Vercurago: premiato il racconto di Linda Spadri, il dr Gulisano presenta il suo libro

Giovedì 8 Giugno alle 21 in biblioteca a Vercurago si è svolta la premiazione del concorso estemporaneo di racconto breve.
L'iniziativa, voluta dall'allora Presidente della Commissione Biblioteca dr. Edoardo Bolis, è nata nel 2008 e si rivolge a un pubblico di giovani aspiranti scrittori che, nell'arco di una serata, devono creare un racconto ispirato ad un tema che scoprono soltanto al momento.

I partecipanti e gli organizzatori del concorso estemporaneo di racconto breve

Dopo alcuni anni di stop il concorso è stato riproposto e quest'anno gli scrittori si sono dovuti rifare alla mostra fotografica "L'arte delle mani" di Danilo Butta esposta negli spazi della biblioteca: una collezione di scatti che ritraggono mani intente a lavorare, costruire, suonare, accarezzare, scrivere, dipingere e così via.
Gli elaborati sono stati giudicati dalla giuria presieduta da Paolo Gulisano e composta da Michele Meoli, Paolo Valsecchi, Chiara Ronzoni, Francesco Coveney, Danilo Butta e Salvatore Pelagalli. Vincitrice di questa edizione è Linda Spandri, trentacinquenne mandellese musicoterapista e insegnante con il suo racconto "Collezione di mani", che potete leggere in fondo a questo articolo: Linda è riuscita a raccontare in pochissimo spazio le storie di una serie di personaggi che si incontrano, una sera, in un'osteria, tratteggiando con poche capaci pennellate un carrellata di esperienze, volti, caratteri.
Il suo racconto è stato letto al pubblico dall'attrice Cristina Combi.

La vincitrice Linda Spandri

Paolo Gulisano, William Bonacina, Sara Amigoni

Al concorso hanno partecipato anche Paolo Roveri, Rachele Isacco, Marco Gennuso e (fuori concorso) il presidente della commissione biblioteca William Bonacina.
Hanno avuto 4 ore di tempo per scrivere il loro racconto. Diversi i temi trattati: quelle narrate sono mani che scoprono l'amore ma anche la malattia, mani che aiutano ma anche mani che commettono violenze. Durante la serata di premiazione, Paolo Gulisano - che oltre ad essere medico è anche scrittore e saggista- ha presentato il suo ultimo libro "Il prodigio di Lisbona" (edito da Elledici): un romanzo dedicato alla storica finale di Coppa dei Campioni che si è disputata il 25 maggio del 1967, proprio nella capitale portoghese, tra la mitica "Grande Inter" e la leggendaria squadra scozzese del Celtic Football Club.
Sono tante le storie che si intrecciano intorno a questo avvenimento in un certo senso "storico" soprattutto per i tifosi del Celtic, una squadra nata nelle periferie industriali di Glasgow che si ritrova a sfidare (e a vincere) la formazione favoritissima dell'Inter.

 "Nel libro mescolo fatti storici e inventati. Uno dei personaggi di finzione è Peter Smith, un giornalista scozzese incaricato di seguire l'evento, che arriverà in Italia per intervistare i campioni dell'Inter ma anche per ripercorrere la sua esperienza nel campo di prigionia di Fossoli, dove vennero internati anche i soldati inglesi" ha raccontato Gulisano. "Altri protagonisti sono 2 giovani tifosi squattrinati del Celtic che per riuscire a raggiungere Lisbona senza spendere soldi decidono di aggregarsi ad un pellegrinaggio a Fatima, che si trova sempre in Portogallo, e dove - sempre nel maggio di quel 1967 - si celebrava il 50° anniversario dall'apparizione di Maria".

L’attrice Cristina Combi

Alla fine il prodigo avviene e il Celtic dalla Scozia riesce a salire sul tetto d'Europa: un'impresa leggendaria, un "prodigio" per l'appunto, che rivivere nell'opera di Gulisano cui anche la Gazzetta dello Sport ha voluto dedicare una recensione.

“Collezione di mani” di Linda Spandri

- Va' a prendere del vino per il Miro!
L'ordine della nonna era di quelli che non si potevano discutere, ma Laura ne avrebbe volentieri fatto a meno. Aveva diciassette anni, un viso paffuto accarezzato da lunghi capelli ramati e mossi. Non rammentava granché dei propri primissimi anni: i ricordi più lontani risalivano già all'osteria, in compagnia dei nonni. Era come se fosse sempre stata lì, tra gli avventori, fino a orari improponibili, ogni notte. Le maestre della scuola elementare, anni addietro, si erano lamentate perché a volte si addormentava seduta al banco, con la testa appoggiata alla mano, davanti al quaderno. La nonna aveva messo in riga anche le insegnanti. Il nonno era diverso: un uomo mite, che stravedeva per quella nipotina. Laura ricordava bene quando, da piccola, era lui a metterla in piedi ai tavoli e a chiederle di cantare. La piccola si godeva il proprio momento di gloria, che culminava nell'applauso di tutti gli avventori. La Luli, in genere l'unica donna presente, col suo rossetto sgargiante e il reggicalze in vista oltre il bordo della sottana nonostante non fosse più giovanissima, accennava spesso anche una carezza, mentre tracannava vino come un uomo, accendendo le ire di nonna, che immancabilmente rinfacciava al consorte:
- Tu continua a metterla sul tavolo, vedrai se non finisce come la Luli!
Eppure, Laura era convinta che proprio in quelle sere di anni prima era esplosa la curiosità per le mani. Aveva iniziato ad osservarle in silenzio: le mani grandi, nodose, degli uomini che lavoravano nei campi; quelle del Neri, che aveva aperto un'officina col proprio nome sulla saracinesca, e che si chiamava così già prima che il grasso dei motori gliele annerisse; quelle rovinate dal vento e dal sole di Obraian, che vantando anni di lavoro come pescatore in un paesino dell'Irlanda, si faceva chiamare in quel modo e così si firmava pure, senza badare alla forma; quelle che recavano le prime macchioline marroni dell'età, ma ugualmente morbide e con le unghie laccate, della Luli.
Si era fatta un'immaginaria collezione di mani. Aveva iniziato ad immaginare quali storie nascondessero e si era accorta che, meno ne sapeva in realtà, e più avvincenti erano i castelli che edificava in aria. Obraian, allora, non era più un pescatore che aveva cercato invano fortuna in un posto lontano. Era partito correndo dietro ad una donna dalla pelle chiara che però non lo ricambiava; aveva ucciso il rivale in amore ed era finito ai lavori forzati in una cava di sassi. E il Neri, invece, aveva aperto l'officina con dei soldi che aveva nascosto per conto di qualcuno, che però era morto prima di poterli reclamare. Con la Luli, all'inizio, era stato più difficile: si era immaginata che quelle mani che le accarezzavano le guance potessero assomigliare a quelle della mamma, che Laura non ricordava. I commenti della nonna, però, che inseguivano l'altra donna ogni volta in cui lasciava l'osteria, quasi sempre in compagnia di un uomo diverso che veniva a prenderla, le avevano fatto intuire che dietro alle unghie impeccabili sulle dita affusolate si celasse qualcosa che non poteva essere raccontato in presenza di una bambina. Quale fosse realmente la professione della Luli, Laura l'aveva capito solo dopo alcuni anni.
- Allora, il vino del Miro? - sbraitò la nonna, mentre passava lo straccio sul bancone.
- Eccomi, eccomi – rispose la nipote, riemergendo dalla cantina, mentre l'anziana brontolava sommessamente.
Laura posò la caraffa sul tavolo, accanto all'uomo che l'aveva ordinato e che non le era mai interessato: aveva le mani di chi ha sempre lavorato poco, preferendo tentare di arricchirsi alle corse dei cavalli, senza al contempo prendersi cura di sé. Mani anonime, insomma.
Fu in quel momento che la porta si aprì e per un istante ogni cosa sembrò fermarsi: gli occhi di tutti i presenti si fissarono sul giovane uomo appena entrato. Ad occhio e croce avrà avuto venticinque anni. Occhi chiari nel viso ombreggiato da una corta barba, portava sulle spalle uno zaino e in mano una chitarra. Un forestiero. Salutò con un cenno del capo, cui nessuno rispose, tranne la Luli che lasciò partire un fischio, seguito da una risata gorgogliante. Si avvicinò al bancone, chiedendo se fosse possibile avere un posto per dormire. La nonna lo squadrò da capo a piedi, commentando laconicamente:
- Fienile.
- Grazie. Mangerei qualcosa, se la cucina è ancora aperta.
- La cucina è aperta, ma qui mangia solo chi paga, intesi?
Il giovane annuì e si sedette ad un tavolo.
- Laura! Invece di restartene lì imbambolata, apparecchia!
La giovane trottò alla credenza e prese un piatto, un bicchiere e le posate. Mentre li posava sul tavolo, incrociò con lo sguardo gli occhi dello sconosciuto e all'improvvisò si scoprì le mani tremanti, rischiando di far cadere tutto. Restò tutta la sera in disparte ad osservarlo. Non aveva mai visto due mani come quelle del giovane, con le unghie pulite, senza cicatrici né macchie. Apparivano delicate, ma senza sembrare quelle di una donna. Era come se arrivassero da un mondo cui lei non apparteneva. Attese che l'uomo terminasse di cenare e, dopo aver pagato, si dirigesse verso il fienile, come indicatogli dalla nonna, poi sgattaiolò fuori e lo seguì di soppiatto. Nascosta dietro la porta, lo guardò affascinata prepararsi una sigaretta, arrotolandola tra pollice e indice, lisciando la cartina, e poi, dopo averla accesa, tenerla tra l'indice e il medio. L'aria della sera, nonostante l'ora tarda, era ancora calda. La nonna, Laura poteva sentirla anche stando fuori, doveva essersi seduta con qualche avventore del paese, perché distintamente si udivano le sue imprecazioni e i pugni delle grosse mani sgraziate battuti sul tavolo, mentre malediceva il destino per averla resa vedova lasciandole comunque una nipote orfana e tanto svanita.
- Guarda che puoi venire qui, non ti faccio niente. Tanto lo so, che sei dietro la porta!
Laura sussultò e, arrossendo, apparve nel rettangolo della porta della legnaia.
- Laura, giusto?
- Sì – sussurrò lei.
- Io sono Mario. Vieni, mica ti mangio. Ti piace la musica?
Lei annuì, sedendoglisi di fronte. Lui prese la chitarra e intonò una canzone. Aveva una voce piacevole, ma Laura in realtà non riusciva a staccare gli occhi dalle sue mani, che sembravano accarezzare le corde, scivolando come in una danza. Fu felice che lui non la stesse guardando, quando pensò che nessuno l'aveva mai sfiorata in quel modo. S'immaginò come fosse avere un paio di mani –quelle mani, non altre- che scivolano sulla schiena, sui rilievi delle vertebre. Si domandò se ci fosse una musica, per raccontare la sensazione dei brividi sottopelle, così simile alla vibrazione leggera delle corde dello strumento suonato da Mario. Pensò alla pelle d'oca sotto il tocco delle dita come ad una miriade di stelle tridimensionali nel cielo.
- Hai freddo? - le chiese lui all'improvviso.
- No. Perché?
- Hai le mani che tremano – le rispose lui, prendendole tra le proprie. Le guardò i palmi per un istante, poi le chiese: - Pensi mai che ogni centimetro della pelle delle mani di una persona ci racconti qualcosa sulla sua vita? Su quella che ha vissuto e sta vivendo, o magari sul quella che avrebbe voluto vivere e che forse non vivrà mai...
Laura gli rivolse uno sguardo stupito, poi ebbe il coraggio di fare una domanda:
- Che cosa ci vedi, nelle mie, di mani?
- Vedo che vorrei tenerle tra le mie il più a lungo possibile, perché non posso trattenere i tuoi pensieri e i tuoi desideri. È da quando sono entrato che ti osservo e si capisce, sai?
- Che cosa?
- Che non sei qui. Che la tua vita è un intreccio di vite sconosciute. Che quello che guardi non è quello che vedi. Ma se tengo le tue mani, almeno tu diventi vera, reale.
Laura osservò per un po' le mani che tenevano le sue, quando d'un tratto Mario le accarezzò il volto. Proprio in quell'istante, si udì la voce della nonna. Il giovane si ritrasse.
- Credo che ti stiano chiamando.
- Per una volta, lasciamola strepitare... - sorrise lei.
Sentì di aver finalmente trovato una mano che la teneva ancorata
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