I 'giorni della Civetta' raccontati per viva voce dei protagonisti, a 50 anni dall'apertura della Via dei Cinque di Valmadrera
Gianni Rusconi, Antonio Rusconi, Giorgio Tessari, Gianbattista Crimella, Gianbattista Villa: sono i “cinque di Valmadrera”, quelli che danno il nome a una via sulla parete nord ovest del monte Civetta nelle Dolomiti bellunesi, aperta nel marzo 1972 dopo un vero e proprio assedio durato 25 giorni. E che appunto si chiama la “Via dei Cinque di Valmadrera”. Di quell’impresa che fu pazza ed epica sono stati celebrati i cinquant’anni in una serata tenutasi in un affollato teatro Artesfera di Valmadrera. L’organizzazione, partita da un’idea di Gianni Magistris e Gianmaria Mandelli, ha visto coinvolti il Comune e le associazioni alpinistiche ed escursionistiche valmadreresi (Sev, Osa, Cai), oltre agli alpini.
Giorgio Spreafico
Il compito di raccontare quei giorni di mezzo secolo fa è stato affidato al giornalista Giorgio Spreafico che dell’alpinismo lecchese è un indiscusso cantore. E la sua è stata una lunga cavalcata che ha abbracciato oltre un secolo, partendo addirittura da Antonio Stoppani che nel suo “Bel Paese” del 1876 racconta di un’escursione che sei anni prima fece fino ai piedi del «Civita che vuol dire Civetta», volendo in questo modo individuare un legame di lunga data tra i lecchesi e quella montagna, la “parete delle pareti”, lunga sei chilometri e che in altezza tocca i 3300 metri. La montagna, già: “la” Civetta e non “il Civetta” che è toponimo dall’origine incerta per spiegare il quale Spreafico accoglie la versione forse fantasiosa ma accattivante di un abitante del luogo secondo cui quella montagna si chiama così «perché incanta». E la variante femminile consente, giocando sul titolo di un romanzo di Leonardo Sciascia, di parlare di quel lontano periodo come dei “giorni della Civetta”.
Ad arricchire la memoria dell’impresa del 1972 c’è stata anche la testimonianza dei protagonisti che in partenza erano sei: della squadra faceva parte anche Giuliano Fabbrica costretto al ritiro dall’influenza ad assalto già cominciato. Dei cinque arrivati in vetta, non c’è più Antonio Rusconi, scomparso nel 2008.
Gianni Rusconi e Gianbattista Crimella
Gianbattista Villa e Giorgio Tessari
Giuliano Fabbrica e nel riquadro in alto Antonio Rusconi, in una foto del tempo
Il “cervello” del gruppo era Gianni Rusconi, fratello di Antonio. Entrambi su quella parete avevano già arrampicato. Ma ora l’idea era tracciare una via diretta invernale fino alla vetta: «il “cuore della Civetta”, una fascia di strapiombi che tanti avevano pensato di salire per poi rinunciare». Ma solo arrivati ai piedi della montagna svelò il progetto ai compagni di cordata, i quali pensavano di salire per tutt’altra via. La questione però si era fatta urgente perché secondo una voce che circolava negli ambienti, quell’altro mostro sacro dell’alpinismo lecchese che era Casimiro Ferrari avesse tentato la stessa salita. Insomma, bisognava arrivare prima. Di quel tentativo – ha spiegato lo stesso Rusconi – sono rimaste soltanto le voci, non essendoci testimonianze affidabili ed essendo stato lo stesso Ferrari quanto meno reticente.I 5 in vetta. Sotto ieri sul palco
L’avventura in Civetta sarebbe poi proseguita con altre imprese e altri protagonisti ricordati nella serata che ha visto scorrere sullo schermo anche fotografie e brevi filmati, mentre il racconto di quella che è una sorta di epopea è stato inframmezzato dalle canzoni interpretate da Federica Spreafico, accompagnata alla chitarra da Stefano Fumagalli e al pianoforte da Edoardo Maggioni.
Sonia Di Bernardin
Da parte loro, i protagonisti hanno voluto ricordare Livio Di Bernardin, il gestore del rifugio Tissi, punto di appoggio dei valmadreresi durante “i giorni della Civetta” e che non lesinò energie per aiutare il gruppo valmadrerese. Presente alla serata la figlia del rifugista, Sonia.
Dario Cercek