Crack Grattarola, il curatore: 'uno scatolone pieno di soldi da Napoli alla Valsassina'

La sede a Cortenova Valsassina
Alcuni "colpi di scena" hanno allungato le testimonianze previste nell'udienza di oggi, durata più di due ore, rendendo necessario un rinvio a marzo; in particolare hanno destato le attenzioni del collegio e della pubblica accusa -rappresentata dal PM Paolo Del Grosso- alcune rivelazioni testimoniali in merito ai pagamenti in "nero" (quantificati nel capo d'imputazione in circa 1.800.000 euro). Sotto questo aspetto è stato infatti un ex dipendente che -lavoratore in Grattarola dal 1996 fino al fallimento- inquadrato come impiegato tecnico, ha inizialmente dichiarato nella sua deposizione di aver avuto il "sentore" che in alcune fatture non corrispondessero gli elementi presenti nell'ordine iniziale, che veniva successivamente elaborato da lui. Il lavoro del testimone, come spiegato da lui stesso, consisteva nell'elaborare graficamente l'ordine arrivato in azienda e di trasferirlo alla produzione; lo storico di tutte le elaborazioni grafiche poi veniva messo in archivio, ma periodicamente -sempre facendo riferimento al periodo oggetto del capo d'imputazione, ovvero gli anni dal 2009 alla data del fallimento- un altro soggetto interno all'azienda ne "svuotava" la memoria e la salvava su una chiavetta usb, perchè, come detto dall'impiegato, "la memoria era piena e impallava il computer, non so se all'interno di questa chiavetta poi venivano modificati gli ordini". Le incertezze nel rispondere alle domande sia del collegio giudicante che della pubblica accusa hanno indotto il dr. Manzi a ricordare al teste di aver giurato di dire la verità, avvertendolo che la sua reticenza -anche nell'indicare i nomi dei colleghi con cui aveva parlato dell'ipotesi dei pagamenti in nero- avrebbe potuto portarlo ad una denuncia per falsa testimonianza. A quel punto il testimone si è "lasciato andare" ed ha dichiarato che in alcuni casi aveva visto con i suoi occhi alcune fatture sottodimensionate nel prezzo rispetto all'ordine che lui aveva elaborato graficamente e ha nominato alcuni colleghi dell'amministrazione come persone che gli avevano confidato degli avvenuti pagamenti in nero. Da ultimo è stato chiamato dalla pubblica accusa al banco dei testimoni il dott. Filippo Redaelli, curatore fallimentare della Grattarola. Dopo aver brevemente esaminato la storia della nota società valsassinese e dei suoi diversi cambi "al vertice", il curatore ha dichiarato al giudice di essere stato nominato dal tribunale come consulente tecnico a febbraio del 2013, poche settimane dopo la presentazione della domanda per il concordato preventivo con riserva, e di aver formalmente riscontrato la conservazione dei documenti contabili in modo regolare. Il professionista ha osservato alle parti che dalla data della sua nomina come ctu l'azienda continuava -come autorizzato dal tribunale stesso- a produrre gli ordini già evasi e lui era incaricato a verificare i bilanci tra costi e ricavi; una trentina sarebbero stati i dipendenti al lavoro presso i locali di Cortenova, su un totale di un centinaio (all'origine) che nel frattempo, poiché non vi era necessità di svolgere ulteriore lavoro, usufruivano della cassa integrazione o dei vari ammortizzatori sociali. Dalla data del fallimento, dichiarato a luglio del 2013, su istanza della curatela però è stato chiesto di continuare l'attività lavorativa per gli ordini che erano stati ricevuti nel frattempo; così la Grattarola, seppur in misura minore, ha continuato ad essere attiva fino al 2 febbraio del 2014. È stato proprio in questo periodo che il dott. Redaelli si è interfacciato con i dipendenti, i quali gli avrebbero confessato dei "famosi" pagamenti in nero arrivati da alcuni clienti. Un episodio in particolare è stato riportato dal teste in aula, destando particolare sgomento tra le parti, soprattutto i difensori (l'avvocato Malighetti e Beccattini per il padre, la collega Andresano per il figlio), in quanto il fatto non è stato riportato, seppur registrato tra gli appunti del curatore, che ha ammesso il suo "sbaglio", al PM: uno dei trasportatori dipendenti dell'azienda avrebbe dichiarato al dott. Redaelli di essere stato mandato in Campania da un cliente a ritirare della merce. A lui -secondo quanto riportato dal testimone- sarebbe stato consegnato uno scatolone "pieno di contante", per utilizzare le stesse parole da lui pronunciate stamane. Il curatore ha poi dichiarato di aver "interrogato" i dipendenti a fine gennaio del 2014 in merito alla presunta ipotesi degli avvenuti pagamenti in nero e di aver successivamente riscontrato documentalmente alcune discrepanze. "L'iter degli ordini che arrivavano in azienda" ha spiegato Redaelli, "era il seguente, come mi è stato spiegato da alcuni dipendenti: il cliente mandava la richiesta di preventivo, che veniva sviluppato e poi mandato al cliente per la firma. Successivamente veniva sviluppato l'ordine, sia graficamente che sul gestionale, e poi mandato in produzione. Una volto chiuso l'ordine, si concludeva con la bollettazione e la fatturazione. Da quanto riportato da alcune segretarie, Marco Valsecchi indicava a loro i codici dei prodotti da elidere". Prima di concludere la sua testimonianza, incalzato dalle domande del collegio il curatore ha anche spiegato, sempre secondo quanto da lui riscontrato, la funzione della chiavetta usb di cui aveva parlato anche il testimone che l'ha preceduto: "veniva usata per allineare il magazzino con la bolla e con la fattura" e ancora, "queste discrepanze tra fatture e ordini erano maggiormente indirizzate a certa clientela, in particolare per alcuni con sede in provincia di Napoli". Vista la lunghezza e la complessità delle dichiarazioni rese dal curatore, il giudice ha rinviato il controesame del dott. Redaelli, da parte degli avvocati della difesa dei Valsecchi, alla prossima udienza, calendarizzata per il 28 marzo.
B.F.