Lavoro all’estero e tasse sul reddito: nuove regole sulla residenza fiscale

La riforma fiscale è in corso di attuazione e tra le novità va segnalata l’entrata in vigore, con la fine dello scorso anno, del cosiddetto ‘decreto internazionalizzazione’ (D.Lgs. 209/2023) che modifica la normativa riguardante la residenza delle persone fisiche ai fini delle imposte sui redditi (art. 2, D.P.R. 917/1986, Tuir).
“La residenza svolge un ruolo centrale nelle imposte sui redditi, perché determina la tassazione della persona per i redditi ovunque prodotti nel mondo, mentre i non residenti sono tassati solo per i redditi prodotti in Italia – spiega Marco Barassi, presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Lecco - La precedente nozione di residenza comprendeva un requisito temporale, dato dalla maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni in un anno e 184 giorni negli anni bisestili), insieme alla iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, oppure al domicilio o alla residenza, questi ultimi nell’accezione definita dal codice civile”.
Il decreto ora in vigore, nel determinare la residenza fiscale del contribuente, “lascia intatto il requisito temporale, considerando nel calcolo anche le frazioni di giorno, seppur non sempre facilmente verificabili – rimarca Barassi – ed anche il requisito della residenza ai sensi di quanto stabilito dal codice civile (ovvero il luogo in cui la persona ha la dimora abituale), mentre il domicilio viene determinato, non più rinviando alla nozione del codice civile, ma intendendone il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona”.
Una novità decisamente significativa: infatti, se un contribuente lavora all’estero e ha le principali relazioni personali o familiari in Italia (per esempio qui vive la famiglia), la nuova nozione lo renderà residente fiscalmente in Italia mentre nella versione precedente della normativa venivano pesate sia le relazioni personali che quelle patrimoniali del soggetto per stabilirne la principalità.
“La scelta del legislatore non pare del tutto conforme all’indicazione della legge delega di rendere la nozione di residenza ‘coerente con la migliore prassi internazionale e con le convenzioni sottoscritte dall'Italia per evitare le doppie imposizioni’ – rimarca il presidente dei commercialisti lecchesi - Infatti, nelle convenzioni con stati esteri contraenti è presente, per risolvere i casi di doppia residenza, il criterio del centro degli interessi vitali, individuato in base al luogo dove le relazioni personali ed economiche sono più strette”.
L’utilizzo delle tie breaker rules segue un ordine preciso (abitazione permanente, centro degli interessi vitali, dimora abituale e la nazionalità del soggetto) e l’individuazione dello Stato di residenza è funzionale all’applicazione della convenzione fiscale, quindi a ripartire tra i due Stati, o limitarne, il potere di tassare.

I rapporti con la Svizzera
Dal 2024 ci sono anche due novità rilevanti che attengono alla Svizzera e la prima interessa gli italiani che vi hanno stabilito la residenza fiscale. La Svizzera, infatti, non fa più parte della “black list” dei paesi considerati a fiscalità privilegiata e questo ha comportato un cambiamento riguardo alla presunzione di residenza in Italia.
“Ovvero – spiega Barassi – se dal 1999 era compito del contribuente dover dimostrare l’effettiva residenza fiscale in Svizzera, ora, con l’uscita dalla black list, viene ripristinato il normale operare dell’onere della prova, spetta quindi all’Agenzia delle Entrate dimostrare che il contribuente risieda fiscalmente in Italia”.
La seconda novità interessa, invece, le persone che risiedono in Italia e lavorano in Svizzera come frontalieri. “Il nuovo accordo stipulato tra Italia e Svizzera per la tassazione del lavoratori frontalieri, applicabile dal 1° gennaio 2024, abbandona il precedente sistema di tassazione esclusiva in Svizzera ed estende le regole ordinarie di tassazione ‘concorrente’, ovvero sia da parte del Paese di residenza che da parte del Paese in cui si produce il reddito di lavoro dipendente, siano essi l’Italia o la Svizzera – spiega Barassi - Tuttavia la tassazione in Svizzera è applicata in misura pari all’80% della misura ordinaria”.
L’accordo stabilisce anche uno scambio automatico di informazioni, relativo a tali redditi, tra le amministrazioni fiscali dei due Paesi interessati: “Le informazioni ricevute dall’Amministrazione fiscale italiana permetteranno sia di predisporre dichiarazioni precompilate sia di effettuare i controlli sulla correttezza di quanto dichiarato dai lavoratori residenti in Italia che producono reddito di lavoro dipendente in Svizzera” rimarca il presidente dei commercialisti. Va ricordato che la disciplina fiscale dei lavoratori frontalieri è applicabile a condizione che i contribuenti risiedano nei Comuni situati nella fascia di 20 chilometri dal confine (è stato predisposto un elenco di tali comuni) e che rientrino, in linea di principio, quotidianamente presso il loro domicilio. È stabilito un limite di 45 giorni all’anno in cui il lavoratore può non fare ritorno alla propria residenza, senza includere nel conteggio i giorni di ferie e malattia.
“Il nuovo accordo comporta una maggiore tassazione dei lavoratori frontalieri italiani, elimina il riversamento delle imposte incassate che la Svizzera effettuava a favore dell’Italia (dei comuni di fascia da cui provenivano i frontalieri) e introduce condizioni di reciprocità prima assenti – conclude Barassi - Inoltre il nuovo accordo definisce in modo più chiaro le condizioni necessarie per applicare la disciplina fiscale, cosa che le precedenti disposizioni, risalenti a quasi 50 anni fa, non specificavano in modo espresso, determinando l’insorgere di liti tra contribuenti e amministrazione finanziaria”.
ODCEC Lecco
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