Valmadrera: alla scoperta della storia della Chiesa Parrocchiale con Luce Nascosta
A Valmadrera il conto alla rovescia per la tanto attesa festa patronale si trasforma nell’imperdibile occasione per un viaggio nella storia della città, intrisa di usi e costumi, vita comunitaria ed anche spiritualità. In merito a quest’ultimo punto, in particolare, l'associazione Luce Nascosta in collaborazione con il Comune e la Parrocchia di Sant'Antonio Abate ha proposto nella mattinata di domenica una serie di visite guidate alla scoperta della recentemente restaurata chiesa parrocchiale, per condividerne con i più curiosi i segreti ed il passato custodito fra le sue quattro mura. I volontari hanno fatto da Cicerone ai due gruppi che alle ore 9.00 e alle 11.30 hanno popolato l’edificio sacro è stato Carlo Cantoni, focalizzando l’attenzione su ogni sfaccettatura della cappella, dalle sue origini fino ai contributi artistici e tracciandone un quadro globale tanto dettagliato quanto solenne.
A causa del periodo di profonda difficoltà economica e di carestia, i lavori ufficiali per la costruzione dell’edificio avranno inizio solo verso la fine del 1700 secondo il disegno di una navata unica a pianta centrale abbracciata da quattro colonne portanti di ordine gigante, ideato dell’architetto mantovano Clemente Isacci: i primi rallentamenti nei lavori si verificheranno però subito dopo la posa della prima pietra a causa di problemi economici e costruttivi per colpa del terreno in discesa e poco stabile. Riprenderanno così nel 1811 capitanati da un giovanissimo Giuseppe Bovara affiancato dal celebre architetto Simone Cantoni, detto Cantòn Grigo, che si occupera esclusivamente del sopralluogo conclusivo e di uno scambio di bozze con il collega. Nel giro di nove anni la struttura titanica della chiesa è così emersa definitivamente dalla roccia concretizzandosi sotto lo sguardo del parroco di allora che optò per un ulteriore allungamento l'ingresso, “guastando” il progetto inziale a pianta quadrata proposto da Isacci. Nonostante la sua scultorea maestosità, elogiata da tutti i giornali del tempo, il santuario era però ancora spoglio di decorazioni ed ornamenti: gli architetti lasciarono così il campo libero agli artisti dell’Accademia milanese di Brera, Pompeo Marchesi e successivamente l’allievo Benedetto Cacciatori, che realizzarono rispettivamente i due angeli in gesso che svettano dall’altare e gli altri due protagonisti in marmo dell’edificio: la figura morbida e drappeggiata di Sant'Antonio Abate nel cuore di una nicchia vicino all’ingresso e la statua del Cristo Redentore che sormonta l’altare.
In ambito pittorico i riconoscimenti vanno invece all’artista ottocentesco Luigi Sabatelli che, sulla volta che dall’alto avvolge tutta la navata centrale, riprodusse una meticolosa ed altrettanto ardua rappresentazione dell’apocalisse e, sui pennacchi, delle quattro virtù religiose in un lavoro certosino al quale dedicò ben un decennio. Opera di Raffele Casnedi, suo allievo, furono invece i due affreschi laterali del presbiterio, dedicati in modo contrapposto al Nuovo e Vecchio Testamento: da un lato infatti la scena mostra Gesù in trono, pronto ad accogliere a sé i fedeli, affiancato da un San Pietro le cui sembianze sarebbero presumibilmente un autoritratto di Casnedi e da una figura femminile che possiede il volto di Luigia Galazzi, benefattrice della scuola dell’infanzia di Valmadrera inaugurata in quello stesso anno. Dall’altro lato invece è rappresentato Mosè con in mano le tavole della legge in cima al monte Sinai ed in testa due rapide pennellate di colore che potrebbero rappresentare due raggi di luce come due corna (entrambi questi termini nei testi biblici originali possiedono infatti la medesima traduzione): in quest’occasione essi sono stati utilizzati dal pittore come omaggio alla storia dell’arte antica, che usava spesso apporre tali elementi sul capo di figure religiose.
A spiccare negli altari laterali delle navate sono invece l’assunzione della Madonna attorniata da putti alati di Giuseppe Bertini, il quale si ispirò ad un dipinto di quasi 200 anni prima sfruttandone il virtuosismo barocco, e la Crocifissione a cura di Mosè Bianchi, opera meno accademica in cui la scena ridotta ai minimi termini raffigura non un Cristo trionfante bensì un uomo afflitto dal drammatico dolore della morte.
Ultima ad essere esposta al pubblico è infine l’opera forse più controversa che abita la Chiesa di S. Antonio Abate: si tratta di un dipinto risalente alla seconda metà del 1500 – quando la Chiesa stessa non esisteva ancora - di cui si ipotizza essere artefice Giampaolo Lomazzo. La rappresentazione cupa e minimalista della Crocifissione - originariamente destinata ad un'altra chiesa ma per una serie di vicissitudini approdata nel mercato – è infatti una delle poche opere del pittore milanese ancora in circolazione, tanto da attirare turisti da ogni dove pur di osservarne da vicino la fisionomia manieristica dei corpi, la loro studiata anatomia ed infine il colore sfumato dello sfondo che mostra un’evidente conoscenza dei pittori lombardi e della loro storia artistica.
A causa del periodo di profonda difficoltà economica e di carestia, i lavori ufficiali per la costruzione dell’edificio avranno inizio solo verso la fine del 1700 secondo il disegno di una navata unica a pianta centrale abbracciata da quattro colonne portanti di ordine gigante, ideato dell’architetto mantovano Clemente Isacci: i primi rallentamenti nei lavori si verificheranno però subito dopo la posa della prima pietra a causa di problemi economici e costruttivi per colpa del terreno in discesa e poco stabile. Riprenderanno così nel 1811 capitanati da un giovanissimo Giuseppe Bovara affiancato dal celebre architetto Simone Cantoni, detto Cantòn Grigo, che si occupera esclusivamente del sopralluogo conclusivo e di uno scambio di bozze con il collega. Nel giro di nove anni la struttura titanica della chiesa è così emersa definitivamente dalla roccia concretizzandosi sotto lo sguardo del parroco di allora che optò per un ulteriore allungamento l'ingresso, “guastando” il progetto inziale a pianta quadrata proposto da Isacci. Nonostante la sua scultorea maestosità, elogiata da tutti i giornali del tempo, il santuario era però ancora spoglio di decorazioni ed ornamenti: gli architetti lasciarono così il campo libero agli artisti dell’Accademia milanese di Brera, Pompeo Marchesi e successivamente l’allievo Benedetto Cacciatori, che realizzarono rispettivamente i due angeli in gesso che svettano dall’altare e gli altri due protagonisti in marmo dell’edificio: la figura morbida e drappeggiata di Sant'Antonio Abate nel cuore di una nicchia vicino all’ingresso e la statua del Cristo Redentore che sormonta l’altare.
In ambito pittorico i riconoscimenti vanno invece all’artista ottocentesco Luigi Sabatelli che, sulla volta che dall’alto avvolge tutta la navata centrale, riprodusse una meticolosa ed altrettanto ardua rappresentazione dell’apocalisse e, sui pennacchi, delle quattro virtù religiose in un lavoro certosino al quale dedicò ben un decennio. Opera di Raffele Casnedi, suo allievo, furono invece i due affreschi laterali del presbiterio, dedicati in modo contrapposto al Nuovo e Vecchio Testamento: da un lato infatti la scena mostra Gesù in trono, pronto ad accogliere a sé i fedeli, affiancato da un San Pietro le cui sembianze sarebbero presumibilmente un autoritratto di Casnedi e da una figura femminile che possiede il volto di Luigia Galazzi, benefattrice della scuola dell’infanzia di Valmadrera inaugurata in quello stesso anno. Dall’altro lato invece è rappresentato Mosè con in mano le tavole della legge in cima al monte Sinai ed in testa due rapide pennellate di colore che potrebbero rappresentare due raggi di luce come due corna (entrambi questi termini nei testi biblici originali possiedono infatti la medesima traduzione): in quest’occasione essi sono stati utilizzati dal pittore come omaggio alla storia dell’arte antica, che usava spesso apporre tali elementi sul capo di figure religiose.
A spiccare negli altari laterali delle navate sono invece l’assunzione della Madonna attorniata da putti alati di Giuseppe Bertini, il quale si ispirò ad un dipinto di quasi 200 anni prima sfruttandone il virtuosismo barocco, e la Crocifissione a cura di Mosè Bianchi, opera meno accademica in cui la scena ridotta ai minimi termini raffigura non un Cristo trionfante bensì un uomo afflitto dal drammatico dolore della morte.
Ultima ad essere esposta al pubblico è infine l’opera forse più controversa che abita la Chiesa di S. Antonio Abate: si tratta di un dipinto risalente alla seconda metà del 1500 – quando la Chiesa stessa non esisteva ancora - di cui si ipotizza essere artefice Giampaolo Lomazzo. La rappresentazione cupa e minimalista della Crocifissione - originariamente destinata ad un'altra chiesa ma per una serie di vicissitudini approdata nel mercato – è infatti una delle poche opere del pittore milanese ancora in circolazione, tanto da attirare turisti da ogni dove pur di osservarne da vicino la fisionomia manieristica dei corpi, la loro studiata anatomia ed infine il colore sfumato dello sfondo che mostra un’evidente conoscenza dei pittori lombardi e della loro storia artistica.
F.A.