Lecco: assolte le due ginecologhe a processo per interruzione colposa di gravidanza

La sentenza, a dibattimento ancora in corso, era apparsa già scritta. Sono state entrambe assolte, le due dottoresse dell'ospedale Manzoni di Lecco chiamate a rispondere del “reato più infamante per una ginecologa”, come da espressione di uno dei difensori: "interruzione colposa di gravidanza". 
La dolorosa vicenda al centro del fascicolo giudiziario approdato al vaglio del giudice monocratico Paolo Salvatore risale al marzo del 2019: una giovane mamma, alla sua seconda gestazione, il 21 si presenta al pronto soccorso ostetrico del presidio di via dell'Eremo lamentando dolori ricondotti, poi a colica renale. Viene rimandata a casa, dopo il vaglio di tre medici che si alternano nel seguirla, sotto terapia farmacologica. Il “male” però non passa e l'indomani la calolziese, alla 31esima settimana di gravidanza, torna in corsia, venendo ricoverata. 
Nottetempo - dopo una giornata a suo dire trascorsa in preda ai dolori, senza essere più visitata da un camice bianco ma di fatto affidata a una ostetrica che a sua volta riferiva al personale medico, impegnato in altre urgenze - perde il bambino e, operata per un volvolo, uscirà poi dall'ospedale senza gran parte dell'intestino, dopo essere finita anche in coma. 
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Il tribunale di Lecco

Rimessa da parte della persona offesa la querela relativa al reato di lesioni – dopo il risarcimento riconosciuto dall'ASST – il processo si è incardinato dunque “solo” per il reato – procedibile d'ufficio – di "interruzione colposa di gravidanza", a carico delle dottoresse Elisa Matarazzo (avv. Badessi e avv. Liso del Foro di Lecco) e Roberta Tironi (avv. Sala del Foro di Monza), entrambe stimate ginecologhe di lungo corso. 
La prima – già nelle prime fasi del processo – è risultata estranea alla vicenda o meglio, pur presente la mattina del 22 marzo 2019 in reparto e pur avendo compilato l'accettazione della paziente, non aveva nessun potere decisionale e nessuna autonomia essendo – in quel momento – presente in struttura solo in affiancamento di altro medico del reparto in quanto arrivata da poco a Lecco da altro nosocomio. 
La seconda, invece, si sarebbe interfacciata con la donna solo la sera, sul finire del turno, su sollecitazione delle ostetriche, disponendo l'ecografia che ha poi portato a inviare il caso alla chirurgia. Sarebbe dunque, per usare l'espressione del difensore, colei che “ha salvato la vita alla signora”, in una estremizzazione delle posizioni, proposta al giudice al termine di una lunga disamina di tutti gli elementi emersi nel corso dell'istruttoria, ad iniziare dall'organizzazione del reparto (nel pomeriggio del 22 marzo c'erano 2 dottoresse con 23 pazienti ricoverate e due in day hospital) fino alla valutazione del caso specifico, raro e di difficile diagnostica come confermato non solo dai consulenti di parte ma anche da quelli della Procura. Ufficio quest'ultimo, oggi rappresentato in Aula dal viceprocuratore Caterina Scarselli, che, con onestà, ha riconosciuto come la dottoressa Matarazzo fosse effettivamente in affiancamento e la collega Tironi “impegnata continuativamente in altre attività”, mentre la persona offesa era in carico ad altra professionista, non coinvolta nel processo, pur essendo il suo nome – come quello di ulteriori professionisti – presente sul diario clinico della donna, utilizzato dalla direzione sanitaria per indicare agli inquirenti il personale in servizio quel maledetto 22 marzo 2019, come evidenziato dall'avvocato Badessi nella sua arringa. Assolte perché il fatto non costituisce reato, la decisione del giudice Paolo Salvatore.
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A.M.
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