lasciarsi trasportare anche da piccoli dettagli. "Il giorno del ricorso in Appello per Clerici eravamo in aula e stavamo aspettando che i giudici uscissero per dire l'esito della camera di consiglio" ha ricordato "ad un certo punto la porta si socchiuse e sentimmo tutti una fragorosa risata. Nel frattempo da una finestra una traccia di sole che per tutto il tempo aveva illuminato l'aula, si andava affievolendo probabilmente per il passaggio di una nuvola. In quel momento i giudici decretarono la conferma dell'impugnata sentenza. Ho subito notato la coincidenza tra quella traccia di sole che andava sparendo e l'esito dell'Appello".
Con dolore ricorda un processo particolarmente toccante, dove difese l'assassino del figlio. Colico, fine anni Settanta. "Un nonno con il nipotino si era recato al bar. Qui era stato raggiunto dal papà del piccolo, nonché suo figlio, che aveva iniziato come sempre a vessarlo e a litigare con lui. Stanco di questa situazione l'anziano aveva estratto dalla tasca un coltello da cucina e aveva colpito il figlio allo stomaco, uccidendolo sotto gli occhi del suo bambino. L'uomo fu arrestato e condannato a 3 anni e 9 mesi di reclusione con il codice di allora, senza riti abbreviati o patteggiamenti. Ma fu uno strazio".
Notevole invece la "vittoria" avuta, con assoluzione per una donna accusata di concorso in omicidio con il marito, a fronte della richiesta di ergastolo del PM. "A Barzago era stata uccisa una donna giovane, proprietaria di una villa dove c'erano come custodi due coniugi, di cui io difendevo la moglie. Il marito aveva indotto la consorte a incolpare un'altra persona che così era stata incarcerata ingiustamente per 15 giorni. Il pubblico ministero aveva chiesto l'ergastolo per i due coniugi. Io ero riuscito a far assolvere per insufficienza di prove la mia assistita dal reato di omicidio in concorso mentre era stata condannata a 5 anni per calunnia!".
Non manca di ridere, quasi senza riuscire a trattenersi, ricordando un caso di difesa con il compianto avvocato Luciano Rosa. "Eravamo a fine anni Sessanta. Io e il collega avevamo difeso questo signore che era stato assolto. Era arrivato il momento di farci pagare ma il cliente ci pareva un poveretto. Aveva uno stile dimesso, portava sempre con sé un borsone enorme di cui ignoravamo il contenuto. Ci eravamo detti che era inutile chiedere la parcella standard così abbiamo fatto una cifra diciamo da saldo. Lui allora ci chiama (e qui l'avvocato si fa curvo, a imitare il vecchio cliente, abbassa la testa e lo sguardo, e fa il gesto con la mano di avvicinare a sé, ndr). Io e il collega ci siamo guardati e il pensiero comune è stato: adesso questo dal sacco tira fuori un salame. E invece apre il borsone e in mano tiene un mazzo di biglietti da 100.000 lire. Eravamo senza parole".
Appassionato di montagna e di nuoto, lettore vorace di libri (di diritto naturalmente ma anche di filosofia), sulla sua scrivania non manca il lettore CD con musiche di Wagner, Monteverdi, Bach o qualche ricercato madrigale. La sua è stata una vita piena, ancora oggi in movimento tanto che lo incontriamo reduce da un processo a Milano. La stanchezza e l'età sembrano fattori a lui sconosciuti. Forse è proprio l'essere immerso nel quotidiano fatto di problemi di vita da seguire e risolvere, a dargli quella carica invidiabile in un giovane.
Oggi consiglierebbe la professione a uno studente che si appresta a decidere l'università da frequentare? Dopo un attimo di riflessione, la risposta è decisa, confermata anche da un cenno del capo. "No, per nulla. Oggi non è più il merito a fare l'avvocato, quanto la capacità di sgomitare per emergere. Oggi servono degli specialisti del diritto, non avvocati in generale. Il medico condotto non c'è più e così non c'è più nemmeno l'avvocato condotto. Chi fa l'avvocato, almeno a inizio carriera dovrebbe poterlo fare non per la necessità di sopravvivere ma per la passione per il diritto che lo porta ad approfondire e a studiare, a dedicare tempo a una causa. In più è cambiata molto anche la clientela: lascia i conti in sospeso, non riconosce l'autorevolezza del legale e in più non è credibile".
Una stretta di mano vigorosa e un saluto con il sorriso per congedarci, sono la conferma di avere incontrato un uomo d'altri tempi per signorilità ed eleganza ma che i tempi moderni li cavalca ancora con grande vigore e entusiasmo.
L'avvocato Edoardo Fumagalli nel suo studio
La sua vita accanto alla professione è stata un pullulare di attività e passioni, senza mai un minuto libero da "dedicare" all'ozio o ad attività di poco conto. "Mi arrabbio quando butto via il tempo" ha raccontato nel suo studio di Via Carlo Cattaneo. Un ampio locale con la sala di attesa per i clienti, lo spazio per la segretaria e diverse stanze. La sua è l'ultima sulla sinistra, entrando dall'ingresso: una scrivania ingombra di libri, con una lampada da tavolo, un porta carte in legno a forma di pesce, diverse librerie con i codici e i CD di musica classica, la sua grande passione, una vetrina con tanti minerali e pietre raccolti durante le gite in montagna e alle pareti quadri di tutti i gusti che spaziano dal moderno al crocifisso disegnato a matita. "Quando vado in trasferta con il treno porto sempre con me la rivista di diritto o civiltà cattolica, di cui sono un fedele abbonato. Aspettare non è un problema, basta avere qualcosa da fare".
Nativo di Lecco, studente del liceo classico Manzoni ai tempi della mitica squadra di docenti capitanata dal preside Don Giovanni Ticozzi e dai prof. Formaggia, Lepori, Persi, laureato in giurisprudenza alla Statale di Milano nel 1955 inizia la sua attività in proprio nel 1958 e da quel momento il campo penale diventa il suo pane quotidiano. La sua inclinazione lo ha condotto a nutrirsi più del diritto e delle procedure, campo nel quale è considerato un luminare, più che al richiamo dialettico più consono ai retori. "Preferisco affrontare un argomento di diritto in modo nudo e crudo" ha spiegato con la sua voce pacata e riflessiva "e per questa ragione voglio essere sempre aggiornato. Se riescono gli altri, mi dico, perché non ci devo riuscire io? Del resto un po' di esperienza in più la vanto". Animo combattivo, mai arrendevole ma sempre rispettoso, amante soprattutto della vita "cerco sempre di vivere in modo che ogni giorno sia diverso dall'altro, che ci sia una luce nuova ogni mattina", non nasconde come oggi le cose siano cambiate. In peggio. "Noi avvocati ormai siamo in troppi e qualche mela marcia in più c'è, è la legge dei numeri. Un tempo la preparazione per l'esame era dura...altro che codici commentati. Era già una fortuna se c'erano i 4 codici. Mi è sempre piaciuto il penale e la procedura...oggi è tutto diverso. La procedura è quasi cancellata rispetto al passato, non c'è paragone. Un tempo sui virtuosismi si costruiva un processo e a volte anche la vittoria, facendolo saltare". Sul rapporto con i magistrati dice che "tutto dipende dalle persone" anche se "a Milano c'è lo spirito cittadino, della grande metropoli. A Lecco c'è lo spirito curialesco, dell'avvocato che bada al proprio interesse. Ogni foro ha la sua tradizione, certo è che qui manca quel fil rouge tra avvocati e magistrati". Sportivo, tifoso dell'Inter era capace di raggiungere la vetta del Resegone di buon mattino e poi scendere, fare magari una nuotata ai Canottieri e partire alla volta di San Siro per la partita domenicale della squadra del cuore, l'Inter. Dietro questa voglia di vivere in pienezza ogni cosa, senza farsi sfuggire un anelito di vita, c'è il desiderio "di fare tutte le cose come se fossero le più importanti". Una filosofia che gli consente di dire che anche dietro una contravvenzione può nascondersi una discussione infinita da parte dell'avvocato. "Al centro deve esserci sempre l'uomo e la sua libertà. Quando è stato rifatto il codice, credo che l'uomo non sia stato considerato con il dovuto peso".
Ma entrando nel vivo della sua professione, va ricordato che l'avvocato Fumagalli è stato uno dei "protagonisti" della stagione dei sequestri a Lecco. Fu infatti il legale difensore di Luigi Clerici, il telefonista della banda che nell'ottobre del 1974 rapì l'imprenditore Giovanni Stucchi di Olginate e non ne fece mai più ritrovare i resti. Gli inquirenti sapevano che Clerici era coinvolto in qualche modo nel sequestro ma non trovavano il filo per incastrarlo. A fornire l'assist per l'incolpazione fu lo stesso Clerici. "Il mio cliente era implicato in un altro processo. Minacciava un avvocato, fingendosi meridionale e facendo le telefonate poco prima di uscire da Milano, da una cabina telefonica, utilizzando un gettone. Solo che parlava troppo, era uno che amava raccontare e perdersi nei dettagli e così è stato colto in fallo. Lo hanno messo sotto controllo e lo hanno beccato. Gli inquirenti ora avevano in mano la sua voce tramite le telefonate in due distinti episodi, è bastato confrontarle per avere la conferma che il telefonista per il sequestro Stucchi era proprio lui". Nonostante la sua innata e per nulla celata passione per il diritto che lo farebbero apparire gelido e tutto d'un pezzo, l'avvocato Fumagalli è invece capace di "emozionarsi" e di lasciarsi trasportare anche da piccoli dettagli. "Il giorno del ricorso in Appello per Clerici eravamo in aula e stavamo aspettando che i giudici uscissero per dire l'esito della camera di consiglio" ha ricordato "ad un certo punto la porta si socchiuse e sentimmo tutti una fragorosa risata. Nel frattempo da una finestra una traccia di sole che per tutto il tempo aveva illuminato l'aula, si andava affievolendo probabilmente per il passaggio di una nuvola. In quel momento i giudici decretarono la conferma dell'impugnata sentenza. Ho subito notato la coincidenza tra quella traccia di sole che andava sparendo e l'esito dell'Appello".
Con dolore ricorda un processo particolarmente toccante, dove difese l'assassino del figlio. Colico, fine anni Settanta. "Un nonno con il nipotino si era recato al bar. Qui era stato raggiunto dal papà del piccolo, nonché suo figlio, che aveva iniziato come sempre a vessarlo e a litigare con lui. Stanco di questa situazione l'anziano aveva estratto dalla tasca un coltello da cucina e aveva colpito il figlio allo stomaco, uccidendolo sotto gli occhi del suo bambino. L'uomo fu arrestato e condannato a 3 anni e 9 mesi di reclusione con il codice di allora, senza riti abbreviati o patteggiamenti. Ma fu uno strazio".
Notevole invece la "vittoria" avuta, con assoluzione per una donna accusata di concorso in omicidio con il marito, a fronte della richiesta di ergastolo del PM. "A Barzago era stata uccisa una donna giovane, proprietaria di una villa dove c'erano come custodi due coniugi, di cui io difendevo la moglie. Il marito aveva indotto la consorte a incolpare un'altra persona che così era stata incarcerata ingiustamente per 15 giorni. Il pubblico ministero aveva chiesto l'ergastolo per i due coniugi. Io ero riuscito a far assolvere per insufficienza di prove la mia assistita dal reato di omicidio in concorso mentre era stata condannata a 5 anni per calunnia!".
Non manca di ridere, quasi senza riuscire a trattenersi, ricordando un caso di difesa con il compianto avvocato Luciano Rosa. "Eravamo a fine anni Sessanta. Io e il collega avevamo difeso questo signore che era stato assolto. Era arrivato il momento di farci pagare ma il cliente ci pareva un poveretto. Aveva uno stile dimesso, portava sempre con sé un borsone enorme di cui ignoravamo il contenuto. Ci eravamo detti che era inutile chiedere la parcella standard così abbiamo fatto una cifra diciamo da saldo. Lui allora ci chiama (e qui l'avvocato si fa curvo, a imitare il vecchio cliente, abbassa la testa e lo sguardo, e fa il gesto con la mano di avvicinare a sé, ndr). Io e il collega ci siamo guardati e il pensiero comune è stato: adesso questo dal sacco tira fuori un salame. E invece apre il borsone e in mano tiene un mazzo di biglietti da 100.000 lire. Eravamo senza parole".
Appassionato di montagna e di nuoto, lettore vorace di libri (di diritto naturalmente ma anche di filosofia), sulla sua scrivania non manca il lettore CD con musiche di Wagner, Monteverdi, Bach o qualche ricercato madrigale. La sua è stata una vita piena, ancora oggi in movimento tanto che lo incontriamo reduce da un processo a Milano. La stanchezza e l'età sembrano fattori a lui sconosciuti. Forse è proprio l'essere immerso nel quotidiano fatto di problemi di vita da seguire e risolvere, a dargli quella carica invidiabile in un giovane.
Oggi consiglierebbe la professione a uno studente che si appresta a decidere l'università da frequentare? Dopo un attimo di riflessione, la risposta è decisa, confermata anche da un cenno del capo. "No, per nulla. Oggi non è più il merito a fare l'avvocato, quanto la capacità di sgomitare per emergere. Oggi servono degli specialisti del diritto, non avvocati in generale. Il medico condotto non c'è più e così non c'è più nemmeno l'avvocato condotto. Chi fa l'avvocato, almeno a inizio carriera dovrebbe poterlo fare non per la necessità di sopravvivere ma per la passione per il diritto che lo porta ad approfondire e a studiare, a dedicare tempo a una causa. In più è cambiata molto anche la clientela: lascia i conti in sospeso, non riconosce l'autorevolezza del legale e in più non è credibile".
Una stretta di mano vigorosa e un saluto con il sorriso per congedarci, sono la conferma di avere incontrato un uomo d'altri tempi per signorilità ed eleganza ma che i tempi moderni li cavalca ancora con grande vigore e entusiasmo.
S.V.