Lecco, quei cortei del 1° maggio, quando sfilava anche la 'guerra fredda'
“La festa del lavoro, nella data del 1° maggio, veniva preparata addirittura con un mese di anticipo – così dichiarava, all’inizio del 2000, un anziano sindacalista della CGIL. – Al termine del lavoro raggiungevamo la sede di via Sirtori per organizzare il grande corteo con striscioni, cartelli, carri allegorici, dedicati ai problemi della pace, del mondo operaio, della fratellanza proletaria. Peccato che non fossero cortei unitari di tutti i sindacati perché la guerra fredda, la cosiddetta “cortina di ferro”, aveva spaccato anche le rappresentanze dei lavoratori”.
Corteo in via Cavour
I lecchesi di una certa età possono ricordare i cortei del 1° maggio, certamente più festosi che di protesta, ma con tante bandiere scarlatte sventolanti alle note dell’immancabile “Bandiera rossa”. C’era il corteo dei “tirabagia”, che partiva nella vallata del Gerenzone, dal Circolo Libero Pensiero di Rancio e scendeva verso il centro cittadino.Il 1° maggio in piazza Garibaldi
Si univano lungo il tracciato altre componenti rionali e cittadine; vi era sempre la partecipazione di una rappresentanza numerosa che giungeva da Mandello, con la Moto Guzzi ed altre industrie, ma anche da Valmadrera, dal Circolo Operaio di via Trieste, con i sindacalisti Giorgio Isacchi e Franco Brambilla.Lavoratori del sindacato metalmeccanici
Sfogliare oggi ritagli di giornali e fotografie del corteo lecchese del 1° maggio vuol dire poter rammentare tutti i cambiamenti, le notevoli trasformazioni che il territorio urbano ha subito con la scomparsa di grandi complessi industriali, che avevano portato a scrivere da un inviato di un quotidiano nazionale, negli anni ‘60 del Novecento, nel periodo pieno del boom economico, “Lecco è una città fortemente industriale e laboriosa; va a riposare con le galline e si alza ai primi trilli dei galli, rappresentati anche dalle sirene di inizio lavoro di tanti opifici”.La rappresentanza della SAE
Appartengono alla memoria i cortei, non solo del 1° maggio, ma di altre manifestazioni sindacali che percorrevano le strade del centro cittadino per terminare nella centralissima piazza Garibaldi nei giorni delle trattative per i rinnovi dei contratti aziendali o di categoria. C’erano gli assordanti presidi di protesta davanti alla sede dell’Unione Industriali Lecchesi in via Caprera. Appartiene ai ricordi la presenza di imponenti complessi, “cattedrali del lavoro”, come Badoni, Caleotto, SAE, FILE, Aldè sul lungo Adda, tra ponte Vecchio e ponte Nuovo, il “primo saluto” della Lecco laboriosa per coloro che entravano in città. E come non ricordare quella fine di aprile 1991, quando a pochi giorni dal 1° maggio venne demolito, con spettacolare carica esplosiva, davanti a telecamere e giornalisti, il gigantesco serbatoio aereo dell’Acciaieria e Ferriera del Caleotto, lungo via XI Febbraio, che conteneva l’acqua da gettare per raffreddamento sui forni roventi delle colate.La rappresentanza del Caleotto Arlenico
Deve essere ricordata la data del 1° maggio 1981, quando venne inaugurata la nuova sede sindacale CGIL-CISL, in via Besonda, in quartiere Caleotto. Nell’ampio salone del nuovo complesso, gremito di gente, ebbe luogo la cerimonia ufficiale. Erano presenti il segretario nazionale della CISL, Mario Colombo, lecchese di Laorca, ed il segretario nazionale dei metalmeccanici della FIOM-CGIL, Pio Galli, nativo di Annone, ma politicamente cresciuto nel quartiere Rancio e come rappresentante dei lavoratori nella ferriera del Caleotto, vivendo in prima persona la torrida vicenda dei licenziamenti nel 1953.Presidio di protesta presso l’Unione Industriali, in via Caprera
Il Comune di Lecco era rappresentato all’inaugurazione dal sindaco Giuseppe Resinelli, da assessori e consiglieri di vari gruppi politici, con i parlamentari Ezio Citterio e Marte Ferrari. Il sindacato UIL di Lecco era rappresentato dal segretario Pierluigi Polverari, poi vice sindaco in città e parlamentare a Roma.La demolizione della torre con serbatoio del Caleotto, nel 1991
Le feste lontane del 1° maggio terminavano al rientro dei partecipanti nei circoli di appartenenza, dove, in un clima familiare, avveniva un brindisi augurale e poi, in diversi casi, una serata danzante. Era una festa che voleva dire rinnovare l’impegno con il sindacato, non solo per il rispetto e l’applicazione del contratto di lavoro, ma per realtà sempre più emergenti, come la tutela della salute in fabbrica, l’ambiente, i ritmi di produzione, le malattie professionali, la qualificazione di fronte alle nuove tecniche.
A.B.