Lecco: la nutrizionista Polvara parla di alimentazione in ambienti estremi. Ospite 'Steppo'
È stato presentato nella serata di giovedì 26 luglio, presso il “Libraccio” di via Cavour a Lecco, il volume “Alimentazione in ambiente estremo”, alla presenza di una decina di persone che, sfidando la pioggia torrenziale abbattutasi sulla città, hanno deciso di ascoltare l'autrice Donatella Polvara. Ad introdurre l’incontro il presidente del CAI di Lecco Alberto Pirovano, che ha elogiato il libro per due aspetti principali: “Il tema dell'alimentazione in ambiente estremo è affrontato senza imporre una teoria, quanto piuttosto eseguendo il lavoro al contrario: andando a vedere come si nutrono le popolazioni che vivono da centinaia di anni in certi luoghi da noi definiti “estremi”, capendo dunque come possono sopravvivere attraverso la loro alimentazione.” A questo aspetto più “antropologico”, è stato poi integrato il rigore scientifico della professione di nutrizionista, esercitata a tempo pieno dalla scrittrice.

Donatella Polvara, Alberto Pirovano, Stefania Valsecchi
Tra il deserto del Sahara e la Lapponia, infatti, Donatella Polvara ha avuto modo di toccare con mano le abitudini alimentari di popoli abituati a condizioni che noi definiamo estreme, ma che per loro sono del tutto normali: “A -70° gli eschimesi mangiano cibi grassi, con alto contenuto calorico, e questo senza avere problemi di colesterolo, a differenza degli americani: ciò avviene perché la temperatura in cui vivono mette il loro corpo nelle condizioni di dover bruciare, nell'immediato, qualsiasi tipo di grasso per mantenere calore”. Entrando nel vivo della serata, il discorso si è poi spostato sull'alpinismo, per cui la scrittrice ha sottolineato quanto sia diverso il problema nutrizionale per un alpinista che vuole affrontare ottomila metri oppure per una persona che abita in città e vuole farne quattromila: “A partire dai 3-4mila metri si consuma parecchio, ma il fisico non è in grado di nutrirsi in maniera adeguata. Sono da eliminare i grassi, che non facilitano il corpo nella digestione, contando soprattutto sui carboidrati (cibi che si assimilano velocemente) e proteine; per i meno allenati, è necessario che la preparazione avvenga almeno due mesi prima: un'alimentazione corretta permette infatti ai meno esperti di prevenire il mal di montagna”.

Come spiegato dalla scrittrice, nello sviluppo del libro vi è anche un discorso storico, con un excursus dedicato all'alimentazione degli alpinisti degli anni '50: l'evoluzione, infatti, da allora, non è stata solo di carattere tecnico (attrezzature, abbigliamento..) ma anche nutrizionale. La parola è poi passata a Stefania Valsecchi, atleta lecchese che ha affrontato una serie di sfide estreme, dall'Himalaya alle Ande Boliviane e Peruviane, alle alture italiane. “Ho gareggiato in Mongolia, percorrendo 1400 km in mountain bike in 10 giorni: 5 nel deserto del Gobi, in cui il vento raggiunge i 100 km/h, e altrettanti sui monti dell'Altai, le cui altezze pareggiano all'incirca quelle delle nostre Alpi. In 10 giorni sono quindi passata dalla temperatura di 47° a pedalare sulla neve; mi nutrivo di dolcetti di pasta di mandorle ogni 20-40 minuti bevendo sempre qualcosa. È importante, soprattutto in queste situazioni, non abbuffarsi, in quanto il corpo poi risulta affaticato nella digestione; è bene al contrario mangiare poco e costantemente, così come rimanere idratati in ogni momento”. Anche per un'atleta del calibro di Stefania Valsecchi, non sono però mancati gli errori alimentari, soprattutto in giovane età: la “Steppo” ha infatti raccontato come, a vent'anni, abbia cominciato ad appassionarsi alla bici e allo sport in generale: “Ho iniziato ad allenarmi e ad eliminare una serie di alimenti per snellire il mio fisico: il risultato è stato un catabolismo muscolare, per cui i miei muscoli “mangiavano” loro stessi perché non mi nutrivo nel modo corretto; da quel momento non ho mai più trascurato l'alimentazione”.

Sia Stefania Valsecchi che Donatella Polvara hanno quindi insistito sull'importanza di abituare il proprio corpo a cibi non quotidiani: è altamente sconsigliato dalle due esperte abbuffarsi di pietanze locali in alta quota, non essendo il nostro corpo abituato a certi tipi di alimenti. Un ultimo consiglio offerto dalla nutrizionista ha riguardato il rapporto tra le calorie del cibo e la quantità dello stesso: è importante calcolare il peso che possiamo sostenere e quindi quanti alimenti possiamo portare con noi. Per questo, è utile puntare su cibi altamente calorici o proteici con basso peso come ad esempio il pemmican, una galletta di carne essiccata utilizzata per la prima volta dai nativi americani negli anni '30 che può raggiungere le 1000 kcal per 100 grammi. In conclusione ha ripreso la parola Pirovano, auspicando, in quanto presidente del CAI, che sempre più rifugi di alta montagna si possano appoggiare ai consigli di esperti e nutrizionisti, in modo tale da proporre un menù adeguato a sostenere il corpo sotto sforzo in determinati ambienti.
A.A.