Lecco: nel ventennale dell'ascensione invernale in solitaria della via Solleder gli amici ricordano Marco Anghileri
Il ricordo di Marco Anghileri “detto Butch”, l’alpinista morto nel marzo di sei anni fa durante una “solitaria” sul Monte Bianco ha aperto la seconda edizione del Lecco Mountain Festival che proseguirà stasera, venerdì 16 ottobre (in agenda l’incontro con l’alpinista veneto Alessandro Baù, “Space vertigo: dalle pareti della Patagonia alla Tre Cime di Lavaredo) e domani sera con l’assegnazione del premio “Stile alpino” per le imprese memorabili dell’anno. Tutti gli appuntamenti alla Casa dell’economia di via Tonale alle 21.
Marco Anghileri
La serata inaugurale dedicata ad Anghileri non era casuale. Era infatti legata al ventennale dell’ascensione invernale in solitaria della via Solleder sulla parete Nord-Ovest al Civetta: cinque giorni di arrampicata, tra il 14 e il 18 gennaio 2000, in condizioni climatiche estreme, un’impresa che fu appunto memorabile.Si tratta di una via – aperta nell’agosto 1952 dai tedeschi Emil Solleder e Gustav Lettenbauer – che nella storia dell’alpinismo ha un’importanza straordinaria e quasi mitica, definita nelle guide una scalata di “sesto grado”, tradotto per i profani un itinerario alpino di difficoltà estrema.
A parlarne, nella serata condotta dal giornalista Stefano Spreafico e intervallata da un paio di brevi filmati, sono saliti sul palco, oltre all’ospite del festival Alessandro Baù, tre alpinisti lecchesi che hanno condiviso molti momenti e arrampicate con il Butch: Mario Valsecchi, Andry Dell’Oro ed Emanuele Panzeri.
Alessandro Baù e Andry Dell'Oro
Sotto Mario Valsecchi e Emanuele Panzeri
Il Butch in parete
Da primato, poi, per il Butch, c’è stato anche il “tour” dolomitico sempre dell’estate 2000 e sempre in solitaria: tre vette (Marmolada, Civetta e Agner) concatenate in 14 ore filate di scalata e trasferimenti a valle in bicicletta.Ce ne sarebbero state tante altre di salite da raccontare: racchiudere un’intera carriera in due soli capolavori, peraltro realizzati nel giro di pochi mesi, sarebbe riduttivo. Ma nel salone della Casa dell’Economia non si stava facendo accademia, semplicemente si ricordava un amico che non c’è più come si è soliti fare quando ci si ritrova in un rifugio e si dice quello che passa per la mente senza stare tanto a sindacare. Ciò che conta è il calore della testimonianza. Con buona pace del conduttore i cui tentativi di stimolare lunghi racconti svaporavano come niente.
Soprattutto, però – hanno concordato gli amici sul palco – Marco Anghileri aveva una dote incredibile: non si lamentava, nessuno lo sentiva mai dire che una via fosse brutta o peggio, tirava fuori il bello da tutto, apprezzava quanto faceva su qualsiasi terreno.
D.C.