Trafilerie del Lario, parla Vittorio Brambilla: mi assumo le mie responsabilità, mia figlia non è mai entrata in azienda

Vittorio Brambilla
"L'anno 2007 il settore siderurgico é stato colpito da una crisi di proporzioni devastanti, forse la più grande dal dopoguerra. Il lavoro per la nostra azienda é calato al trenta/quaranta per cento dei valori abituali in poche settimane. La nostra azienda non era pronta a sopportare un tale calo di fatturato ed ha purtroppo imboccato la strada del concordato, così come tante altre pmi. E questi sono fatti noti. Quello che non é noto é invece il fatto che nello stesso anno sono stato colpito da una malattia fortemente invalidante, che ha compromesso le mie funzioni generali in maniera importante" a parlare, è Vittorio Brambilla, ex presidente delle Trafilerie del Lario, a caldo rispetto al patteggiamento a un anno e 6 mesi per il crac dell'impresa. "La mia malattia é stata diagnosticata correttamente e contenuta chirurgicamente solo nell'estate del 2013, quando le sorti della mia azienda già erano compromesse. É stato per me veramente difficile affrontare congiuntamente sia questa patologia sia una crisi di tale entità senza avere coltivato in azienda un erede in grado di sostituirmi. Le trafilerie di famiglia erano una splendida realtà, fondata da mio nonno Giuseppe, portata avanti da mio padre Alessandro e poi da me insieme ai mie fratelli per tutta la nostra vita. Abbiamo creato ricchezza e lavoro per tante famiglie della zona, con grande orgoglio ed un know how invidiato anche fuori dai confini europei. Sinceramente non mi aspettavo una malattia e non avevo organizzato l'azienda con risorse umane in grado di sostituirmi. In azienda lavoravano mio nipote Alessandro Valsecchi e il marito di mia figlia Federica, Nicola Vaccani: entrambe persone dalla limitata esperienza manageriale. Hanno fatto del loro meglio insieme a me per tenere la barra dritta ma la nostra azienda non ha resistito a questa prova, peggiorando i suoi risultati di giorno in giorno. Abbiamo dunque cercato di venderla e attraverso un concordato in continuità, di preservare l'attività e il posto di lavoro ai nostri dipendenti. C'eravamo quasi riusciti: negoziammo con una azienda turca interessata alla verticalizzazione che fece una offerta importante. Iniziammo le trattative con i sindacati e con tutti gli attori coinvolti, con discreto successo. Ma il nostro concordato duro troppo poco, ci venne negato un ultimo risolutivo rinvio nonostante fosse già stata chiusa tutta la trattativa con l'imprenditore turco che ci riguardava, compreso l'accordo con i dipendenti. Per quale ragione qualcuno ha avuto tanta fretta di spegnere le nostre macchine? Ci sarebbero bastate solo due settimane in più per salvare ottanta posti di lavoro e tutto l'indotto generato dall'azienda. Le modalità con cui fu dichiarato il nostro fallimento sono oggetto di ricorso pendente ora alla Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, ricorso che ha superato il difficilissimo filtro di ammissibilità, per palese violazione dell'articolo 6, il diritto ad una giustizia giusta. Un ulteriore filtro é stato poi superato ed ora la causa é già stata incardinata. Dunque terminerà a breve il suo esame. Viste le premesse, sono convinto che Strasburgo darà ragione a quanto lamentato e richiesto dai mie avvocati, facendo cadere nella sostanza il presupposto che regge questo procedimento penale, ovvero la dichiarazione di fallimento. Verrà quindi cancellato tutto questo processo, compresi gli atti di oggi. La revisione riporterà la situazione indietro, ancora prima della entrata in procedura. Purtroppo non ci saranno più né il mio stabilimento - che nel frattempo é stato smontato e messo all'asta - né i posti di lavoro per i miei dipendenti. Chi se ne assumerà la responsabilità?" chiede l'imprenditore nel suo sfogo a tutto campo. "Alla luce di tutte queste premesse, vorrei precisare che ho presentato istanza di patteggiamento. Ritengo di non aver commesso fatti di rilievo penale, ma riconosco di avere tentato fino all'ultimo di salvare la mia azienda, per la mia famiglia, per la memoria di mio padre, per i miei dipendenti. Per salvaguardare la possibilità di concludere positivamente il subentro dell'imprenditore turco, ho cercato in ogni modo di non interrompere la produzione fino a che il concordato non fosse perfezionato, ricercando credito presso le banche, continuando a cambiare il management e via dicendo. Non vi é stata alcuna distrazione di fondi, come gli inquirenti hanno ben potuto verificare, bensì solo l intenzione di tenere in vita una attività di tale importanza. Tutte queste iniziative sono state da me intraprese in prima persona, piuttosto che dagli altri membri del cda, aventi ruolo in azienda insieme ai dirigenti. Non vi é invece stato - sottolinea Vittorio Brambilla -  mai alcun coinvolgimento di mia figlia Michela Vittoria. Non solo perché non era membro del consiglio di amministrazione né lavorava per le trafilerie né percepiva stipendio alcuno. Ma anche perché non aveva la benché minima conoscenza del settore, dei clienti, dei prodotti e del modello di business, in quanto aveva fatto la scelta di non entrare mai in azienda e dedicarsi ad altri studi e ad altre attività" sostiene l'imprenditore, al riguardo dell'ex ministro trascinata invece a giudizio quale sopposto amministratore di fatto della Trafileria con pena patteggiata, quest'oggi, a un anno e 4 mesi, dove aver risarcito - congiuntamente al padre - la curatela, con 3 milioni di euro. "Quello che lei orgogliosamente ha fatto é stato solo essere vicina con affetto ad un padre malato, facendogli da stampella in tutti i sensi. Tutto quello che una figlia responsabile e generosa può fare in aiuto di chi l'ha messa al mondo. Sono una persona sufficientemente anziana e di esperienza da averle chiesto con insistenza di optare per un rito alternativo, uscendo subito da questa situazione - pur non avendo lei mai svolto alcun ruolo in azienda ed essendo totalmente estranea alle vicende contestate - perché so bene come i processi mediatici rovinino le persone, al di là dell'esito finale. E mia figlia ha un ruolo politico ed una posizione tali da creare invidia, oltre che suscitare desiderio di strumentalizzare la sua figura per avere sconti di pena da parte di dirigenti ed amministratori realmente coinvolti, anche nella speranza di alleggerire la propria posizione. Mi assumo quindi le mie responsabilità, ricordando che ho solo fatto tutto quanto in mio potere per salvare l'azienda, nel solco della correttezza e dell'onestà che sempre mi ha contraddistinto. E al contempo rivendico la totale estraneità di mia figlia da qualunque attività delle trafilerie.  Una figlia che é al fianco del padre dovrebbe essere la normalità ma evidentemente questo non é valso per lei, che é stata davvero vittima in tutta questa vicenda".

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