Processo Gilardoni: in Aula Andrea Ascani Orsini difende sè stesso (e Redaelli). 'Ero un sorvegliato speciale dalla zia'

Andrea Ascani Orsini (foto: http://www.rotarylecco.it)
"Ero un sorvegliato speciale" ha detto di sé il 56enne, rispondendo alle domande poste dalle parti, come tra l'altro già fatto in una precedente udienza dalla dottoressa Maria Papagianni e come farà la prossima settimana allora capo del personale Roberto Redaelli, unici altri soggetti rimasti a giudizio dopo l'uscita di scena - per ragioni di salute - della stessa Maria Cristina Gilardoni, riferimento della frase dell'uomo, al tempo direttore del settore produzione sviluppo e qualità. "Da quando sono diventato socio al 45% aveva preso a monitorarmi in maniera spasmodica. Quando entravo alle 9 del mattino aveva il portinaio che la avvisava. Si preoccupava di sapere dove ero, con chi ero, cosa stavo facendo. Questo dal 2002 fino alla mia fuoriuscita" ha chiarito fin da subito, parlando altresì, in generale, di un "clima rigido e austero" in azienda, da sempre, legato a suo giudizio proprio al carattere non malleabile della Presidente, dilagante - sempre a suo modo di vedere - nel mettere il becco anche nelle aree di lavoro delegate alla competenza di altri responsabili, tanto da diramare procedure operative, da prendere per "legge", assimilabili a vere e proprie istruzioni da rispettare nell'agire all'intero dei reparti.
Chiamato a rispondere, in relazione a quanto lamentato dai denuncianti, di una sorta di colpa in vigilando rispetto alle norme previste dal testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, Ascani Orsini - che ha già estinto alcuni illeciti tramite oblazione - ha cercato di allontanare da sé ogni addebito, ricordando come il tema alla base delle accuse mosse nei suoi confronti - la sicurezza, per l'appunto - fosse in realtà in capo alla zia e, concretamente, affidata a una struttura esterna, dicendosi convinto del fatto che i propri collaboratori fossero sottoposti ai previsti controlli e l'oscuro dei malesseri patiti dalle maestranze, pur essendo a conoscenza dell'emorragia di dipendenti patita dalla società soprattutto nel 2015 nonché dei cambi di mansione, operati - a suo parere - dalla Presidente anche nei settori a lui afferenti, senza preventivamente avvisarlo.
Quanto alle ferie e ai permessi negati ad operai e impiegati, l'imputato ha indicato il 2012 quale anno spartiacque: se prima erano i capireparto a decidere, con il visto solo formale della Gilardoni, da quel momento l'imprenditrice avrebbe accentrato su di sé anche tale incombenza, rigettando richieste anche per visite mediche, creando così malcontento. "Se succedeva che uno dei miei avesse il problema, io mi muovevo e cercavo di sbloccare la situazione, con scarso successo" ha dichiarato Ascani Orsini, ricordando come - se possibile - preferiva non citare direttamente il caso specifico per proporre invece alla zia un ragionamento più generale. "Menzionare il nome di una persona che aveva le ferie negate, poteva fissare nella sua mente quel nome come quello di una persona che crea problemi" ha puntualizzato, ricordando altresì di aver chiesto, per iscritto, nel febbraio 2014, alla Presidente di "premiare" una lista di suoi collaboratori, per evitare che gli stessi, visto il clima fattosi pesante in ditta anche per via del calo del fatturato, potessero andarsene, ritenendoli preziosi per la Gilardoni, senza ricevere risposta ma con effetto contrario a quello auspicato. "Di queste persone poi metà hanno avuto problemi con mia zia. Più che una lista di premio è diventata una lista diversa..." ha sostenuto, aggiungendo anche - in altro passaggio - di essere intervenuto con il cugino Marco Taccani Gilardoni, nel corso del 2015, "in maniera chirurgica", "tappando i vari buchi anche in aree non nostre" fino a maturare la decisione di "denunciare" Maria Cristina Gilardoni, avviando una causa presso il Tribunale delle imprese di Milano con lo scopo di estrometterla dalla società, come di fatto poi avvenuto l'anno successivo che ha segnato l'avvio del "new deal" dell'azienda, non prima di averla affrontata direttamente per capire cosa stesse combinando e fino a dove si sarebbe spinta. Silenzio, la risposta a suo dire ricevuta.
E il ruolo di Redaelli? Pur avendo un ufficio in posizione defilata all'intero dell'open space e pur trascorrendo lì - sempre stando alla sua ricostruzione - solo il 10% del proprio tempo, Ascani Orsini parrebbe non avere dubbi. "L'ho sempre considerato un esecutore. In Gilardoni eravamo tutti esecutori" ha affermato. "Nella mia area non potevo spostare una scrivania senza avvisarla (la Presidente, ndr). La stessa cosa sono sicura avvenisse negli altri reparti". E ancora: "non so se qualcuno ha avuto influenza sul mia zia, era una persona che faceva sempre di testa sua", pur ammettendo che nella seconda parte dell'era Redaelli (subentrato nella gestione personale ad uno storico capo, con il quale la patron aveva "più interlocuzione") "sono venuti meno i cuscinetti, come già detto da altri", notando nel 2015 un cambiamento comportamentale dell'anziana, a suo avviso legato però ad altri fattori più che all'atteggiamento ascritto invece all'ingegnere con casa a Pescate dai dipendenti. Eppure, interrogato dalla polizia, il nipote aveva insinuato che Redaelli fomentasse la zia. "Io questa evidenza non ce l'ho" ha detto invece quest'oggi in Aula, ricollegando quell'affermazione a un delle due sfuriate avute - a rapporti ormai deteriorati - con l'uomo e al confronto con il cugino Marco Taccani che invece sarebbe stato persuaso dell'influenza negativa del "braccio destro" sulla madre. "Redaelli è entrato nel 2007, i fatti sono del 2014-2015: di tempo ne è passato tanto..." la chiosa sul punto.
E proprio l'ex capo del personale, consigliere comunale a Pescate, fuori dall'azienda dal cambio gestione, sarà il protagonista della prossima udienza. Si torna in Aula tra una settimana.
A.M.