Lecco: Gino Cecchettin parla agli studenti, 'pensate alle cose belle'

«La vita è breve, non sprecatela. Fate quello che vi piace, non scegliete una scuola solo perché la fanno i vostri amici. Se è la vostra strada che sceglierete sarà quella che vi porta più lontano. E con minore fatica». Così il padre di Giulia Cecchin, la studentessa ventiduenne uccisa dal fidanzato nel novembre dell’anno scorso e la cui vicenda aveva avuto una risonanza incredibili rispetto ad altri femminicidi scuotendo l’Italia intera.
Gino Cecchettin ha parlato agli studenti di alcune scuole lecchesi in un incontro organizzato nell’ambito della rassegna “Leggermente”.
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Gino Cecchettin

Presenti ragazzi di terza media e delle superiori di “Ticozzi” e “Stoppani”, del Collegio “Volta” e dell’istituto “Maria Ausiliatrice”, dell’istituto “Parini”.  L’occasione era la presentazione del libro “Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia”, scritto in collaborazione con Marco Franzoso e pubblicato da “Rizzoli”.
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Sul palco del Cenacolo francescano di Lecco anche il responsabile della neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza dell’Azienda socio sanitaria lecchese, Ottavio Martinelli. A condurre l’incontro, la giornalista Eleonora Marchiafava.
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Il libro – ha spiegato lo stesso Cecchettin – è nato per più di un motivo: «Prima di tutto, come regalo a una figlia speciale. Dopo la sua morte, mi sono sentito incompiuto come genitore: non potevo più parlarle… E allora mi sono messo a scriverle lettere. Ma ho anche pensato ad altri genitori che stavano vivendo la stessa situazione e magari non lo capiscono, come non l’ho capito io, non l’hanno capito gli amici di Giulia, non l’ha capito la stessa Giulia. Per una volta, faccio come Giulia: mi impegno nel sociale. Non l’avevo mai fatto. Certo, non ero insensibile: compravo anch’io la pianta per la ricerca contro il cancro o l’ovetto per altre iniziative benefiche, ma non mi sono mai impegnato nel volontariato». Scaturisce da qui la decisione di creare una fondazione, alla quale sarà appunto destinato il ricavato della vendita del libro, con lo scopo di raccogliere fondi per aiutare associazioni che si occupano della violenza di genere, per finanziare borse di studio e costituire team di esperti (psicologi, criminologi, psico-pedagogisti) per fare formazioni nelle scuole.
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Cecchettin con Eleonora Marchiafava

Se inizialmente lo scrivere è stato una forma di terapia, a dare la spinta decisiva è stato l’incontro con lo scrittore Marco Franzoso: «E’ successo subito dopo il funerale di Giulia. In quei giorni, il campanello suonava due volte ogni quarto d’ora. Eravamo a casa io e gli altri miei figli, Elena e Daniele, a chiederci cosa fare. E il campanello ci interrompeva, ogni volta: din don, din don…. Una donna che ci portava un fiore, un’altra con una torta, tutti gesti graditi, come gli amici di Giulia con un pensiero per lei, un fiore, ma sono arrivati anche astrologi, medium, curatori e poi scrittori, giornalisti. Anche Franzoso si è presentato come scrittore e mi sono detto “no, un altro….”. Ma è stato il suo modo di presentarsi che mi ha colpito, quasi timido, e mi ha dato un sostegno, un supporto e così è nata la collaborazione: prima, non sapevo se avrei scritto un libro, scrivevo delle cose semplicemente per buttar fuori l’anima….».
Perché a quella porta suonavano anche donne in difficoltà, donne vittime di violenza da parte del compagno: «In questi mesi ne abbiamo aiutate tante, mettendole in contatto con i centri antiviolenza».
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Ancora oggi, ogni giorno «penso a Giulia più volte, ieri ero a Milano e la vedevo dappertutto, perché io sono solo un piccolo essere umano che non ha risposte per tutto. E’ successo e l’unica cosa che posso fare è aiutare qualcuno a non fare la fine di Giulia, non pensare al male, ma al bene». Ed è proprio questo il messaggio lanciato ai ragazzi: «Nei momenti di rabbia o si reagisce in maniera violenta verso l’esterno o si tiene tutto dentro e si brucia. Mi sono detto no, mi sono detto che in quei momenti debbo pensare ad altro, pensare a Giulia, pensare alle cose belle, questo mi ha aiutato. Così per le critiche: ne riceviamo tutti i giorni. Non pensateci. Pensate alle cose belle. Anche al bullo di turno: non pensiamoci. Siamo noi che gli diamo importanza: non facciamolo».
Pensare alle cose belle, «come Giulia che era l’emblema dell’amore. Tornavi dal lavoro, magari stressato, affaticato e lei ti accoglieva con la parolina giusta. Un “ciao papino” detto che un tono di voce che ti tranquillizzava. Ti comunicava tutto quello che di bello era capitato durante il giorno. Ti diceva solo il bello. Il brutto se lo teneva per sé. Trovava il bello in ogni cosa, per quanto anche lei avesse attraversato momenti difficili. E viveva la sua vita al netto di quello che dicevano gli altri, viveva come si sentiva di vivere. Prendendosi anche cura degli altri. Alle superiori, i professori le chiesero di aiutare una ragazza di prima in difficoltà per diversi motivi. Giulia se ne è presa cura, dopo sei mesi di tutoraggio, quella ragazza ha ritrovato fiducia. Ecco, a volte dovremmo rinunciare a qualcosa di nostro per metterci nei panni di chi ci sta di fronte».
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Ottaviano Martinelli
Dall’esperienza e dalla vita di Giulia lo sguardo si è allargato ai problemi dell’adolescenza e dei giovani, al cosiddetto disagio giovanile: ecco dunque spiegata la presenza di Martinelli che ha invitato i ragazzi a non sentirsi in difficoltà a parlare con lo psicologo, una figura che ormai c’è in tutte le scuole, o al servizio di ascolto “Quindici-Ventiquattro” avviato al centro civico “Pertini” di Germanedo e rivolto appunto ai giovani tra i 15 e i 24 anni. Allo studio tra l’altro c’è ora un altro sportello rivolto alla fascia di età tra i 10 e i 14 anni, quella della preadolescenza. E infine un invito agli stessi ragazzi, oltre che a genitori e insegnanti, a prestare attenzione a qualsiasi comportamento che possa essere un segnale di disagio così di poterlo affrontare per tempo.
D.C.
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