La 'storia casearia' della Valasassina e del suo Stracchino, viaggio tra saperi e sapori
Una giornata “tra saperi e sapori” in cui lo Stracchino e la storia ad esso connessa hanno fatto da protagonisti. È successo nelle scorse settimane al Mercato Agricolo con la Pro Loco di Ballabio, dove grazie alla presenza del direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco e Varese Giuseppe Invernizzi, chi da Lecco, chi dalla Valsassina e chi dalla città metropolitana, ha potuto assistere a una lezione ricca di aneddoti e informazioni sulla tradizione e la storia di Ballabio e sulle sue radici casearie.
Per tracciarne la storia è bene però partire dalle origini, e quindi dalla figura dei "bergamini". All’epoca la grande maggioranza delle famiglie rurali della fascia montana tra la Valsassina e l'alta val Sabbia viveva con una o due mucche, un vitello e un maiale negli spazi ristretti di stalle e pascoli offerti dalla tradizione insediativa della montagna: bergamì diventava chi riusciva, non senza sacrifici, ad allargare la mandria a dieci, venti bovini.
E così, ogni anno, contraddistinti dall'immancabile grembiale da casaro di tela azzurra detto scussaar, dal cappello rotondo di feltro scuro e dal tabarro di lana, i bergamini erano soliti abbandonare gli alpeggi dopo la festa di San Michele per passare l'inverno in pianura, nel basso milanese, nel cremonese e nel lodigiano, tornando sui monti solo a metà aprile.
Ciò che li spingeva a compiere una tale fatica non era l'aspirazione a diventare un possidente, ma piuttosto la caseificazione, la stalla e l'amore per le mucche.
“È un formaggio che si può produrre con gli animali al pascolo, in continuo spostamento alla ricerca di foraggio fresco. Il nome si riferisce infatti all’aggettivo "stracco", ad indicare la condizione delle mandrie di vacche in transumanza per centinaia di chilometri dalle Alpi alle Valle Padana”. Secondo quanto riportato da Fedele Massara in un suo scritto del 1866, la semplicità di questa lavorazione annovererebbe lo stracchino tra i più antichi formaggi, sicuramente precedente al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano.
Eppure le differenze non sono affatto poche. A determinare il gusto e le diverse caratteristiche ci sono diversi elementi: quantità di caglio, tempi di coagulazione, taglio della cagliata, pezzatura, salatura, stuffatura e stagionatura.
Se da un lato nell'antico mondo contadino montanaro - dove la ricchezza veniva quantificata in relazione al numero di mucche e non in riferimento a proprietà di terreni - il bergamì spiccava nella scala sociale perché collocato ai vertici dell'economia locale come persona benestante, al contrario in pianura veniva considerato spesso una sorta di zingaro, in virtù dei continui spostamenti.
Tuttavia queste figure – attestate già dal 1400 - per cinque secoli hanno rappresentato la punta più avanzata di un sistema economico diffuso e fondato sul piccolo allevamento zootecnico, rimanendo spesso misconosciute in quanto non facilmente incasellabili negli schemi della scienza economica e sociale dei secoli XIX e XX.
Fu dal 1880, con il boom dei formaggi molli, che la Valsassina conobbe un'epoca di splendore, contraddistinguendosi come il filone più innovativo e propulsivo della moderna industria casearia. In questo periodo si innescò il commercio internazionale del Gorgonzola, che portò ditte milanesi, codognesi, piemontesi e anche lecchesi a realizzare grandi casere in Valsassina: non è un caso che i nomi dei marchi delle industrie casearie più note, pur oggi quasi sempre passati in altre mani, siano tutti di famiglie di origine bergamina come Galbani, Invernizzi, Cademartori, Mauri.
Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni '90 del Novecento diversi fattori logistici ed economici - come il progresso dei sistemi di refrigerazione che permise di svincolarsi dalle grotte valsassinesi, il conferimento del latte direttamente alle Centrali e la progressiva fissazione in pianura degli allevatori - portarono i bergamini a cessare l'attività tradizionale di transumanza.
Di ciò rimane solo un ricordo lontano, che rivive oggi grazie alle testimonianze degli anziani e a qualche manifestazione rievocativa.
Fortunatamente però, il cosiddetto tesoro caseario dei bergamini, ovvero lo stracchino, è stato gelosamente tramandato per secoli come patrimonio famigliare, ed è per questo che ancora oggi lo si può trovare, e soprattutto gustare, sulle nostre tavole.
Per tracciarne la storia è bene però partire dalle origini, e quindi dalla figura dei "bergamini". All’epoca la grande maggioranza delle famiglie rurali della fascia montana tra la Valsassina e l'alta val Sabbia viveva con una o due mucche, un vitello e un maiale negli spazi ristretti di stalle e pascoli offerti dalla tradizione insediativa della montagna: bergamì diventava chi riusciva, non senza sacrifici, ad allargare la mandria a dieci, venti bovini.
Giuseppe Invernizzi, direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco
Passati da un'economia di sussistenza a un'economia di produzione, questi allevatori di montagna si trovarono a dover iniziare la pratica della transumanza per garantire un foraggio adeguato ai propri animali.E così, ogni anno, contraddistinti dall'immancabile grembiale da casaro di tela azzurra detto scussaar, dal cappello rotondo di feltro scuro e dal tabarro di lana, i bergamini erano soliti abbandonare gli alpeggi dopo la festa di San Michele per passare l'inverno in pianura, nel basso milanese, nel cremonese e nel lodigiano, tornando sui monti solo a metà aprile.
Ciò che li spingeva a compiere una tale fatica non era l'aspirazione a diventare un possidente, ma piuttosto la caseificazione, la stalla e l'amore per le mucche.
“È un formaggio che si può produrre con gli animali al pascolo, in continuo spostamento alla ricerca di foraggio fresco. Il nome si riferisce infatti all’aggettivo "stracco", ad indicare la condizione delle mandrie di vacche in transumanza per centinaia di chilometri dalle Alpi alle Valle Padana”. Secondo quanto riportato da Fedele Massara in un suo scritto del 1866, la semplicità di questa lavorazione annovererebbe lo stracchino tra i più antichi formaggi, sicuramente precedente al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano.
Eppure le differenze non sono affatto poche. A determinare il gusto e le diverse caratteristiche ci sono diversi elementi: quantità di caglio, tempi di coagulazione, taglio della cagliata, pezzatura, salatura, stuffatura e stagionatura.
Se da un lato nell'antico mondo contadino montanaro - dove la ricchezza veniva quantificata in relazione al numero di mucche e non in riferimento a proprietà di terreni - il bergamì spiccava nella scala sociale perché collocato ai vertici dell'economia locale come persona benestante, al contrario in pianura veniva considerato spesso una sorta di zingaro, in virtù dei continui spostamenti.
Tuttavia queste figure – attestate già dal 1400 - per cinque secoli hanno rappresentato la punta più avanzata di un sistema economico diffuso e fondato sul piccolo allevamento zootecnico, rimanendo spesso misconosciute in quanto non facilmente incasellabili negli schemi della scienza economica e sociale dei secoli XIX e XX.
Fu dal 1880, con il boom dei formaggi molli, che la Valsassina conobbe un'epoca di splendore, contraddistinguendosi come il filone più innovativo e propulsivo della moderna industria casearia. In questo periodo si innescò il commercio internazionale del Gorgonzola, che portò ditte milanesi, codognesi, piemontesi e anche lecchesi a realizzare grandi casere in Valsassina: non è un caso che i nomi dei marchi delle industrie casearie più note, pur oggi quasi sempre passati in altre mani, siano tutti di famiglie di origine bergamina come Galbani, Invernizzi, Cademartori, Mauri.
Tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni '90 del Novecento diversi fattori logistici ed economici - come il progresso dei sistemi di refrigerazione che permise di svincolarsi dalle grotte valsassinesi, il conferimento del latte direttamente alle Centrali e la progressiva fissazione in pianura degli allevatori - portarono i bergamini a cessare l'attività tradizionale di transumanza.
Di ciò rimane solo un ricordo lontano, che rivive oggi grazie alle testimonianze degli anziani e a qualche manifestazione rievocativa.
Fortunatamente però, il cosiddetto tesoro caseario dei bergamini, ovvero lo stracchino, è stato gelosamente tramandato per secoli come patrimonio famigliare, ed è per questo che ancora oggi lo si può trovare, e soprattutto gustare, sulle nostre tavole.
P.M.