Lecco: si ribellò al pizzo a Lamezia Terme, Rocco Mangiardi incontra gli studenti

Camorra, Sacra Corona Unita, Cosa Nostra e – soprattutto – ‘ndrangheta. Quattro nomi che lungo lo Stivale racchiudono un passato ed un presente ugualmente vividi e che, nella mattinata di sabato 19 ottobre, hanno “preso posto” in una Sala Ticozzi invasa di studenti più o meno consapevoli dell’argomento,  attraverso i contributi di  testimone di giustizia ed il presidente della Commissione Antimafia. A portare in città il lametino Rocco Mangiardi e  Monica Forte  il Centro di Promozione della Legalità, di cui l'IIS Bertacchi è capofila e la docente di diritto Rosa Bisanti referente.

Rocco Mangiardi

Ad aprire il dialogo tra relatori e giovani spettatori è stata proprio una panoramica sui quattro sonori nomi delle organizzazioni criminali italiane, ciascuna distinta per peculiarità, metodo d’azione e reclutamento di affiliati: dalla Sacra corona unita, più territoriale e legata quasi esclusivamente alla terra pugliese, fino alla nota Cosa Nostra siciliana, depotenziata dopo il caso Falcone-Borsellino. E poi ancora la Camorra, mafia estremamente giovane (ribattezzata, appunto “Google generation”) e, per questo, ancorata all’uso dei social network per comunicare non solo all’interno della propria rete di sottoposti ma anche all’esterno, ostentando pericolosità e ricchezza, usando linguaggi tipici, icone specifiche e brand ricorrenti.

Da ultima, ma sicuramente non per importanza, la ‘ndrangheta, tipica delle zone della campagna calabrese e caratterizzata dal fatto che “tutti i suoi componenti sono affiliati tra loro tramite un vincolo di sangue originario o acquisito”, creando così un profondo senso di appartenenza che riduce il numero di pentiti e collaboratori di giustizia all’interno delle sue fila, proprio a causa del senso di tutela nei confronti della propria famiglia che tale “voltafaccia” andrebbe a minare. È proprio per queste e molte altre ragioni che – tra tutte le mafie italiane - la ‘ndrangheta detiene ancora oggi il primato, tanto sul suolo lombardo (nell’ambito turistico, della ristorazione, della vita notturna e degli appalti pubblici) quanto a livello mondiale, rifuggendo gesti eclatanti di violenza ma piuttosto sfruttando tecniche subdole come minaccia, intimidazioni e corruzione. Ad aver provato tutte e tre queste cose sulla propria pelle è, ad esempio, il testimone di giustizia Rocco Mangiardi, piccolo imprenditore dei Via del Progresso – una tra le zone più industriali di Lamezia Terme – che si è trovato faccia a faccia con la cosca ‘ndranghetista dei Giampà. 

Rosa Bisanti

La sua vicenda risale al 2006, quando la sua azienda a conduzione famigliare con qualche dipendente al fianco ha ricevuto la visita di alcuni estorsori appartenenti ad una delle cinque cosche mafiose che detenevano il monopolio di Via del Progresso. “Iniziarono a dirmi che se avessi voluto che non succedesse nulla ai miei figli, che non accadesse nulla a me stesso e che la mia attività non saltasse in aria, avrei dovuto dare un piccolo pensierino a zio Pasquale”. Il “pensierino” in quesitone, ammontava alla cifra mensile di 1200 euro, da versare puntualmente alle casse di quello “zio” che in realtà non era altro che il boss della ‘ndrina malavitosa del quartiere Nicastro, Pasquale Giampà. Sarebbe stato facile accettare la richiesta della cosca, sottomettersi e adeguarsi a quello che era ormai un leitmotiv di Via del Progresso, ma grazie al supporto della propria famiglia – “i cui sguardi orgogliosi mi dicevano: guai a te se ti arrendi e paghi” – il giorno dopo Rocco Mangiardi si è presentato dagli inquirenti a sporgere denuncia.

25 giorni dopo, scattano gli arresti. Delle cinque persone denunciate dall’imprenditore lametino, quattro vengono arrestate: tra questi, anche il giovane Angelo – un ragazzo che lo stesso Rocco ha visto crescere e che ancora oggi veste il ruolo di protagonista in molti suoi aneddoti sulla difficoltà del nascere in famiglie malavitose – e da ultimo lo stesso Pasquale Giampà, ultimo della sua cerchia a pentirsi di fronte alla giustizia.

Monica Forte

“Quella che abbiamo compiuto è stata una scelta pesante ma allo stesso tempo talmente bella che da quel giorno io e la mia famiglia stiamo vivendo i momenti più belli della nostra vita. Basta alzare la testa e guardarsi intorno: le persone cattive sono solo una pochezza” ammette oggi Rocco Mangiardi, guardando uno ad uno gli studenti lecchesi e concludendo lapidario con l’affermazione: "Il nostro dito puntato nelle aule di un tribunale è molto più potente delle loro pistole".
F.A.
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