In viaggio a tempo inderminato/146: souvenir dal Messico

290 giorni dopo quel tragico ingresso a Tijuana, finisce la nostra avventura messicana.
Ci siamo imbarcati su un volo, il primo di questo 2020 e il primo dopo la pandemia.
Dalle immagini che avevamo visto online, ci aspettavamo un aeroporto deserto, sguardi di diffidenza, mascherine e gel disinfettante al posto delle etichette da mettere sui bagagli.
E, invece, quando entriamo nella sala partenze internazionali dell’aeroporto di Cancun, non troviamo nessun segnale post apocalittico.
Tutto sembra esattamente come al solito.
Caos, scontri di trolley, gente persa che fissa monitor pieni di numeri, le code per il check-in come per le montagne russe a Gardaland.
L’unica differenza sono le mascherine e qualche “careta”, come chiamano in Messico quelle visiere di plastica trasparente che coprono il viso.
Entrare in quell’aeroporto è stato un po’ come fare un salto indietro nel tempo, quando non si parlava di virus e nessuno sapeva misurare a occhio la distanza di un metro e mezzo.
Quando lasciamo un Paese, veniamo sempre avvolti da sensazioni contrastanti ma questa volta è stato tutto più intenso. Un misto tra curiosità, delusione perché nulla sembra essere cambiato mixato al sollievo della “nostra normalità” in viaggio.

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Il Messico è stato… il Messico.
Un Paese pieno di contraddizioni, di colori e di ombre, di gioie e dolori.
Per la prima volta da quando siamo partiti nel lontano Gennaio 2018, potremo dire di aver vissuto in un Paese. Credo che in automatico 9 mesi consecutivi passati negli stessi confini, trasformino “ho viaggiato” in “ho vissuto”.
Nonostante tutto questo tempo, non potremo comunque dire di conoscerlo questo Messico così complesso. Possiamo dire di averne solo scoperto la superficie.
Al contrario, però, questo Paese ha lasciato un segno indelebile in noi, dandoci delle lezioni importanti.
Nel nostro viaggio zaino in spalla, non c’è spazio per i souvenir, ma questo non significa che non ci portiamo qualcosa con noi da ogni zona del mondo in cui siamo stati.
Dal Messico, ad esempio, io porto con me una maglia bianca con dei fiori colorati ricamati. Fa parte dell’abbigliamento tradizionale delle donne dello Yucatan, la zona dove abbiamo trascorso più di 5 mesi e che ci ha coccolato durante la pandemia.


Un “souvenir” che diventa utile e  che quindi si merita di diritto un posto nello zaino.
Un po’ come i pantaloni che ho comprato in India fatti con tanti pezzi di seta diversa, oppure il vestito bianco che ho preso a 1€ in Corea e che ho usato per il matrimonio alle Hawaii.
Paolo, invece, si porta con sé non uno ma ben tre braccialetti. Quello comprato in Chiapas da una signora che indossava una pesantissima gonna di pelo di pecora nera come da tradizione della sua tribù. Un altro fatto da una delle ragazze con cui abbiamo convissuto durante la quarantena e il terzo, regalato dal ragazzo messicano che ci ha ospitato durante i primi giorni, quando eravamo intimoriti da questo enorme Paese.
Ma uno dei souvenir più belli che ci portiamo via dal Messico è lo spagnolo.
In questi nove mesi abbiamo imparato a farci capire in una lingua che fosse diversa dai gesti del “gioca jouer” . Dopo anni in Asia, questo è stato un enorme cambiamento. All’inizio lo spagnolo l’avevamo molto sottovalutato. “Siamo italiani, lo capiremo lo spagnolo” pensavamo i primi tempi. Salvo poi trovarci a fare scena muta quando dovevamo coniugare un verbo o andare oltre il “buongiorno, quanto costa?”.
Capire le conversazioni delle signore in un mercato è stata una vera svolta per noi. Non dovevamo più immaginarci che cosa si urlassero da un banco all’altro della frutta perché quelle parole ora suonavano tanto familiari.
A pensarci bene, forse così si è perso un po’ di quel mistero che rende unica l’Asia. Quella sensazione di non capire nemmeno una parola che ti fa sentire davvero lontano e dall’altra parte del mondo.


L’altro “souvenir” che ci portiamo via sono le tortillas. No, non ci siamo comprati una fornitura a vita, anche se a Paolo l’idea non sarebbe affatto dispiaciuta.
Ma in Messico abbiamo scoperto un nuovo modo di fare la scarpetta, di accompagnare delle verdure, di rimpinzarsi quando si ha fame e si è seduti al tavolo di un ristorante ad aspettare che arrivi il cibo.
Le tortillas di mais sono la vera base della cucina messicana e noi ne abbiamo mangiate talmente tante da essere passati dalla fase “basta, ‘ste tortillas mi escono dalle orecchie” alla fase “ci vorrebbe proprio mezzo chilo di tortillas ora”.
E così dopo nove mesi, siamo diventati dipendenti da quelle piadinelle fatte con la farina di mais e d’ora in poi non credo potremo più farne a meno.


Ma il vero souvenir che ci portiamo via dal Messico è il calore. Il calore delle persone che sanno sorridere anche con la mascherina, che ballano in piazza anche se ci sono trenta gradi, che ci hanno fatto sentire sempre i benvenuti.
Il calore dell’habanero, quel peperoncino piccante che ti fa piangere ma che per qualche strano motivo alla fine ti piace e un pochino lo metti sempre.
Il calore del sole sulla pelle, dell’acqua calma dei Caraibi, delle vie assolate e deserte delle città colorate.
Un pezzetto di Messico lo porteremo sempre con noi ovunque andremo.
Ma ora è il momento di voltare pagina, l’avventura continua!

Dove siamo finiti? Lo racconteremo Mercoledì 23 alle 21:00 in una live sul nostro canale Youtube Beyond The Trip, direttamente dal nuovo Paese.
Angela&Paolo
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