'Caso Pifferi': anche le toghe lecchesi scioperano a tutela del giusto processo, lunedì 4
Anche le toghe lecchesi lunedì 4 marzo incroceranno le braccia, allineandosi alla decisione presa dai colleghi meneghini. "La Camera Penale di Como e Lecco ha avvertito da subito l’esigenza di condividere e aderire all’iniziativa della Camera Penale di Milano perché quanto successo al processo Pifferi non può non essere pubblicamente stigmatizzato" commenta l'avvocato Stefano Pelizzari, vicepresidente dell'Ente camerale, introducendo la questione alla base della proclamazione dell'astensione ovvero l'inchiesta bis originata nel corso del processo a cui è sottoposta, al cospetto della Corte d'Assise di Milano, la mamma accusata di aver lasciato morire di stenti la figlioletta Diana, 18 mesi appena, allontanandosi per giorni dall'abitazione di famiglia, nel luglio di 2 anni fa. Il PM titolare del fascicolo - con una collega co-assegnataria che, rimasta all'oscuro nella nuova attività investigativa, saputo del secondo fascicolo ha chiesto e ottenuto di essere sollevata dal caso - ha iscritto nel registro degli indagati per falso e favoreggiamento il difensore della donna e due psicologhe del carcere di San Vittore, accusando quest'ultime di aver svolto una sorta di consulenza privata in favore della Pifferi, sottoponendole dei test che hanno certificato un deficit cognitivo grave, senza averne titolo, per supportare così il legale nel chiede alla Corte d'Assise di effettuare una perizia psichiatrica sull'imputata, all'esito del dibattimento.
La Camera Penale di Milano, rendendo pubblica la decisione di indire una giornata di astensione in segno di protesta per quanto avvenuto, ha espresso fin da subito "forti dubbi in ordine al rispetto delle disposizioni contenute nel progetto organizzativo della stessa Procura, che fornisce precise indicazioni in ordine alle modalità di iscrizione delle notizie di reato, prima tra tutti il divieto di auto assegnazione, e che prevede, comunque, l’intervento del Procuratore aggiunto di turno, vincolato ai criteri di assegnazione formalizzati nel progetto". Ma non solo. "A prescindere dal dovere di accertare reati in modo tempestivo, purché nell’ambito delle regole anche organizzative, l’azione del pubblico ministero, per i tempi e le modalità che l’hanno caratterizzata, incide obiettivamente sulla formazione di una prova nel dibattimento, interferendo con l’effettuazione di una perizia sulla capacità dell’imputata e ponendo in discussione gli stessi equilibri del processo, ove il confronto paritario tra le parti rappresenta lo strumento per l’accertamento dei fatti; il PM ha ritenuto non solo di opporsi nel processo all’espletamento di detta perizia, ammessa poi dalla Corte, ma addirittura ha ipotizzato un’attività criminosa a carico di chi non si era manifestato concorde con la sua granitica certezza" annota ancora la Presidente Valentina Alberta, criticando anche la fuga di notizie e dunque l'anticipazione alla stampa di atti poi notificati solo in seconda battuta al difensore della Pifferi, scopertasi indagata dai giornali.
Rivendicata dunque dei penalisti milanesi, cui si sono associati anche quelli lariani, il diritto del difensore di "poter scegliere la propria linea difensiva senza che - sulla scorta di un’inammissibile identificazione con il proprio assistito - tale scelta possa in sé essere sindacata o considerata reato" nonché quello del personale sanitario (e non solo) che opera all’interno di un istituto penitenziario di "poter svolgere il proprio compito in scienza e coscienza, senza sentirsi spiato e messo alla berlina per effetto di attività investigative svolte con modalità discutibili". Il tutto ricordando altresì alla Procura che "i reati in ipotesi commessi a processo in corso vanno verificati con una richiesta di trasmissione atti alla fine dello stesso, vede il proprio fondamento nella necessità di non turbarne lo svolgimento e non condizionare la serenità di giudici, periti, consulenti...".
"Il complessivo comportamento tenuto dalla Procura (nel caso di specie ndr) - l'ultima, forte, considerazione - altera quello che dovrebbe essere l’intangibile equilibrio tra accusa e difesa nell’esercizio del giusto processo. Da “armi pari” il passo ad “armi incrociate” (da una parte verso l’altra) è tanto breve quanto pericoloso: tale passaggio non avverrà mai con il silenzio o l’accondiscendenza della Camera Penale di Milano".
Una posizione, condivisa della Camera di Penale di Como e Lecco, sottolineando come i fatti descritti dall'atto dei colleghi meneghini, "appaiono dimostrativi della perdurante necessità di stigmatizzare qualsiasi violazione dei principi del giusto processo", giusto processo che "richiede l’effettiva parità delle parti, la quale non può prescindere dalla garanzia che il difensore agisca nel procedimento senza timori di condizionamenti e nell’esclusivo interesse del proprio assistito".
"Prescindendo dal merito della vicenda che sarà oggetto di accertamento nelle competenti sedi - spiega infatti l'avvocato Pelizzari - quello che ci ha colpiti è il metodo che l’ha caratterizzata. Svolgere il proprio mandato senza timori di condizionamenti e’ un presupposto irrinunciabile per il pieno esercizio del diritto di difesa, per la tutela non solo dell’imputato ma della stessa giurisdizione. I penalisti comaschi e lecchesi saranno sempre in prima fila per la difesa della giurisdizione".
La Camera Penale di Milano, rendendo pubblica la decisione di indire una giornata di astensione in segno di protesta per quanto avvenuto, ha espresso fin da subito "forti dubbi in ordine al rispetto delle disposizioni contenute nel progetto organizzativo della stessa Procura, che fornisce precise indicazioni in ordine alle modalità di iscrizione delle notizie di reato, prima tra tutti il divieto di auto assegnazione, e che prevede, comunque, l’intervento del Procuratore aggiunto di turno, vincolato ai criteri di assegnazione formalizzati nel progetto". Ma non solo. "A prescindere dal dovere di accertare reati in modo tempestivo, purché nell’ambito delle regole anche organizzative, l’azione del pubblico ministero, per i tempi e le modalità che l’hanno caratterizzata, incide obiettivamente sulla formazione di una prova nel dibattimento, interferendo con l’effettuazione di una perizia sulla capacità dell’imputata e ponendo in discussione gli stessi equilibri del processo, ove il confronto paritario tra le parti rappresenta lo strumento per l’accertamento dei fatti; il PM ha ritenuto non solo di opporsi nel processo all’espletamento di detta perizia, ammessa poi dalla Corte, ma addirittura ha ipotizzato un’attività criminosa a carico di chi non si era manifestato concorde con la sua granitica certezza" annota ancora la Presidente Valentina Alberta, criticando anche la fuga di notizie e dunque l'anticipazione alla stampa di atti poi notificati solo in seconda battuta al difensore della Pifferi, scopertasi indagata dai giornali.
Rivendicata dunque dei penalisti milanesi, cui si sono associati anche quelli lariani, il diritto del difensore di "poter scegliere la propria linea difensiva senza che - sulla scorta di un’inammissibile identificazione con il proprio assistito - tale scelta possa in sé essere sindacata o considerata reato" nonché quello del personale sanitario (e non solo) che opera all’interno di un istituto penitenziario di "poter svolgere il proprio compito in scienza e coscienza, senza sentirsi spiato e messo alla berlina per effetto di attività investigative svolte con modalità discutibili". Il tutto ricordando altresì alla Procura che "i reati in ipotesi commessi a processo in corso vanno verificati con una richiesta di trasmissione atti alla fine dello stesso, vede il proprio fondamento nella necessità di non turbarne lo svolgimento e non condizionare la serenità di giudici, periti, consulenti...".
"Il complessivo comportamento tenuto dalla Procura (nel caso di specie ndr) - l'ultima, forte, considerazione - altera quello che dovrebbe essere l’intangibile equilibrio tra accusa e difesa nell’esercizio del giusto processo. Da “armi pari” il passo ad “armi incrociate” (da una parte verso l’altra) è tanto breve quanto pericoloso: tale passaggio non avverrà mai con il silenzio o l’accondiscendenza della Camera Penale di Milano".
Una posizione, condivisa della Camera di Penale di Como e Lecco, sottolineando come i fatti descritti dall'atto dei colleghi meneghini, "appaiono dimostrativi della perdurante necessità di stigmatizzare qualsiasi violazione dei principi del giusto processo", giusto processo che "richiede l’effettiva parità delle parti, la quale non può prescindere dalla garanzia che il difensore agisca nel procedimento senza timori di condizionamenti e nell’esclusivo interesse del proprio assistito".
"Prescindendo dal merito della vicenda che sarà oggetto di accertamento nelle competenti sedi - spiega infatti l'avvocato Pelizzari - quello che ci ha colpiti è il metodo che l’ha caratterizzata. Svolgere il proprio mandato senza timori di condizionamenti e’ un presupposto irrinunciabile per il pieno esercizio del diritto di difesa, per la tutela non solo dell’imputato ma della stessa giurisdizione. I penalisti comaschi e lecchesi saranno sempre in prima fila per la difesa della giurisdizione".
A.M.