Dal particolare al globale o dal 'micro' al 'macro'

Enrico Magni
E’ un sollievo esistenziale camminare lungo gli argini dell’Adda, sulla ciclopedonale, sentirsi sfiorati dal sole autunnale, rapiti dai colori mutevoli delle foglie sugli alberi o sul selciato e accorgersi di essere fortunati per gustare queste pennellate. Sembra di star dentro a un dipinto di Claude Monet, oppure, sul Traghetto dell’Ave Maria di Segantini con le pecore, che sono trasportate, dopo la transumanza, da una sponda all’altra.
Ma, è soltanto un colpo di abbandono, una rêverie diurna che subentra quando le difese alfa si abbassano e compaiono quelle dei sogni. Poi ci si risveglia e la prima cosa che sobbalza in testa è il quasi fallimento del Cop 27 che con fatica ha siglato un accordo sul fondo mondiale per il loss and damage: riguarda la perdita e i danni provocati dal cambiamento climatico subìto soprattutto dai Paesi più poveri che hanno contribuito limitatamente all’aumento della temperatura terrestre. Ci sono voluti quasi due giorni di trattative per portare i 197 Paesi presenti alla Cop27 del Cairo a un’intesa che arriva dopo trent’anni di discussioni. Certo è un risultato importante ma minimo. Non c’è stato nessun accordo sull’innalzamento della temperatura, sull’uso del carbon fossile, sulla deforestazione, sulla biodiversità.
Il cambiamento sistemico in atto è più veloce e costante delle decisioni assunte. Non c’è più tempo per rimandare.
C’è la necessità politica di mettere al primo posto la questione ecologica, ambientale e sociale. Le contradizioni sociali, economiche, finanziarie oggi devono fare i conti con questa condizione. Migrazioni, stili di vita, produzione, occupazione sono delle componenti del tutto: il tutto è più della somma delle parti.
C’è invece la tendenza a soffermarsi sul proprio ombelico, paese, quartiere. La pandemia non ha insegnato nulla sotto questo aspetto, eppure è un fenomeno che ha coinvolto indistintamente tutti gli individui, i continenti e i singoli paesi. Anzi, all’opposto, si è manifestato un comportamento geopolitico, sociale di chiusura, di ripiego, di difesa del particulare, come diceva Francesco Guiggiardini, oppure dell’opportunismo del fine avrebbe suggerito Machiavelli. Ma le citazioni non contano, sono divertissement mentali.
Una cosa è certa. Ogni granello di sabbia deve fare i conti con la complessità. Dislocare una produzione in un’altra località produce un cambiamento sistemico che incide a livello generale, perché ciò che governa il processo è un meccanismo circolare che interconnette le parti. Così come la nuova finanziaria del governo Meloni non avrà delle ricadute ristoratrici e lineari, ma avrà delle conseguenze circolari che produrranno dei fenomeni interconnessi a catena di disuguaglianza.
In una società globalizzata o ibrida, com’è quella attuale, le parti sono interconnesse e coinvolgono i singoli individui e gli apparati sociali.
Si è visto anche con la guerra tra Russia/ Ucraina. A differenza delle altre guerre in atto, in paesi più poveri, questa è una guerra della globalizzazione e coinvolge tutti indistintamente a livello economico, sociale e politico. La guerra con le sue bombe, oltre a distruggere case, famiglie, nuove  generazioni di quei paesi, sta inquinando, infestando la biosfera con tutte le polveri immesse nell’atmosfera. Il paradosso di questa società globalizzata ibrida è rappresentato dalle nuove generazione. Da una parte ci sono giovani che lottano e contestano la governance mondiale per quanto riguarda l’inquinamento ambientale, dall’altra parte abbiamo giovani che muoiono. Come non richiamare l’aforisma di Erodoto: “In pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono invece i padri a seppellire i vecchi” e quello di Voltaire:” Io sono cittadino del mondo”.
Dr. Enrico Magni, psicologo
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