Lecco: al Manzoni in cura trecento pazienti con l'epatite B, l'infezione più diffusa al mondo. In arrivo nuovi farmaci per la Delta

Il dottor Pietro Pozzoni, responsabile dell'Unità Operativa di Epatologia
Se il Covid ha monopolizzato nell'ultimo biennio la scena ed il vaiolo delle scimmie contende al momento la ribalta alla febbre West Nile, per l'OMS le epatiti virali ancora oggi continuano ad essere uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello globale. Dopo aver dedicato dunque spazio alla campagna di screening in atto per l'eradicazione dell'epatite C (con i dati diffusi poco fa dalla Regione che attestano il primato lecchese per test effettuati), eccoci di nuovo presso l'Unità Operativa di Epatologia dell'Ospedale Manzoni, dove sono in cura all’incirca 300 pazienti affetti da epatite B, "l'infezione più diffusa al mondo", come spiega il dottor Pietro Pozzoni, responsabile della Struttura.
Trecento milioni complessivamente le persone con un'infezione cronica da virus dell’epatite B (HBV), 14 milioni in Europa, 500 mila circa in Italia, dove nel 2020 sono stati segnalati 170 nuovi casi, nonostante siano passati ormai trent'anni dall'introduzione del vaccino (obbligatorio per i nuovi nati dal 1991 in poi). Perché sì, per l'epatite B, contrariamente all’epatite C, il vaccino c'è e funziona: è infatti efficace nel proteggere dall’infezione praticamente nel 100% dei soggetti che si sottopongono all'inoculazione. Un elemento rassicurante, soprattutto se si considera che "è stato stimato che un quarto della popolazione mondiale è venuta in contatto con il virus HBV" come argomenta il dottor Pozzoni. “L’infezione nella sua prima fase decorre nella maggior parte dei casi del tutto asintomatica, più raramente può provocare malessere, inappetenza, dolori addominali e ittero. Spesso, soprattutto quando l’infezione viene contratta nell’età adulta, superata la fase acuta si guarisce in modo definitivo dall’infezione. In altri casi, tuttavia, il nostro sistema immunitario non riesce ad eliminare il virus dall’organismo e l’infezione diventa cronica. Questi sono i casi più insidiosi, in quanto l’infezione cronica da HBV può portare nel tempo allo sviluppo di complicanze gravi come la cirrosi (nel 20% dei casi in cinque anni se l’infezione cronica non viene curata), l’insufficienza epatica e il tumore al fegato”.
Il contagio avviene per contatto con sangue o altri liquidi biologici infetti (dunque anche per via sessuale). Il virus poi è particolarmente insidioso, dal momento che resiste nell’ambiente anche fino a 7 giorni, motivo per cui i conviventi di soggetti con epatite B devono prestare attenzione evitando l'uso promiscuo di spazzolini, forbicini, pettini...
Quanto al trattamento, se l'interferone, l’unica terapia disponibile fino ai primi anni 2000, dava scarsi risultati (e tante controindicazioni), "da circa 15 anni disponiamo di farmaci che agiscono direttamente contro HBV, inibendone in modo molto efficace la sua replicazione del virus e azzerandone rapidamente la sua presenza nel sangue, pur non eliminandolo del tutto (questo è di fatto il loro unico limite)" spiega il responsabile dell'Epatologia dell'ASST di Lecco.
Questi farmaci – Entecavir e Tenofovir – vengono somministrati per via orale. Compresse da assumere una volta al giorno, dunque. Con costanza, spesso per tutta la vita, proprio perché non eradicano del tutto il virus. Chiara l'immagine utilizzata dal dottor Pozzoni per rendere il concetto: quella della macchina con il freno a mano tirato in discesa.
Molto ben tollerati dai pazienti, con pochissimi effetti collaterali dunque, questi farmaci "fanno anche regredire la cirrosi" ed hanno anche molto ridotto l'incidenza dei tumori al fegato nei pazienti affetti da epatite B. Essenziale, come tutte le epatiti, diagnosticarla per tempo, specie nelle categorie a rischio.
Almeno 300, come anticipato, i pazienti in cura a Lecco. Si contano sulle dita di una mano, invece, i casi di epatite Delta, epatite assai meno conosciuta ma decisamente più aggressiva. "Si tratta della forma più pericolosa di epatite virale cronica, che progredisce molto più velocemente, fino a 10 volte, verso la cirrosi e il possibile sviluppo di epatocarcinoma" spiega l'epatologo. "L'infezione è causata da un altro virus (HDV) cosiddetto "difettivo" in quanto ha bisogno di HBV per replicarsi". Dunque chi sviluppa l’epatite Delta ha già anche l'epatite B. Oggi si stima che il 5% di chi è affetto da epatite B abbia anche l’epatite Delta, purtroppo una infezione ancora oggi sottodiagnosticata. "E' il sommerso a preoccupare" asserisce il dottor Pozzoni, precisando come a Lecco tutti i pazienti con epatite B al momento della diagnosi vengano testati anche per la possibile presenza di HDV, “anche se purtroppo questo non avviene in tutti i centri epatologici, facendo sì che molti casi di epatite B + Delta in Italia restino non diagnosticati e pertanto non curati”.
Per l’epatite Delta "di fatto non c'è mai stata una terapia efficace", aggiunge il camice bianco, evidenziando però sarà presto a disposizione un nuovo farmaco che segnerà un reale cambio di passo nel contrastare questa infezione. Bulevirtide, questo è il nome del farmaco, è in grado di agire direttamente contro HDV, impedendo al virus di entrare nelle cellule del fegato e di infettarle. "A giugno, al Congresso dell'Associazione Europea per lo Studio del Fegato che si è tenuto a Londra, sono stati presentati i dati di uno studio molto importante condotto su 150 pazienti affetti da epatite Delta, che evidenziano come dopo 48 settimane (circa un anno) di trattamento con Bulevirtide i livelli di HDV nel sangue si riducono nel 70% dei pazienti e nel 15% dei casi addirittura si azzerano".
Il trattamento per i pazienti affetti da epatite Delta è già stato approvato dall'EMA ed è in attesa a breve dell'approvazione in Italia da parte di AIFA. “Probabilmente – chiosa il dottor Pozzoni - i primi trattamenti con Bulevirtide dei nostri pazienti con epatite Delta avranno inizio nei primissimi mesi del 2023”. Una buona notizia, indubbiamente.
A.M.
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