Lecco, la città delle industrie che non ci sono più. Il tramonto di un'epoca d'oro

Sono trascorsi poco più di cinquant’anni da quell’agosto 1967 quando, dopo il periodo delle ferie, non si riaprirono i cancelli dell’industria Faini di Via Parini, specializzata nella produzione di raggi per ombrelli e di altrettanto materiale per le ruote di cicli e motocicli. Era il primo segnale di una città delle aziende, Lecco, dove il panorama urbano, dominato dalle cattedrali del ferro che occupavano migliaia di tute blu, avviava un processo di deindustrializzazione esattamente opposto a quello iniziato sul finire dell’Ottocento ed intensamente diffuso in tutta la prima metà del Novecento, ed oltre.


L’attuale area di via Parini, dove c’era l’industria Riccardo Faini

La chiusura della Faini registrava un radicale cambiamento intorno alle aree industriali, una disoccupazione progressiva della realtà produttiva ed occupazionale della Lecco del ferro. Sono scomparsi dalla geografia economica della città la Forni Impianti alla Giazzera, l’Aldè, poi Mambretti, al Ponte Vecchio, la Bettini a Sant’Ambrogio di Maggianico, la Ferriera del Caleotto 1896 (divenuta Meridiana), la Sae in quartiere Acquate, la Badoni in quartiere Castello, la File al Caleotto, ma anche strutture meno consistenti, impegnate, però, da fantasia e laboriosità lecchesi, come la fabbrica di stufe Mazzoleni, in quartiere Santo Stefano, e la Comi al Piscen di Pescarenico.


L’ingresso dei lavoratori della Faini, con lo stemma dell’industria, nella parte bassa, ormai illeggibile

Si è salvato il laminatoio Arlenico, realizzato nel 1904, quando occupò i vasti prati della piana verso Pescarenico e Belledo, oltre il parco di Villa Manzoni al Caleotto. Era una distesa verde, punteggiata da piccoli nuclei agricoli di Besonda Inferiore, Besonda Superiore e Besondina. Vi erano raccordi ferroviari con lo scalo merci Piccola Velocità da parte di complessi come Caleotto, Arlenico, Badoni e File. Negli anni del boom economico, del miraggio meridionale verso le fabbriche del Nord, i complessi di Caleotto ed Arlenico furono scelti per il set di un film. Vennero girate diverse sequenze di “La pelle viva” (anno 1962), con la regia di Giuseppe Fina. Fra i principali protagonisti della pellicola c’erano gli attori Elsa Martinelli e Raoul Grassilli.


I capannoni della Lecco industriale presso il Ponte Vecchio

Il nuovo corso che con la Faini prendeva avvio “nella città delle aziende che non ci sono più” veniva in un certo senso confermato dal Giornale di Lecco di lunedì 11 settembre 1967. Il settimanale scriveva: “Si è appreso da fonti autorevoli che la parrocchia di San Nicolò avrebbe avanzato un’offerta per l’acquisto dell’intera area su cui sorgono gli stabilimenti già di proprietà della Società Riccardo Faini. Esattamente, si tratta della zona fra Via Parini e Via San Nicolò. La proposta sarebbe stata avanzata dal prevosto mons. Enrico Assi, dopo aver ricevuto un’approvazione di massima dagli organi superiori, ovvero della Curia di Milano. La grossa operazione consentirebbe di dare un conveniente sviluppo ai confinanti oratori”.


L’area della demolita Acciaieria e Ferriera del Caleotto

E’, quest’ultima, la storica realizzazione di un nuovo centro parrocchiale San Nicolò sull’area quasi completamente “rivisitata” del glorioso oratorio San Luigi. E’ necessario, però, un impegno finanziario davvero notevole, per sostenere il quale c’è da tempo una lodevole mobilitazione di associazioni e gruppi vari.


L’abbattimento della torre con il serbatoio d’acqua per i forni del Caleotto

Per quanto riguarda il congedo della Lecco industriale, si potrebbe far risalire tale data alla primavera 1991, quando nell’area della vecchia Ferriera del Caleotto, ormai completamente demolita, venne fatta saltare, con un’operazione seguita dai mass media e da centinaia di curiosi, l’alta torre cilindrica serbatoio d’acqua per i forni dell’industria. Era praticamente una bandiera che veniva ammainata tra memorie e ricordi.
Aloisio Bonfanti
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