Lecco: Simona Rivellini e il suo percorso con l'adozione

Un inno all’adozione, il punto di vista di una giovane adottata e il vissuto personale vivendo la famiglia adottiva e conoscendo quella biologica. Si è tenuto il terzo incontro di ''Libroforum'', il progetto avviato nel 2024 dall’associazione ''Raccontiamo l’adozione ODV'': una volta al mese sono previsti incontri con autori sul tema dell’adozione. 
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Presso il centro Pertini di Lecco si è tenuto un incontro con Simona Rivellini, autrice del testo ''Ti stavo aspettando così'', in una serata che ha visto la presenza della dottoressa Noemi Galli, assistente sociale ed esperta in ambito adottivo e affidatario.
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Simona ha 23 anni ed è passata da un percorso di terapia importante per arrivare ad assumere la consapevolezza di cui tratta nel volume. Adottata un mese esatto dopo la nascita, vive in serenità l’infanzia tanto che per lei l’adozione è un vanto, un modo per sentirsi speciale, accompagnata da una famiglia adottiva solida.
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Questa tranquillità si interrompe in adolescenza: alla scuola media viene presa in giro da una compagna di classe che la apostrofa come un’esclusa, una ragazza non voluta. Iniziano qui le difficoltà che supera grazie all’integrità della sua famiglia e al percorso che fa con se stessa. All’età di 13 anni, fino a circa 19 anni, inizia ad accusare fortissimi dolori di pancia: più volte alla settimana si presenta al pronto soccorso ma, una volta escluse le cause fisiologiche, si inizia a pensare che possa essere un disturbo psicosomatico, legato forse all’adozione.
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Tuttavia, Simona non accetta tale idea avendo sempre convissuto bene con la sua realtà adottiva: la pancia dice però il contrario e i dolori non passano. A 19 anni, spinta dalla madre, inizia a fare volontariato in un’associazione che si occupa di adozione e per la prima volta inizia a pensare alla parola ''abbandono'', sulla quale non si era mai soffermata prima. Si convince a iniziare un percorso di terapia: ecco che, con il lavoro sulla propria persona, i problemi fisici iniziano a ridursi tanto che non si verificano più episodi acuti. 
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In quello stesso periodo, nel 2020, rispondendo ad un annuncio on line postato da colei che risulterà essere la sua madre biologica, Simona conosce la famiglia di origine. In questa fase torna il malessere fisico che è nuovamente espressione di qualche crepa interiore: si sente divisa a metà, tra un sentimento di lealtà verso i genitori adottivi e la voglia di capire e di stare con i genitori biologici. Ritorna in gioco la terapia che l’aiuta a comprendere come affrontare la nuova situazione, mettendo se stessa al centro dei suoi pensieri e del suo benessere, senza accondiscendere sempre ai desideri degli altri. Quando capisce il bisogno di prendere il distacco dalla famiglia biologica, i dolori scompaiono. 
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Nella copertina del libro, su sfondo azzurro, è raffigurata una persona con braccia molto lunge ed aperte: questo disegno rappresenta tre dediche. Una per la famiglia adottiva che l’ha supportata e ha “retto” alla tempesta stando sempre tutti uniti; una per la famiglia biologica che Simona ha a lungo aspettato di incontrare e conoscere e infine, una dedica a se stessa, come un abbraccio alla sua esistenza.
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Durante l’incontro a Lecco, molto partecipato, un ampio dibattito ha fatto seguito alla presentazione. Sono emersi in particolare alcuni temi, come quello della somiglianza fisica e quello delle origini: Simona ha detto che il figlio adottato deve sentirsi autorizzato in famiglia a parlare delle sue origini, ma a questo punto subentra il pensiero del genitore adottivo che deve prima risolvere tale questione dentro di sé. Infine, un tema centrale, quello della parola abbandono, una parola che ha una connotazione positiva e comunque che impone una riflessione.
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''Abbandono ha origine dal francese antico abandonner, dalla loc. ''a ban doner'' che significa "lasciare del tutto libero". (sec. XII) Ricordo che la prima volta che cercai l'etimologia di questa parola, rimasi perplessa. Come poteva l'abbandono essere collegato alla libertà? A oggi la risposta mi sembra ovvia, ma vorrei potessimo comprenderla insieme con una serie di domande'' si legge nel libro.
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Simona ha insegnato che abbandono significa un’opportunità di riscrivere la propria vita in un modo diverso partendo dalla considerazione che ''il mio destino era di essere qui e fare quello che ho fatto sinora''. Abbandono è collegato alla libertà perché, per risolvere i problemi dentro di sé, secondo Simona, non è sempre fondamentale conoscere le origini: tutte le risposte sono già dentro di noi e anche gli eventi vanno vissuti, nel bene e nel male. Infine, un altro suggerimento, rivolto alle famiglie adottive, è stato quello di non creare troppe aspettative sulla famiglia di origine, insegnando a non idealizzare: Simona ha scoperto di non assomigliare a sua madre biologica e non ha ricevuto risposte alla domanda sul perché è stata abbandonata.
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Simona si è posta domande importanti, dandosi una risposta che l’ha portata a una maggiore consapevolezza espressa anche nel libro e raccontata al pubblico presente in sala. 
''Libroforum'' proseguirà il prossimo mese: venerdì 12 aprile, Claudia Roffino sarà ospite presso Peregolibri a Barzanò per presentare il suo libro ''Una vita in dono''.
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M.Mau.
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