Lecco: con 'Matilde' e altre due storie di scelte, Vanda Bono porta i suoi lettori in Uruguay

«Ci sono momenti che ci portano a fare scelte difficili, ma sono scelte che vanno fatte per dare un senso alla propria vita». Scelte accompagnate da un filo di solitudine perché nelle scelte necessarie per la propria vita, in fondo, si è sempre soli.
Quello della scelta è il filo conduttore di "Matilde", il romanzo di Vanda Bono - insegnante liceale di storia e filosofia e psicologa - presentato ieri sera al circolo "Fratelli Figini" di Maggianico, romanzo che intreccia tre storie personali apparentemente lontane le une dalle altre, ma appunto legate tra loro al "dovere" della scelta.

Enrico Avagnina, Vanda Bono e Anna Nozzari

Le tre storie sono quelle dell'uruguaiana Matilde, che appunto dà il titolo al romanzo, del marinaio tedesco Hans Wilhelm Langsdorff e dell'italiano - lecchese di Rancio - Eugenio Corti. Che si incrociano a Montevideo, dove peraltro Vanda Bono è nata da madre uruguagia e padre italiano, appunto lecchese di Rancio.

Si tratta di storie, dunque, che tangono la stessa biografia dell'autrice, arrivata nella nostra città all'età di 8 anni: nei progetti del padre, in verità, non vi era il ritorno in patria come poi invece si rese necessario per sfuggire a una pesante crisi economica che investì il Paese sudamericano. Una scelta, anche questa, una scelta che non si poteva non fare. E così la bambina Vanda, prima lingua parlata lo spagnolo e come seconda il francese, si ritrova in questo mondo strano che è appunto Rancio, con le pareti rocciose incombenti e la terra in curiosa pendenza, al punto che, dopo un capitombolo da bambina, le venne da dire «sono caduta dalla montagna».

Lo stesso nocciolo della storia arriva dai racconti famigliari, dai racconti che Vanda Bono sentiva da giovanissima, ripetuti magari tante volte da diventare noiosi, racconti dei quali poi molti particolari si sono perduti con lo scorrere del tempo e l'ingarbugliarsi della memoria. Nel mettersi a raccontarli, se in qualche occasione sono stati utili i ricordi della sorella - presente all'incontro e quasi più commossa dell'autrice - in altri ha dovuto sopperire con l'invenzione di dettagli e il romanzato.
La storia di Matilde è quella di un'orfana che finalmente riesce a lasciare la "case dei bambini" con l'affido a una madre, coronando così il desiderio di "essere scelta", espresso tempo prima assieme a una compagna mentre dal tetto dell'orfanotrofio guardavano un dirigibile volteggiare sulla città e poi scomparire nell'orizzonte. Nonostante la nuova madre avesse previsto per lei un futuro da sarta, Matilde si ribella, decide di studiare, affascinata dalla matematica «perché alla fine i conti tornano sempre.»

La storia del tedesco Lamgsdorff è quella del capitano di una nave impegnata nella guerra corsara nell'Oceano Atlantico contro inglesi e americani. Un giorno, danneggiata durante una scaramuccia, la nave cerca rifugio nel porto neutrale di Montevideo. Langsdorff, che non si sente nazista ma ancora soldato della Marina prussiana, non trova gli aiuti sperati e decide di far esplodere la nave che affonda, nell'apocalittica cornice di un mare e un cielo infuocati, spettacolo che i trecentomila montevideani che vi assistettero ricorderanno per anni. Quel mare e quel cielo che uscivano dagli stessi racconti dei genitori della scrittrice.

Infine, Eugenio Corti, guarda il caso di Rancio, soldato dell'esercito sabaudo, dopo l'8 settembre finito tra gli "schiavi di Hitler", i deportati nei campi di prigionia tedeschi costretti a lavorare per il regime nazista. Alla fine della guerra, il ritorno in Italia non è come probabilmente si era atteso - il paesaggio ritrovato sembra ormai appartenere a un passato irrecuperabile - e quindi non resta che emigrare. In Uruguay appunto.

«Ho provato a capire - ha spiegato Vanda Bono - come dovessero sentirsi loro, i miei personaggi. L'intenzione, infatti, era di raccontare le storia a partire dalle emozioni passando attraverso le quali, passando attraverso la coscienza delle persone, si riesce forse far capire meglio cosa stesse accadendo. Pur con il rischio di essere in qualche occasione ripetitiva».
A introdurre l'incontro con Vanda Bono - intervistata da Anna Nozzari della libreria "Cattaneo" - è stato il presidente dell'Anpi lecchese Enrico Avagnina. Che si è soffermato proprio sulla figura di Eugenio Corti, sul "caso" degli Imi, gli internati militari italiani nei campi di prigionia tedeschi, una pagina di storia della quale si è ancora scritto troppo poco, rimanendo obliata per troppi anni. E confessando su questo tema anche la distrazione della stessa Associazione dei partigiani, «ma stiamo recuperando.»

Il pregio di questo romanzo - le parole di Avagnina - è appunto quello di descrivere dettagliatamente lo stato d'animo di questi deportati, ragazzi di 18 o 19 anni catapultati nel vortice della Storia e trovatisi dall'oggi al domani prigionieri dopo magari essere stati considerati eroi. Ci sono due passaggi importanti nel romanzo di Bono: il primo è il momento in cui nei campi di prigionia ai deportati viene promessa la liberazione in cambio dell'arruolamento nell'esercito di Salò e sappiamo che dei 650mila internati italiani solo una piccola parte accettò; il secondo è il ritorno a casa, ritrovando sì il calore della famiglia e della propria terra, ma nel contempo vivendo anche lo spaesamento e la disaffezione: mentre i fratelli raccontano delle imprese al fronte, il protagonista invece confessa di non avere niente da dire, individuando per il proprio futuro soltanto la strada dell'emigrazione.
Dario Cercek
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