Ballabio, aspettando la fiera del 10 maggio ecco la storia del protagonista: il Taleggio

La storia del Taleggio, o per meglio dire dello stracchino, si lega indissolubilmente alla figura dei "bergamini". La grande maggioranza delle famiglie rurali della fascia montana tra la Valsassina e l'alta val Sabbia viveva con una o due mucche, un vitello e un maiale negli spazi ristretti di stalle e pascoli offerti dalla tradizione insediativa della montagna: bergamì diventava chi riusciva, non senza sacrifici, ad allargare la mandria a dieci, venti bovini. Passati da un'economia di sussistenza a un'economia di produzione, questi allevatori di montagna si trovarono a dover iniziare la pratica della transumanza per garantire un foraggio adeguato ai propri animali.

E così, contraddistinti dall'immancabile grembiale da casaro di tela azzurra detto scussaar, dal cappello rotondo di feltro scuro e dal tabarro di lana, i bergamini solevano abbandonare gli alpeggi dopo la festa di San Michele per passare l'inverno in pianura, nel basso milanese, nel cremonese e nel lodigiano, tornando sui monti solo a metà aprile. A seconda del tragitto le carovane potevano viaggiare per oltre una settimana, coprendo distanze dai 50 ai 150 km e sostando spesso nelle piazze dei paesi dove gli animali si dissetavano agli abbeveratoi pubblici. Si stima che 20-25mila vacche da latte in 700-800 mandrie, accompagnate da 6-7mila persone, si spostassero tra pianura e montagna ancora agli inizi del '900. Il fulcro di questa cultura non era l'aspirazione a diventare un possidente, ma piuttosto la caseificazione, la stalla e l'amore per le mucche: il bergamino non le lasciava mai incustodite e ne conosceva a fondo punti di forza e debolezza, tanto che ognuna aveva un nome proprio e la perdita della Bruna o della Mòra era motivo di lutto per tutto il gruppo parentale.

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"Proprio da questo stile di vita nomade nasce lo stracchino" ha spiegato Giuseppe Invernizzi, Direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco e Varese, "come gli altri formaggi, in origine fu l'esito dei tentativi di conservare il latte eccedente. Ma, a differenza della maggior parte di questi, lo stracchino era identificato e definito da un preciso processo produttivo che prevedeva l'avvio della coagulazione immediatamente dopo la mungitura aggiungendo il caglio al latte appena munto, ancora caldo del calore corporeo della vacca, senza necessità di utilizzo del fuoco. È un formaggio che si può produrre con gli animali al pascolo, in continuo spostamento alla ricerca di foraggio fresco: proprio per la sua semplicità Fedele Massara, in un suo scritto del 1866, lo ritiene uno dei più antichi formaggi, sicuramente precedente al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano". Anche l'origine del nome infatti viene fatta risalire all'aggettivo "stracco", ad indicare la condizione delle mandrie di vacche in transumanza per centinaia di chilometri dalle Alpi alle Valle Padana.

Enrico Pissavini, presidente Pro Loco Ballabio e Giuseppe Invernizzi, direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco

Allora non c'erano tanti nomi per il formaggio, lo stracchino si distingueva a malapena dal generico "cacio" ed era una sorta di parola jolly che definiva un tipo di formaggio lombardo prodotto con latte appena munto senza riscaldarlo. "In origine erano definiti con questo nome quelli che oggi sono Taleggio, Quartirolo, Strachì Quader, Gorgonzola, Strachì Tund, Salva Cremasco, Crescenza e Robiola: le differenze, anche vistose, derivano dalle successive fasi di lavorazione. Quantità di caglio, tempi di coagulazione, taglio della cagliata, pezzatura, salatura, stuffatura e stagionatura sono gli elementi determinanti il gusto e le diverse caratteristiche" ha chiarito Invernizzi, aggiungendo che la stessa denominazione di "Taleggio" risale in realtà solo ai primi del '900. "Per produrre lo Strachì Quader ad esempio, dopo una breve lavorazione la cagliata veniva posta in cassette di legno con tanti scomparti di forma quadrata, poi collocate sotto il pianale del carretto. Per lo Strachì Tund (Gorgonzola) invece, la cagliata della sera precedente veniva unita a quella appena ottenuta e ancora calda: l'imperfetto amalgama tra le due paste permetteva all'aria di penetrare nella massa favorendo la crescita di muffe in grado di produrre la caratteristica erborinatura".

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Se da un lato nell'antico mondo contadino montanaro - dove la ricchezza veniva quantificata in relazione al numero di mucche e non in riferimento a proprietà di terreni - il bergamì spiccava nella scala sociale perché collocato ai vertici dell'economia locale come persona benestante, al contrario in pianura veniva considerato spesso una sorta di zingaro, in virtù dei continui spostamenti. Tuttavia i bergamini lombardi per cinque secoli hanno rappresentato la punta più avanzata di un sistema economico diffuso e fondato sul piccolo allevamento zootecnico. Nomadi, né borghesi né proletari, i bergamini portavano avanti una 'forma sociale arcaica' e tuttavia erano esempi di successo economico. A cavallo tra arcaismo e innovazione, queste figure - attestate già dal 1400 - hanno attraversato la storia moderna arrivando ad affacciarsi alla metà del Novecento, rimanendo spesso misconosciute in quanto non facilmente incasellabili negli schemi della scienza economica e sociale dei secoli XIX e XX.

Antonio Carminati, direttore Centro Studi Valle Imagna e 
Giuseppe Invernizzi, direttore delle Associazioni Provinciali Allevatori di Como-Lecco

A partire dal 1880, con il boom dei formaggi molli, la Valsassina conobbe un'epoca di splendore, contraddistinguendosi come il filone più innovativo e propulsivo della moderna industria casearia. In questo periodo si distinguono due flussi: i bergamini scendevano ancora verso la pianura per la transumanza, ma sempre più spesso molti si fissavano nella Bassa divenendo agricoltori o contribuendo alla nascita dell'industria casearia come maestranze qualificate; dall'altro lato sempre più formaggio prodotto in pianura, anche dagli ex bergamini, prese a salire in Valsassina per la stagionatura nelle grotte naturali, dove la temperatura costante e molto bassa per diversi decenni fu l'unica garanzia di uno stracchino di Gorgonzola di alta qualità. Così si innescò il commercio internazionale del Gorgonzola, che portò ditte milanesi, codognesi, piemontesi e anche lecchesi a realizzare grandi casere in Valsassina: non è un caso che i nomi dei marchi delle industrie casearie più note, pur oggi quasi sempre passati in altre mani, siano tutti di famiglie di origine bergamina come Galbani, Invernizzi, Cademartori, Mauri.

Altri scatti di un tempo

Infine, l'epilogo: tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e gli anni '90 del Novecento le strade dei bergamini e dello stracchino si divisero. La lunga esperienza transumante si avviò verso la conclusione a causa di diversi fattori logistici ed economici, come il progresso dei sistemi di refrigerazione che permise di svincolarsi dalle grotte valsassinesi, il conferimento del latte direttamente alle Centrali e la progressiva fissazione in pianura degli allevatori. I bergamini cessarono l'attività tradizionale di transumanza, ormai poco redditizia, e con il ricavato della vendita del bestiame riciclarono le proprie conoscenze in attività agricole, caseifici o rivendite, rimanendo legati al settore. Le lunghe carovane rimangono oggi solo un ricordo lontano e sfumato, che rivive nelle testimonianze degli anziani e grazie a qualche manifestazione rievocativa. Ma lo stracchino, il tesoro caseario dei bergamini, gelosamente tramandato per secoli come patrimonio famigliare, rimane sulle nostre tavole. E se è vero che, come ha fatto notare Giuseppe Invernizzi, "di stracchino e non di generico formaggio parla anche il Manzoni, che nei suoi Promessi Sposi quando racconta della fuga di Renzo da Milano lo fa sostare nella "casuccia solitaria d'un paesello", dove "non c'era che una vecchia con la rocca al fianco e col fuso in mano" che gli offre "un po' di stracchino e del vino buono"," tutto quello che resta da fare per celebrare questa tradizione così significativa è di seguire il suo esempio, visitando la Fiera del Taleggio che si terrà a Ballabio il prossimo 10 maggio.


Il tema dei bergamini, a lungo misconosciuto, è stato recentemente approfondito grazie al volume "La civiltà dei bergamini"di Michele Corti, promosso dal Centro Studi Valle Imagna nell'ambito di un programma di ricerca per la conoscenza e la valorizzazione delle espressioni delle culture valligiane, a cui si rimanda per l'approfondimento dell'argomento.
E.T.
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