Coronavirus: 'noi qui non serviamo', rabbia tra gli operai ancora nelle fabbriche. Ma c'è anche chi ringrazia di poter lavorare
Le troviamo, poco prima delle 14, dinnanzi all'ingresso della fabbrica: hanno già indosso i pantaloni viola da lavoro e mantengono la debita distanza l'una dall'altra. Ma, senza girarci troppo intorno, ci confessano di essere “incazzate nere”. Le lavoratrici della Fiocchi Munizioni di Lecco proprio non hanno mandato giù il contenuto del nuovo DPCM firmato questa notte dal Premier Conte recependo le indicazioni ricevute dal governatore Fontana a sua volta “influenzato” dalle richieste avanzate da Confindustria. E non sono le uniche: serpeggia il malumore nelle fabbriche del lecchese. La serrata annunciata dalla Regione non c'è stata. O meglio il nuovo giro di vite ha escluso proprio loro: gli operai.
Operaie in ingresso alla Fiocchi
“Ma secondo te in questo momento c'è bisogno di quello che produciamo noi?” ci chiede una dipendenti Fiocchi, prossima a cominciare le otto ore di lavoro sulla linea per la produzione di proiettili. “Non siamo un'azienda alimentare, non siamo un ospedale. Il Paese ha bisogno di guanti e mascherine. Non di munizioni. Ci pensa già il Coronavirus in questi giorni a fare morti”. Una battuta, forse infelice, ma di sicuro d'effetto. Quando chiediamo se in azienda negli ultimi giorni è cambiato qualcosa per ottemperare alle misure di prevenzione, una collega risponde: “Ci hanno tolto la mensa, in pausa dobbiamo restare distanti. Ma sulla linea siamo fianco a fianco. Tra me e la mia collega non c'è un metro. Siamo piene di paturnie in questi giorni. Abbiamo anche noi figli e genitori anziani. E se portiamo qualcosa a casa? Magari noi ci salviamo anche ma i nostri padri? Le nostre madri?”. Domande lecite. Che rimbalzano anche sui social, con i sindacati che – incassato il colpo – invocano ora tavoli per rivedere le decisioni prese. “Per quel che mi riguarda io sarei disposta a rimanere a casa. Che mi licenzino se vogliano. Oggi o domani verrà chiesto alla direzione di scendere in reparto e avanzeremo la richiesta di spegnere le linee. Noi qui non serviamo”.
I cancelli della Regina Chain
Anche tra i dipendenti della Regina Chain in via Cantù a Olginate - un'ottantina in totale, tra operai e dipendenti - il coro sembra essere unanime: "L'azienda ci ha fornito tutto il necessario per lavorare in sicurezza, ma a questo punto preferiremmo restare a casa: anche tra di noi c'è preoccupazione e vogliamo tutti evitare di correre rischi, per tutelare noi stessi e le nostre famiglie".
Alcuni lavoratori all'esterno della Technoprobe di Cernusco
Alcuni dubbi al riguardo li ha però sollevati un suo collega. ''Alcuni giorni fa avrei detto anche io che le aziende non si devono fermare'' ha spiegato. ''Oggi, visti i numeri di malati e morti che stiamo raggiungendo, mi chiedo se non sia giusto che anche le attività produttive si arrestino. Siamo tutti a rischio, pur con tutte le precauzioni di questo mondo''.
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