Processo Gilardoni, parla Marco Taccani: 'mamma ha morso anche me. Sono stato lentamente messo da parte in azienda'

Marco Taccani Gilardoni
Ha parlato, senza troppi giri di parole, sintetizzando al massimo l'oggetto del procedimento, di "azioni di mobbing" Marco Taccani Gilardoni, escusso questa mattina nell'ambito del processo che vede la madre Maria Cristina Gilardoni e il suo braccio destro Roberto Redaelli chiamati a rispondere di maltrattamenti e lesioni in relazione alle supposte vessazioni subite da svariati dipendenti della Gilardoni Raggi X. Scegliendo di non avvalersi della facoltà di non rispondere - a lui riservata in quanto di fatto parte in causa, essendo l'azienda di famiglia da lui oggi rappresentata chiamata in giudizio quale responsabile civile - l'attuale Presidente dell'impresa mandellese ha letteralmente vuotato il sacco, interrogato a tutto tondo dal sostituto procuratore Silvia Zannini. Il suo esame, succeduto alle testimonianze rese dall'ingegner dei vigili del fuoco Peppino Suriano e da un medico di medicina generale in relazione allo stato di salute di un ex dipendente da lui assistito, ha monopolizzato la mattinata.
Con estrema calma e altrettanta precisione, Marco Taccani ha esordito ricordando di essere stato assunto, appena diciottenne in Gilardoni, nel 1980, diventando tre anni dopo responsabile dell'ufficio acquisti per poi arrivare a coordinare la rete commerciale ed entrare nel 1996 nel CdA.  Fino alle dimissioni rassegnate a settembre 2015 con 4 mesi di preavviso, divenute dunque effettive a gennaio 2016 quale dipendente e successivamente anche quale membro del consiglio di amministrazione tanto dell'azienda madre quanto di una partecipata.
Il motivo? "Di fatto in un lento e inesorabile processo ero stato sempre più esautorato dal mio ruolo" ha affermato, ricordando di essere venuto indirettamente a conoscenza di come ai suoi più diretti collaboratori fosse stata data indicazione di bypassarlo, venendo gestiti (a partire già dall'assunzione) direttamente dall'ufficio personale e dalla presidenza nonché di essere diventato catalizzatore di attenzione nel senso che, chiunque - venditori, fornitori e clienti - si interfacciasse con lui finisse poi per entrare in una sorta di "lista nera". "Ero sempre più isolato nel mio ufficio" ha sostenuto, non negando di aver patito egli stesso, nel 2011, un esaurimento nervoso nonché di essere stato vittima, personalmente, di violenza fisica, in ufficio, ad opera di sua madre che lo avrebbe - almeno in un'occasione - schiaffeggiato e poi morso, assistendo inoltre ad ulteriori episodi di violenza verbale nei confronti di quadri e impiegati ingiuriati con epiteti quali "coglione, oca, stupido, scemo, regina delle oche" proferiti tanto dalla Presidente quanto, in alcune occasioni, da Redaelli quale responsabile del personale. "Chi aveva difficoltà a deambulare era chiamato handicappato" ha aggiunto, facendo riferimento ad altre espressioni di scherno per le caratteristiche fisiche dei lavoratori.
Il Tribunale di Lecco
Ai due, poi, così come al socio di minoranza Andrea Ascani Orsini (ora a processo assieme al medico del lavoro Maria Papagianni, per altri aspetti e dunque chiamati a rispondere di una sorta di "colpa in vigilando" in riferimento a quanto si suppone abbiano patito i dipendenti) e all'avvocato Capodiferro (membro del CdA) avrebbe poi inviato una serie di missive, senza ricevere risposta non riuscendo a interloquire direttamente con la madre, se non con il filtro del suo braccio destro.
"Avrà avuto altre occasioni fuori dal lavoro". Ha ipotizzato il PM Zannini. "No. I miei rapporti con mia mamma sono difficili, non è donna che dimostra molto affetto anche nei riguardi della famiglia" ha risposto con pacatezza, non dimostrando astio. "Non accettava di essere messa in discussione" ha aggiunto, ricordando invece - "da pecora nera" - di aver sempre avuto una visione differente in campo lavorativo. "Io ho sempre anteposto il bene degli stakeholders della società - dipendenti, fornitori, azionisti e comunità di Mandello - anche a discapito dei rapporti famigliari, per il bene della Gilardoni" ha sostenuto, ammettendo di aver assistito invece al "depauperamento della risorsa principale della società che sono i lavoratori e il cervello". A tal proposito l'attuale numero uno aziendale ha parlato "di una discesa che diventa sempre più precipizio" in relazione al periodo peggiore della vita dell'impresa, iniziato a suo dire nel 2014. Per fronteggiare infatti l'emorragia di dipendenti, "si prendevano persone a casaccio: chiunque accettasse di entrare in Gilardoni veniva inserito" ha specificato, incalzato sull'adeguatezza dei dipendenti rispetto alle mansioni a loro assegnate.
Efficace la metafora dello tsunami, usata da Marco Taccani per ricordare come la produzione (più lontana anche fisicamente) fosse - a suo giudizio - meno investita dalle problematiche che invece avrebbero - sempre a suo dire - travolto gli impiegati, al lavoro gomito a gomito con la madre e Redaelli, con ripercussioni anche nei rapporti con i clienti. Citati a titolo d'esempio, in due differenti passaggi della deposizione, il rischio corso di perdere il contratto con Trenitalia per l'interruzione della manutenzione di un macchinario prodotto a Mandello per decisione della madre, per un presunto ritardo nei pagamenti di soli 1.700 euro oppure ancora con Philips dopo il licenziamento del soggetto che si rapportava con il colosso della tecnologia. Ed ancora la riunione con oggetto la Gilardoni convocata tra le società aeroportuali che da sole, rappresentano una fetta sostanziale del fatturato della società, "rinata" - a giudizio di Taccani - dopo l'allontamento della madre per decisione del Tribunale delle Imprese che ha segnato l'avvio del nuovo (e attuale) corso.
A.M.
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