Al caffè letterario al Manzoni il coro CAI di Molteno. 'Omaggio' ai 2 morti in Grignetta
"I ricordi sono pieni di silenzio, le immagini sono silenziose: il silenzio fa sì che il passato non susciti desideri ma tristezza, un'enorme sconsolata malinconia. Quelle cose care che furono non torneranno mai più: qui in trincea il ricordo non sorge più".
Con queste parole - tratte dai ritagli di vita in trincea di Lussu, Soffici, Gadda e moltissimi altri soldati ormai senza nome e senza volto - la domenica dell'Ospedale Manzoni di Lecco si è immersa nel ricordo della Prima Guerra Mondiale, ad un centenario dalla fine che ha impresso indelebili cicatrici sia sull'Italia che sui suoi valorosi combattenti.
Ad occuparsi dell'iniziativa è stata ancora una volta l'associazione di volontariato "Biblio Hospitalis" capitanata dal presidente Vittoria Castagna, che con dedizione dà vita ad attività ricreative e culturali all'interno dell'ambiente ospedaliero inserendole nell'ambito del Caffè Letterario: protagonista di quello di questo fine settimana è stato il coro C.A.I. di Molteno che per l'occasione ha proposto al pubblico riunito nella hall dell'ASST una serie di brani a quattro voci, intervallati dalla lettura recitata di testi scritti dalla penna di coloro che hanno vissuto le infinite sfumature della Grande Guerra.
Interpretato dalla voce narrante dalla garbagnatese Elisabetta Rigamonti (membro "condiviso" sia dal gruppo di Biblio Hospitalis che dal C.A.I.), il brano tratto dal romanzo storico di Erich Maria Remarque "Niente di nuovo sul fronte occidentale" ha drammaticamente aperto le danze, interrogando silenziosamente gli spettatori circa i motivi che spinsero tanti giovani ad arruolarsi, l'onore trasmesso dagli educatori e l'illusione della gloria e dell'amor di patria; mentre sullo sfondo della piccola sala d'attesa gremita la maestra Ione Stefanelli dettava la prima nota del brano "Montagne Addio" firmato da Giancarlo Dregai.
In una suggestiva combinazione tra musica e lettura si sono così fuse insieme polifonie di voci diverse: da un lato il racconto degli uomini sul campo, come la lettera del tenente Emilio d'Acunzio alla madre intrisa di mitizzazione bellica e allo stesso tempo di nostalgia, o la rievocazione dei momenti in trincea precedenti all'assalto durante i quali la pioggia di mitragliatrici era ottenebrata solo dalla paura insidiata negli occhi spalancati, dai movimenti lenti e faticosi e da "una calma completa assoluta mista ad una stanchezza infinita". Dall'altro lato, alle spalle del leggio, prendevano invece vita gli spartiti del "Canto Monte Pasubio", composto da Carlo Geminiani e Giuseppe De Marzi ed intriso del coraggio degli Alpini, e subito dopo "Il testamento del capitano" cantato sottovoce anche dal pubblico in un misto di angoscia e rispetto.
Una presenza importante, quella degli Alpini, raccontata snocciolando le difficoltà degli appostamenti ad oltre 3000 metri di quota, la giovane età dei combattenti, l'abitudine nel sopportare temperature rigide e nel reggere la fatica di terreni impervi, ma anche l'inadeguatezza delle attrezzature e delle uniformi grigio-verde facilmente individuabili dai nemici nel chiarore della neve.
Un biancore macchiato dal sangue di vittime innocenti, ma soprattutto dalla menzogna di una guerra gloriosa o lodevole: "dulce et decorum est pro patria mori" raccontava Wilfred Owen nell'omonima opera, paragonando quel mantra alle imprecazioni nel fango, al bagliore delle esplosioni, ai soldati zoppicanti, ubriachi di stanchezza e sordi persino ai sibili delle granate.
Ma una volta terminata la guerra ciò che rimane da cantare è il ritorno a casa e "alle conosciute montagne", la speranza di un nuovo inizio sebbene privo di radici e rami, narrato dalle voci potenti ed armoniose dei coristi con il canto "Benia Calastoria" di Bepi De Marzi.
A concludere questa puntata del Caffè Letterario, insieme alla memoria dei Caduti del secolo scorso, c'è stata però anche la commozione per Giovanni Giarletta ed Ezio Artusi, gli amici tragicamente strappati alla vita venerdì nell'inaspettato incidente in Grignetta: a loro è stato dedicato l'ultimo brano, "Signore delle cime", quasi fosse una preghiera collettiva attraverso la quale il C.A.I., con voce strozzata e viso rigato dalle lacrime, ha porto il saluto finale agli amici richiamati a sé dalla montagna.
Con queste parole - tratte dai ritagli di vita in trincea di Lussu, Soffici, Gadda e moltissimi altri soldati ormai senza nome e senza volto - la domenica dell'Ospedale Manzoni di Lecco si è immersa nel ricordo della Prima Guerra Mondiale, ad un centenario dalla fine che ha impresso indelebili cicatrici sia sull'Italia che sui suoi valorosi combattenti.
Elisabetta Rigamonti
Ad occuparsi dell'iniziativa è stata ancora una volta l'associazione di volontariato "Biblio Hospitalis" capitanata dal presidente Vittoria Castagna, che con dedizione dà vita ad attività ricreative e culturali all'interno dell'ambiente ospedaliero inserendole nell'ambito del Caffè Letterario: protagonista di quello di questo fine settimana è stato il coro C.A.I. di Molteno che per l'occasione ha proposto al pubblico riunito nella hall dell'ASST una serie di brani a quattro voci, intervallati dalla lettura recitata di testi scritti dalla penna di coloro che hanno vissuto le infinite sfumature della Grande Guerra.
La direttrice d’orchestra Ione Stefanelli
Interpretato dalla voce narrante dalla garbagnatese Elisabetta Rigamonti (membro "condiviso" sia dal gruppo di Biblio Hospitalis che dal C.A.I.), il brano tratto dal romanzo storico di Erich Maria Remarque "Niente di nuovo sul fronte occidentale" ha drammaticamente aperto le danze, interrogando silenziosamente gli spettatori circa i motivi che spinsero tanti giovani ad arruolarsi, l'onore trasmesso dagli educatori e l'illusione della gloria e dell'amor di patria; mentre sullo sfondo della piccola sala d'attesa gremita la maestra Ione Stefanelli dettava la prima nota del brano "Montagne Addio" firmato da Giancarlo Dregai.
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In una suggestiva combinazione tra musica e lettura si sono così fuse insieme polifonie di voci diverse: da un lato il racconto degli uomini sul campo, come la lettera del tenente Emilio d'Acunzio alla madre intrisa di mitizzazione bellica e allo stesso tempo di nostalgia, o la rievocazione dei momenti in trincea precedenti all'assalto durante i quali la pioggia di mitragliatrici era ottenebrata solo dalla paura insidiata negli occhi spalancati, dai movimenti lenti e faticosi e da "una calma completa assoluta mista ad una stanchezza infinita". Dall'altro lato, alle spalle del leggio, prendevano invece vita gli spartiti del "Canto Monte Pasubio", composto da Carlo Geminiani e Giuseppe De Marzi ed intriso del coraggio degli Alpini, e subito dopo "Il testamento del capitano" cantato sottovoce anche dal pubblico in un misto di angoscia e rispetto.
Una presenza importante, quella degli Alpini, raccontata snocciolando le difficoltà degli appostamenti ad oltre 3000 metri di quota, la giovane età dei combattenti, l'abitudine nel sopportare temperature rigide e nel reggere la fatica di terreni impervi, ma anche l'inadeguatezza delle attrezzature e delle uniformi grigio-verde facilmente individuabili dai nemici nel chiarore della neve.
Un biancore macchiato dal sangue di vittime innocenti, ma soprattutto dalla menzogna di una guerra gloriosa o lodevole: "dulce et decorum est pro patria mori" raccontava Wilfred Owen nell'omonima opera, paragonando quel mantra alle imprecazioni nel fango, al bagliore delle esplosioni, ai soldati zoppicanti, ubriachi di stanchezza e sordi persino ai sibili delle granate.
Il presidente di Biblio Hospitalis, Vittoria Castagna
Ma una volta terminata la guerra ciò che rimane da cantare è il ritorno a casa e "alle conosciute montagne", la speranza di un nuovo inizio sebbene privo di radici e rami, narrato dalle voci potenti ed armoniose dei coristi con il canto "Benia Calastoria" di Bepi De Marzi.
A concludere questa puntata del Caffè Letterario, insieme alla memoria dei Caduti del secolo scorso, c'è stata però anche la commozione per Giovanni Giarletta ed Ezio Artusi, gli amici tragicamente strappati alla vita venerdì nell'inaspettato incidente in Grignetta: a loro è stato dedicato l'ultimo brano, "Signore delle cime", quasi fosse una preghiera collettiva attraverso la quale il C.A.I., con voce strozzata e viso rigato dalle lacrime, ha porto il saluto finale agli amici richiamati a sé dalla montagna.
Francesca Amato