Lecchesi all'estero/2: Noemi Valsecchi, au pair a Tralee, con due dispettosi bambini alla scoperta del… ‘caldo irlandese’
Noemi Valsecchi ha 22 anni, vive a Rossino, frazione di Calolziocorte, e attualmente studia alla Facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari dell’Università Statale di Milano. Nell’anno 2015-2016 ha vissuto come au pair, ragazza alla pari, a Tralee, cittadina della contea del Kerry, in Irlanda.

Cosa ti ha spinto a diventare Au Pair?
E’ una cosa che ho sempre voluto fare, sin dalle superiori, solo che non ho mai avuto abbastanza coraggio per buttarmici. Alla fine ho deciso di partire semplicemente per la voglia di conoscere una nuova cultura, di viverla direttamente sulla mia pelle, oltre che per la volontà di coltivare la mia indipendenza.
Come ti sei avvicinata a questo mondo?
Perché hai scelto proprio quella famiglia?

Come è stato il primo giorno? Quali le difficoltà iniziali?
Sono atterrata a Dublino e da lì ho preso il treno per Tralee, la città dove ho soggiornato. Mi ricordo che pioveva tantissimo, ovviamente! Sono stata catapultata dal caldo settembre italiano a quello freddo irlandese! Sono arrivata in una stazione deserta, non c’era anima viva, ero un po’ in panico: “Oddio! Cosa faccio?”. Poi ho mandato un messaggio alla famiglia, spendendo un capitale, perché due anni fa non c’era ancora la possibilità di usare il proprio piano tariffario all’estero! Alla fine sono arrivati a prendermi Marion, la mia host mum, e i due bimbi. Mi ricordo che avevano preparato un cartellone con scritto: “Welcome Noemi!” (“Benvenuta Noemi!”). Sono salita in macchina e la prima domanda che i bambini mi hanno fatto è stata quale fosse il mio colore preferito. Mi sono sentita subito messa in esame! Alla fine ho azzeccato, ho detto “verde”, colore preferito di tutti e due! Siamo poi arrivati a casa, era pomeriggio tardo, e abbiamo cenato tutti insieme. Ecco, questo è stato un po’ il mio primo giorno. Per quanto riguarda le difficoltà iniziali, ovviamente la lingua, soprattutto con i bambini, i quali pretendono che tu capisca e che tu risponda nel modo corretto. Poi ovviamente la mancanza di casa durante la prima settimana ha reso le cose un po’ dure. Non volevo sapere nulla dall’Italia, preferivo che nessuno mi scrivesse, per evitare che mi venisse il magone ogni volta! Anche l’ambientarsi è stato difficile, soprattutto nella nuova casa, dove ho dovuto ridimensionare i miei spazi: la mia stanza era molto piccola, il bagno era in comune e ho dovuto adattarmi ai due bambini. Per quanto riguarda le amicizie sono stata molto fortunata, la ragazza prima di me mi aveva dato il contatto di un’altra au pair italiana lì a Tralee, e già la prima settimana ci eravamo viste e avevamo parlato molto. E questo mi ha rincuorata.
Come ti sei trovata con la famiglia? Sei ancora in contatto con loro?
Con la famiglia mi sono trovata bene. All’inizio ho avuto alcune difficoltà con i bambini, avevano già vissuto con due au pair prima di me, legandosi molto con l’ultima, e quindi è stato un po’ difficile per loro ingranare con me. E, d’altro canto, io ho fatto fatica a farmi amare, diciamo così! Quindi all’inizio non è stato facile con loro, ma fortunatamente i genitori da subito mi hanno supportata. Poi una volta che sono riuscita a farmi accettare dai bambini è andato tutto bene. Ovviamente all’inizio ci sono state difficoltà nell’adattarsi al loro modo di vivere: magari cose che per me sembrava naturale fare, per loro non lo erano, e viceversa. Io ero abituata a vivere in un determinato modo e loro in un altro. Questo avveniva soprattutto con la madre, perché comunque era con lei che entravo più in relazione, scontrandomi ogni tanto, ma niente di grave! Semplicemente io la pensavo in un modo e lei in un altro. Adesso ci sentiamo ancora! In realtà poco dopo il mio rientro in Italia sono venuti a trovarmi per tre giorni, e poi sono stati sul Lago di Como. Poi ovviamente con il passare del tempo ci sentiamo un po’ più di rado, per lo più nelle occasioni importanti. Posso dire che abbiamo creato un bel rapporto!
Di cosa ti occupavi? Raccontaci un po’ la tua giornata tipo.
Io principalmente mi occupavo dei due bambini, che avevano, ai tempi, sei e otto anni. Andavano alla scuola elementare, e perciò avevo le mattine sempre libere, che impegnavo facendo qualche lavoretto domestico (dovevo aiutare un po’ in casa). Una mattina a settimana andavo a yoga e a volte al corso di inglese, che però principalmente seguivo durante la sera. Poi andavo a prendere il più piccolo, e un’ora dopo l’altro, per poi mangiare insieme ciò che avevo cucinato. Marion, l’host mum, è un’insegnante, e quindi i suoi orari di lavoro variavano: a volte tornava alle 19.00 e quindi dovevo passare tutto il pomeriggio con i bambini, o addirittura metterli a letto; altre volte invece già alle 16.00 era a casa. Una volta che lei finiva di lavorare ero libera di fare quello che volevo: andavo in città, oppure passavo il tempo con loro, le poche volte che c’era bel tempo andavamo in spiaggia! La sera invece andavo al corso d’inglese, tre volte a settimana per due orette, dove mi trovavo con gli amici, con i quali poi andavo al pub a giocare a biliardo. I weekend li avevo sempre liberi, a meno che i genitori non avessero bisogno, e quindi potevo viaggiare.
Quali sono stati i momenti migliori del tuo soggiorno? E quelli peggiori?

Che consigli daresti alle ragazze, o ragazzi, che vogliono intraprendere questa esperienza?
Tanta pazienza, tanto coraggio. Non bisogna pensare di andare là ed avere subito un’esperienza bella, perché gli ostacoli ci sono sempre. Quindi di non farsi buttare giù, o, se ciò succede, di rimettersi subito in piedi. Armarsi anche di tanta curiosità, io ho scoperto tante cose, ho vissuto proprio bene la cultura irlandese, andavo persino alle recite scolastiche dei bambini per pura volontà di apprendere! Curiosità anche nella conoscenza di nuove persone, che possono darti tante cose e riservarti tante sorprese. Quindi curiosità e forza!
Cosa ti porti dietro da questa esperienza?
Un fidanzato: l’ho conosciuto proprio in Irlanda, stava facendo l’Erasmus a Tralee per un semestre. Una sera io e una mia amica ci siamo imbucate a una festa in un pub, il “Welcome Party” per i ragazzi dell’Erasmus, e lì ho incontrato Onurcan, e da cosa a cosa è nato un sentimento! Quando io sono tornata in Italia abbiamo fatto un anno lontani, perché lui è turco. Adesso è qui per un master di due anni a Milano. Poi l’inglese ovviamente! Quando sono partita il mio livello era molto, molto basso. Ma buttandomi, mettendomi in gioco, e grazie anche ai bambini che mi hanno sempre aiutata correggendomi, ho ottenuto un buon livello di inglese, anche se un po’ ora lo sto perdendo. In realtà l’accento irlandese non l’ho mai avuto, a parte per qualche parola! Ma comunque riesco a tenere esercitato la lingua, visto che solo così posso comunicare con il mio fidanzato. Anche convivere con persone che non fanno parte della tua famiglia aiuta molto, ti permette di acquisire più indipendenza. Lo stare con i bambini invece mi ha resa più responsabile. Questa esperienza mi ha permesso di aprirmi, di superare molti dei freni che prima avevo.
E per quanto riguarda la cultura irlandese?
Mi è piaciuta molto la loro voglia di festeggiare! Durante l’anno in cui sono stata lì si celebrava il 100esimo anniversario della Rivolta di Pasqua (una ribellione avvenuta durante la settimana pasquale del 1916, per tentare di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito, cosa poi avvenuta nel 1919). C’erano moltissimi eventi! I bambini mettevano in scena degli spettacoli, recitando e cantando anche canzoni popolari, vestiti con i tipici abiti irlandesi di inizio ‘900! Mi ha colpito molto il loro patriottismo, sono orgogliosi al punto giusto di essere irlandesi. Poi anche il loro calore mi è piaciuto molto! Tutti gli irlandesi che ho incontrato si fermavano a parlare per strada, anche se per pochi minuti, interessandosi molto a me, chiedendomi come stessi, se mi piacesse l’Irlanda, se mi trovassi bene lì. Poi anche vivere l’atmosfera notturna dei pub è stato molto bello, e devo dire che è una delle cose che mi manca. Un’atmosfera calda e socievole, tutti parlano con tutti senza secondi fini, semplicemente per passare del tempo insieme.

E il cibo?
Allora, parli con una che ha messo su più di 6 chili mentre era in Irlanda! Mi abbuffavo di brown bread e burro, mi piaceva tantissimo! Bevevo moltissimo tè con latte. Poi in mansarda ho scoperto una moca! E così la mattina potevo farmi il caffè, anche questo allungato con il latte! Una delle pietanze più diffuse in Irlanda è il “Fish and Chips” (pesce e patatine), buonissimo! In realtà nella mia famiglia non ho avuto molta occasione di vivere la vera e propria cucina irlandese. Questo perché l’host mum è tedesca, mentre l’host dad irlandese. C’era perciò un miscuglio di tradizioni, al quale poi si univa la mia italiana. Almeno una volta a settimana mi chiedevano di cucinare le lasagne! Solo quando ero invitata a mangiare a casa di una mia amica, avevo la possibilità di assaggiare pietanze “tipiche”, come per esempio lo stew (stufato) con il cabbage (il cavolo).
Hai viaggiato molto?
Sì! Ho fatto la Wild Atlantic Road con la mia famiglia italiana, quando mi sono venuti a trovare a Pasqua: un itinerario lungo la costa atlantica, tra altissime scogliere, vivaci villaggi e cittadine, spiagge nascoste e meravigliose baie. Sono stata a Dublino tre o quattro volte, classica città, bella perché piccola e con numerosi pub tipici. Poi anche a Cork, dove vive una mia amica. Il luogo che mi è piaciuto particolarmente è Dingle, un paesino di pescatori con una forte identità irlandese! Lì è bello perché ci sono molte isole, in una di queste è stato girato Star Wars. E’ un posto molto caratteristico e per arrivarci devi attraversare un passo da cui puoi ammirare il classico paesaggio irlandese. Arrivarci era magnifico!
Come è stato il rientro in Italia?
Quando sono tornata mi sono sentita un’altra volta dispersa, proprio come era successo al mio arrivo in Irlanda. Per gli spazi, i posti, le persone. Essendo stata via un anno alcune cose erano cambiate, e dovevo adattarmi ad esse. E’ stato un po’ strano diciamo, il classico: “Voglio tornare indietro”. Ma piano piano sono tornata alla normalità, anche se alcune volte mi ritrovo a pensare di voler ripartire per l’Irlanda.

Noemi Valsecchi con vista dal passo per andare a Dingle
E’ una cosa che ho sempre voluto fare, sin dalle superiori, solo che non ho mai avuto abbastanza coraggio per buttarmici. Alla fine ho deciso di partire semplicemente per la voglia di conoscere una nuova cultura, di viverla direttamente sulla mia pelle, oltre che per la volontà di coltivare la mia indipendenza.
Come ti sei avvicinata a questo mondo?
Ho conosciuto questo mondo per sentito dire. Cioè, tanti miei conoscenti erano partiti per fare uno scambio culturale durante le superiori con Intercultura (associazione che offre la possibilità a giovani di studiare all’estero per alcuni mesi), e più volte mi avevano detto che quella non era l’unica possibilità per vivere fuori dall’Italia, e che molti partivano come ragazzi alla pari, ospitati da una famiglia in cambio di aiuto con i bambini. Ho così iniziato a guardare su internet, e ho trovato il sito AuPairWorld (agenzia online per il collocamento alla pari, dove famiglie e aspiranti au pair possono mettersi direttamente in contatto, senza intermediari) e ho iniziato a sfogliarlo, guardando i profili di diverse host family (famiglie ospitanti) provenienti da diversi stati, per capire quali requisiti fossero richiesti.
Perché hai scelto proprio l’Irlanda?
Innanzitutto perché volevo uno stato in cui si parlasse l’inglese come prima lingua, e tra le varie opzioni c’era ovviamente anche l’Irlanda. Poi è sempre stato uno dei miei sogni nel cassetto poterla visitare, poterla vivere! Ho sempre sentito parlare bene del “caldo irlandese”, e non sto parlando del tempo! Mi riferisco al calore degli irlandesi. Quindi mi sono detta: “Perché no? Proviamo a vedere!” Poi, dando un’occhiata ai profili di varie famiglie, vedendo fotografie di luoghi stupendi, non ho più avuto dubbi, dovevo andare in Irlanda!Perché hai scelto proprio quella famiglia?
In realtà non ho trovato la mia host family su AuPairWorld. Ero in contatto con varie famiglie del sito, ma poi una ragazza di Galbiate che aveva fatto l’au pair in Irlanda mi ha proposto di andare nella sua host family, consigliandomela caldamente. Così mi ha mandato la loro e-mail e ho iniziato a parlare con loro, i quali mi hanno dato una descrizione completa su cosa avrei dovuto fare una volta da loro, su come fosse il luogo, su quali fossero le opportunità, e da subito mi era piaciuta l’idea di poter andare in una città con molti servizi: scuole, negozi, pub, tante spiagge e numerose altre au pair. Poi mi hanno chiesto di parlare via Skype, ed è stato imbarazzantissimo! Il mio inglese non era il massimo, poi ero molto agitata, non so in realtà di cosa abbiamo parlato! Quindi ho scelto quella famiglia per il luogo in cui vivono, perché mi erano piaciuti molto, e soprattutto perché la ragazza di Galbiate me ne aveva parlato molto bene. E quindi mi sono detta: “Proviamoci! Non sono molti bambini, ho a disposizione tutto, anche una scuola d’inglese da frequentare”. E infatti è andata bene!

La vista del paesaggio dal passo per andare a Dingle
Sono atterrata a Dublino e da lì ho preso il treno per Tralee, la città dove ho soggiornato. Mi ricordo che pioveva tantissimo, ovviamente! Sono stata catapultata dal caldo settembre italiano a quello freddo irlandese! Sono arrivata in una stazione deserta, non c’era anima viva, ero un po’ in panico: “Oddio! Cosa faccio?”. Poi ho mandato un messaggio alla famiglia, spendendo un capitale, perché due anni fa non c’era ancora la possibilità di usare il proprio piano tariffario all’estero! Alla fine sono arrivati a prendermi Marion, la mia host mum, e i due bimbi. Mi ricordo che avevano preparato un cartellone con scritto: “Welcome Noemi!” (“Benvenuta Noemi!”). Sono salita in macchina e la prima domanda che i bambini mi hanno fatto è stata quale fosse il mio colore preferito. Mi sono sentita subito messa in esame! Alla fine ho azzeccato, ho detto “verde”, colore preferito di tutti e due! Siamo poi arrivati a casa, era pomeriggio tardo, e abbiamo cenato tutti insieme. Ecco, questo è stato un po’ il mio primo giorno. Per quanto riguarda le difficoltà iniziali, ovviamente la lingua, soprattutto con i bambini, i quali pretendono che tu capisca e che tu risponda nel modo corretto. Poi ovviamente la mancanza di casa durante la prima settimana ha reso le cose un po’ dure. Non volevo sapere nulla dall’Italia, preferivo che nessuno mi scrivesse, per evitare che mi venisse il magone ogni volta! Anche l’ambientarsi è stato difficile, soprattutto nella nuova casa, dove ho dovuto ridimensionare i miei spazi: la mia stanza era molto piccola, il bagno era in comune e ho dovuto adattarmi ai due bambini. Per quanto riguarda le amicizie sono stata molto fortunata, la ragazza prima di me mi aveva dato il contatto di un’altra au pair italiana lì a Tralee, e già la prima settimana ci eravamo viste e avevamo parlato molto. E questo mi ha rincuorata.
Come ti sei trovata con la famiglia? Sei ancora in contatto con loro?
Con la famiglia mi sono trovata bene. All’inizio ho avuto alcune difficoltà con i bambini, avevano già vissuto con due au pair prima di me, legandosi molto con l’ultima, e quindi è stato un po’ difficile per loro ingranare con me. E, d’altro canto, io ho fatto fatica a farmi amare, diciamo così! Quindi all’inizio non è stato facile con loro, ma fortunatamente i genitori da subito mi hanno supportata. Poi una volta che sono riuscita a farmi accettare dai bambini è andato tutto bene. Ovviamente all’inizio ci sono state difficoltà nell’adattarsi al loro modo di vivere: magari cose che per me sembrava naturale fare, per loro non lo erano, e viceversa. Io ero abituata a vivere in un determinato modo e loro in un altro. Questo avveniva soprattutto con la madre, perché comunque era con lei che entravo più in relazione, scontrandomi ogni tanto, ma niente di grave! Semplicemente io la pensavo in un modo e lei in un altro. Adesso ci sentiamo ancora! In realtà poco dopo il mio rientro in Italia sono venuti a trovarmi per tre giorni, e poi sono stati sul Lago di Como. Poi ovviamente con il passare del tempo ci sentiamo un po’ più di rado, per lo più nelle occasioni importanti. Posso dire che abbiamo creato un bel rapporto!
Di cosa ti occupavi? Raccontaci un po’ la tua giornata tipo.
Io principalmente mi occupavo dei due bambini, che avevano, ai tempi, sei e otto anni. Andavano alla scuola elementare, e perciò avevo le mattine sempre libere, che impegnavo facendo qualche lavoretto domestico (dovevo aiutare un po’ in casa). Una mattina a settimana andavo a yoga e a volte al corso di inglese, che però principalmente seguivo durante la sera. Poi andavo a prendere il più piccolo, e un’ora dopo l’altro, per poi mangiare insieme ciò che avevo cucinato. Marion, l’host mum, è un’insegnante, e quindi i suoi orari di lavoro variavano: a volte tornava alle 19.00 e quindi dovevo passare tutto il pomeriggio con i bambini, o addirittura metterli a letto; altre volte invece già alle 16.00 era a casa. Una volta che lei finiva di lavorare ero libera di fare quello che volevo: andavo in città, oppure passavo il tempo con loro, le poche volte che c’era bel tempo andavamo in spiaggia! La sera invece andavo al corso d’inglese, tre volte a settimana per due orette, dove mi trovavo con gli amici, con i quali poi andavo al pub a giocare a biliardo. I weekend li avevo sempre liberi, a meno che i genitori non avessero bisogno, e quindi potevo viaggiare.
Quali sono stati i momenti migliori del tuo soggiorno? E quelli peggiori?
Cavolo questa è difficile! Allora, per quanto riguarda quelli migliori direi quando i bambini hanno iniziato ad accettarmi, e quindi a instaurare un tenero rapporto con me. Poi quando ho iniziato ad entrare in contatto con tanti giovani internazionali, sia ragazze alla pari sia studenti universitari lì per l’Erasmus. Ho trovato tantissime persone con cui sono riuscita ad instaurare un bellissimo rapporto, passando con loro stupendi momenti. Anche l’ultima settimana è stata molto bella, nonostante la malinconia, e il fatto che tanti miei amici erano ormai tornati a casa, compreso il mio fidanzato! Così sono riuscita a dedicare più tempo possibile ai bambini, con cui ho fatto tantissime cose, mi hanno portata a visitare molti luoghi. E’ stata una settimana intensa ed emozionante. I bambini avevano capito che di lì a poco me ne sarei andata, e quindi erano molto più affettuosi! Per quanto riguarda i momenti peggiori, devo dire che non sono stati molti. In realtà non saprei. Forse un po’ all’inizio, quando mi sentivo sola non essendomi ancora integrata. O quando, a volte, con la mia host mum avevo alcuni problemi di comprensione. Mi ricordo che una volta non c’eravamo capite bene, non mi ricordo il perché, e lei l’aveva presa un po’ male, io mi ero sentita colpevole, e per uno o due giorni è stato brutto, non mi sentivo per niente a casa. Poi va beh la cosa si è chiarita, io mi ricordo di averle scritto una lettera per riuscire ad esprimermi meglio. Quindi posso dire che i momenti peggiori sono stati quando non mi sono sentita a casa.

Noemi e i suoi amici a Dublino, durante il Saint Patrick’s Day
Che consigli daresti alle ragazze, o ragazzi, che vogliono intraprendere questa esperienza?
Tanta pazienza, tanto coraggio. Non bisogna pensare di andare là ed avere subito un’esperienza bella, perché gli ostacoli ci sono sempre. Quindi di non farsi buttare giù, o, se ciò succede, di rimettersi subito in piedi. Armarsi anche di tanta curiosità, io ho scoperto tante cose, ho vissuto proprio bene la cultura irlandese, andavo persino alle recite scolastiche dei bambini per pura volontà di apprendere! Curiosità anche nella conoscenza di nuove persone, che possono darti tante cose e riservarti tante sorprese. Quindi curiosità e forza!
Cosa ti porti dietro da questa esperienza?
Un fidanzato: l’ho conosciuto proprio in Irlanda, stava facendo l’Erasmus a Tralee per un semestre. Una sera io e una mia amica ci siamo imbucate a una festa in un pub, il “Welcome Party” per i ragazzi dell’Erasmus, e lì ho incontrato Onurcan, e da cosa a cosa è nato un sentimento! Quando io sono tornata in Italia abbiamo fatto un anno lontani, perché lui è turco. Adesso è qui per un master di due anni a Milano. Poi l’inglese ovviamente! Quando sono partita il mio livello era molto, molto basso. Ma buttandomi, mettendomi in gioco, e grazie anche ai bambini che mi hanno sempre aiutata correggendomi, ho ottenuto un buon livello di inglese, anche se un po’ ora lo sto perdendo. In realtà l’accento irlandese non l’ho mai avuto, a parte per qualche parola! Ma comunque riesco a tenere esercitato la lingua, visto che solo così posso comunicare con il mio fidanzato. Anche convivere con persone che non fanno parte della tua famiglia aiuta molto, ti permette di acquisire più indipendenza. Lo stare con i bambini invece mi ha resa più responsabile. Questa esperienza mi ha permesso di aprirmi, di superare molti dei freni che prima avevo.
E per quanto riguarda la cultura irlandese?
Mi è piaciuta molto la loro voglia di festeggiare! Durante l’anno in cui sono stata lì si celebrava il 100esimo anniversario della Rivolta di Pasqua (una ribellione avvenuta durante la settimana pasquale del 1916, per tentare di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito, cosa poi avvenuta nel 1919). C’erano moltissimi eventi! I bambini mettevano in scena degli spettacoli, recitando e cantando anche canzoni popolari, vestiti con i tipici abiti irlandesi di inizio ‘900! Mi ha colpito molto il loro patriottismo, sono orgogliosi al punto giusto di essere irlandesi. Poi anche il loro calore mi è piaciuto molto! Tutti gli irlandesi che ho incontrato si fermavano a parlare per strada, anche se per pochi minuti, interessandosi molto a me, chiedendomi come stessi, se mi piacesse l’Irlanda, se mi trovassi bene lì. Poi anche vivere l’atmosfera notturna dei pub è stato molto bello, e devo dire che è una delle cose che mi manca. Un’atmosfera calda e socievole, tutti parlano con tutti senza secondi fini, semplicemente per passare del tempo insieme.

I due bambini di cui si occupava su una delle spiagge vicino a Tralee
Allora, parli con una che ha messo su più di 6 chili mentre era in Irlanda! Mi abbuffavo di brown bread e burro, mi piaceva tantissimo! Bevevo moltissimo tè con latte. Poi in mansarda ho scoperto una moca! E così la mattina potevo farmi il caffè, anche questo allungato con il latte! Una delle pietanze più diffuse in Irlanda è il “Fish and Chips” (pesce e patatine), buonissimo! In realtà nella mia famiglia non ho avuto molta occasione di vivere la vera e propria cucina irlandese. Questo perché l’host mum è tedesca, mentre l’host dad irlandese. C’era perciò un miscuglio di tradizioni, al quale poi si univa la mia italiana. Almeno una volta a settimana mi chiedevano di cucinare le lasagne! Solo quando ero invitata a mangiare a casa di una mia amica, avevo la possibilità di assaggiare pietanze “tipiche”, come per esempio lo stew (stufato) con il cabbage (il cavolo).
Hai viaggiato molto?
Sì! Ho fatto la Wild Atlantic Road con la mia famiglia italiana, quando mi sono venuti a trovare a Pasqua: un itinerario lungo la costa atlantica, tra altissime scogliere, vivaci villaggi e cittadine, spiagge nascoste e meravigliose baie. Sono stata a Dublino tre o quattro volte, classica città, bella perché piccola e con numerosi pub tipici. Poi anche a Cork, dove vive una mia amica. Il luogo che mi è piaciuto particolarmente è Dingle, un paesino di pescatori con una forte identità irlandese! Lì è bello perché ci sono molte isole, in una di queste è stato girato Star Wars. E’ un posto molto caratteristico e per arrivarci devi attraversare un passo da cui puoi ammirare il classico paesaggio irlandese. Arrivarci era magnifico!
Come è stato il rientro in Italia?
Quando sono tornata mi sono sentita un’altra volta dispersa, proprio come era successo al mio arrivo in Irlanda. Per gli spazi, i posti, le persone. Essendo stata via un anno alcune cose erano cambiate, e dovevo adattarmi ad esse. E’ stato un po’ strano diciamo, il classico: “Voglio tornare indietro”. Ma piano piano sono tornata alla normalità, anche se alcune volte mi ritrovo a pensare di voler ripartire per l’Irlanda.
Anna Tentori