
Il dottor Giovanni De Vito
Vedono pazienti che, probabilmente, se non dovessero sottoporsi con cadenza regolare alle loro visite, non andrebbero mai dal medico. Diventano dunque, in taluni casi, i dottori di riferimento e tra i loro compiti, la prevenzione, ormai, la fa da padrona, non solo legata alla sicurezza nell’ambiente lavorativo ma anche in riferimento alla “quotidianità” e dunque allo stile di vita, dall’alimentazione al fumo, giusto per fare qualche esempio. Sono i professionisti dell’unità operativa di Medicina del Lavoro dell’Azienda ospedaliera della Provincia di Lecco, un team di otto specialisti capitanati dal direttore Giovanni De Vito. Nata per capire i rischi propri delle aziende del territorio e per occuparsi della tutela di chi vi prestava servizio, la struttura fu la prima ad essere “esternalizzata” rispetto ad una sede universitaria, prima ancora dell’avvento delle nuove normative in tema di lavoro come la legge 626. “
Allora la cosa più importante era il laboratorio di tossicologia” spiega l’odierno primario.
“Venivano misurati gli inquinanti presenti nell’aria respirata nelle diverse ditte. Oggi ritroviamo qui la stessa struttura dell’inizio. In laboratorio – il cui responsabile è il dottor Ferruccio Barnabeo – troviamo due chimici. Abbiamo poi i medici addetti alla gestione della sorveglianza sanitaria, un’attività che svolgiamo per la nostra Azienda Ospedaliera e per l’ospedale di Erba ma anche per un centinaio di realtà: enti pubblici come scuole, Asl e Provincia ma anche aziende e aziendine”. Almeno 5000, quindi, complessivamente le persone “in carico” alla Medicina del Lavoro lecchese, “la metà delle quali – circa – la si vede ogni anno”. Il grosso è rappresentato proprio dai dipendenti dell’Ao – la più grande realtà “produttiva” del territorio – con circa un terzo dei “colleghi” (dalle 1.000 alle 1.500 persone) visitato nel corso dell’anno ai medici della struttura diretta dal dottor De Vito, alcuni – quelli più a rischio perché, ad esempio, a contatto con le radiazioni – anche un paio di volte nel corso dei 12 mesi.
“In generale vediamo tutti appena assunti e successivamente periodicamente” argomenta il responsabile.

Due delle macchine a disposizione della struttura

“Vediamo poi tutti quei lavoratori che si assentano dal loro posto per periodi superiori ai 60 giorni, per verificare la loro idoneità a riprendere servizio e facciamo da punto di riferimento anche per tutti i medici di base e del lavoro esterni che ci inviano i loro pazienti per valutazioni in merito alla compatibilità con il lavoro o a presunte malattie professionali”. L’attività medico legale è infatti una delle caratteristiche proprie dell’unità operativa lecchese, un’attività
“che richiede molto tempo” e
“che rientra nei nostri compiti istituzionali”.
“Una volta la malattia professionale più diffusa era l’ipocusia da rumore, oggi sono invece le patologie muscolo scheletriche e si parla più che altro di malattie lavoro-correlate, più difficili da dimostrare”.Se l’abbassamento dell’udito era infatti diretta conseguenza dell’esposizione alla fonte di rumore, più complicato attribuire esclusivamente alla mansione portata avanti in azienda la seconda tipologia di “acciacchi” citata dal dottor De Vita per i quali, direttamente sul posto di lavoro, vengono effettuate misurazioni a scopo preventivo relativamente al sovraccarico biomeccanico. “Sul campo”, poi, i professionisti lecchesi si occupano anche di accertamenti di tipo chimico ma anche fisico come appunto i test relativi al rumore o alle vibrazioni. Accanto a tale attività in “reparto” – al piano terra del Manzoni – trovano spazio anche tre specialità: all’allergologia generale, l’allergologia professionale e la fisiopatologia respiratoria. Della prima è responsabile il dottor Rosario Stanizzi. 3.000, all’incirca, ogni anno le visite e quasi 2.000 le immunizzazioni (vaccini) eseguite con due medici altamente qualificati tanto da effettuare anche test sulle sensibilizzazioni ai farmaci, chiaramente molto delicati.
Effettuata invece circa 700 visite l’anno effettuando su ciascun paziente un minimo di 50 test a sostanze e “situazioni”, i professionisti dell’allergologia professionale che si occupano prevalentemente prove cutanee quindi dei così detti “patch-test”, con i “cerottini” attaccati alla pelle per verificare la “risposta” soggettiva.
Valutano infine “come stanno i polmoni” il dottor Silvano Cerri e i suoi collaboratori della fisiopatologia respiratoria che effettuano una gamma di prove che vanno dalla semplice spirometria al test di provocazione bronchiale specifico – eseguito da poche realtà - in cui si espone il soggetto proprio alla sostanza a cui egli è allergico. 3.700 più o meno gli esami eseguiti in un’annualità.
A.M.