Lecco: sui social 'in mostra' i tesori nascosti del Museo manzoniano e della galleria di arte moderna

I musei nascosti, i musei che non si vedono, tutta quella serie di opere conservate nei depositi e che non è esposta in permanenza nelle sale, ma che rappresenta comunque un grande patrimonio purtroppo accessibile soltanto agli studiosi.
Per due dei cinque poli cittadini – il museo manzoniano e la galleria di arte moderna, entrambi a Villa Manzoni – su iniziativa dell'amministrazione comunale e dunque dell'assessorato alla Cultura si è aperta ora la vetrina virtuale di Facebook e Instagram nella quale saranno poco per volta “messi in mostra” i pezzi che ora restano perlopiù dietro le quinte.
«Durante il periodo di lockdown – spiega Mauro Rossetto, il direttore scientifico del Museo manzoniano – per circa tre mesi, abbiamo organizzato visite virtuali presentando storie delle singole sedi, dei singoli pezzi… Nel momento in cui si è riaperto, si è deciso di cambiare regime, di incrementare comunque la visita reale ai musei, di non abituare gli appassionati alle sole visite virtuali. Quindi abbiamo deciso di  presentare in internet alcuni spazi della villa non inseriti nel percorso di visita: il giardino, le facciate retrostanti, l’appartamento dei maggiordomi…».
Oltre a puntare i riflettori su alcuni reperti “scomparsi”: «Nel riallestimento dei musei manzoniani – spiega ancora Rossetto – alcuni pezzi sono stati tolti. Ora possono essere rivisti».

Il costume della Monaca di Monza. Sotto quello di don Rodrigo

Ci sono, per esempio, alcuni dei costumi manzoniani dello sceneggiato televisivo degli anni Sessana diretto da Salvatore Nocita, abiti disegnati dallo stilista Maurizio Monteverde con un’accuratezza filologica straordinaria e realizzati dalla sartoria Tirelli, un nome storico in quanto a vestiti per il cinema italiano. Regalati alla nostra città dalla Rai: «Attualmente – dice Tecla Centali, la tirocinante che si è occupata dei “post” manzoniani – sono esposti al pubblico solo gli abiti di Renzo e Lucia, ma adesso si possono vedere su Facebook e Instagram anche quelli di don Rodrigo e della monaca di Monza»
La rimozione del materiale è spiegata così dal direttore: «Nei musei ben gestiti come è il nostro, non dobbiamo parlare di deposito, bensì di una collezione di studio. Non si può esporre tutto come si faceva nei musei dell’Ottocento, quando a fare colpo era la quantità e si arrivava a riempire le pareti di quadri arrivando fino al soffitto. Del resto, anche Umberto Eco diceva di sognare un museo con un’opera sola e il cui percorso di visita fosse appunto incentrato su quell’opera. Certo, non è il caso di arrivare a quell’eccesso, ma dà il senso  di un museo al passo coi tempi. Gli oggetti “nascosti” potrebbero essere al centro di esposizioni tematiche in altre occasioni. E’ il modo corretto per mostrare un museo che vive, che si evolve».

I 'Cesari'

Tra le “chicche” ricomparse su internet i “cesari”. La storia è questa: nel II secolo, Svetonio scrisse le “Vite dei dodici cesari”, un’opera storica dedicata a Giulio Cesari e ad altri undici imperatori. Si parlò così dei “Dodici Cesari” che nel tardo Medioevo vennero ripresi e riletti. Finché nel XVI secolo, Tiziano vi si ispirò per dipingere dodici tele per Federico II duca di Mantova. Le tele vennero distrutte in un incendio, ma restarono cartoni, copie e incisioni realizzate da altri. E i dodici cesari vennero via via riprodotti. Villa Manzoni ne conserva cinque, dipinti da un autore ignoto nel XVII secolo. Due erano esposti nella sala della villa ora dedicata alla Colonna infame e quindi rimossi. Si tratta di quadri che furono nello studio di Pietro Manzoni, il padre dello scrittore. «Era una moda dell’epoca – dice ancora Rossetto – che i giurisperiti appendessero  nei propri studi i quadri dei dodici cesari». Anche don Lisander li appende nello studio dell’avvocato Azzeccagarbugli «e infatti- prosegue Rossetto – compaiono in molte illustrazioni dei “Promessi sposi” prima ancora di quelle “ufficiali” volute da Manzoni. Anche se non c’è una lettera che lo attesti e Manzoni non lo dica, si può affermare che la presenza di quei quadri nel romanzo siano un elemento autobiografico».

Luigi Pizzi, Veduta di Pescarenico, 1943, olio su tela

Luigi Zago, Il Resegone, Pescarenico e l'Adda, 1925-1949, tempera su tela

Giovan Battista Todeschini, Pescarenico, 1875-1925, olio su tela

Ai reperti manzoniani, si affiancano poi le opere della pinacoteca e della fototeca, la sezione diretta da Barbara Cattaneo. Molta attenzione a Pescarenico «perché il borgo dei pescatori – spiega Lorenzo Massina, anch’egli tirocinante a Villa Manzoni – tra il 1850 e la Seconda guerra mondiale è stato uno dei più rappresentati e quindi un post su Carlo Pizzi e poi il figlio Luigi, andando a interagire con la sala 5 della galleria d’arte moderna. E poi, sempre per Pescarenico, spazio anche alle foto storiche».
A collaborare, oltre a Centali e Messina, ci sono altri due tirocinanti: Riccardo Dell’Oro ed Elisa Veronelli.
D.C.
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