Calolzio: ucciso per una sigaretta? 1^ udienza per l'omicidio in stazione. Chiesta (e autorizzata) la perizia per l'imputato

Ammazzato per una sigaretta. La Procura ritene sia questo il “futile motivo” all'origine dell'assassinio, il 29 agosto dello scorso anno, di Malcom Mazou Darga, il calolziese, cresciuto a Airuno, attinto da più coltellate sulla banchina della stazione. Uno dei fendenti l'ha raggiunto al cuore, provocandogli una ferita a tutto spessore ad un ventricolo, l'altro gli ha tranciato per tre quarti la parete dell'arteria femorale. Lo straniero è morto per uno shock misto, cardiogeno e emorragico, nonostante le “manovre resuscitative” - e dunque di rianimazione avanzata – messe in atto dai sanitari all'arrivo all'ospedale Manzoni. Aveva solo 23 anni. 
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La vittima e il luogo dell'omicidio
Per la sua uccisione – con tutte le fasi dell'aggressione riprese dalle telecamere del circuito di videosorveglianza della stazione ferroviaria di Calolzio e dalla telecamere montate a bordo dei treni in transito quel pomeriggio per lo scalo del capoluogo della Val San Martino, poi elaborate in un unico filmato dall'ingegnere nominato dalla Procura – quest'oggi al cospetto della Corte d'Assise di Como si è aperto il processo a carico del lecchese Haruna Guebre. Due anni più grande della vittima, anch'egli originario del Burkina Faso, l'imputato è stato presentato come affetto non solo da un disturbo della personalità mai trattato, ma anche da una acclarata tossicodipendenza dovuta all'abuso, fin dall'adolescenza, di cannabis quale auto-medicamento per tenere a bada rabbia e frustrazione, dal dottor Giuseppe Giunta, teste della difesa. 
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Su accordo delle parti – con la pubblica accusa sostenuta dal sostituto procuratore Chiara Di Francesco – l'istruttoria si è aperta infatti introducendo lo psichiatra citato dai legali del presunto assassino, gli avvocati Marilena e Ilaria Guglielmana. Il medico ha così anticipato richiesta di sottoporre il giovanotto a perizia, per indagare la sua capacità di intendere e volere al momento della commissione dell'omicidio a lui ascritto. Il “consulente” del pool difensivo non parrebbe aver infatti dubbi nel sostenere come quel drammatico 29 agosto tale capacità di Haruna Guebre fosse “scemata”. Una convinzione maturata incontrando, nei giorni scorsi, il ragazzo presso il carcere di Monza, dove lo stesso è ristretto dal giorno successivo all'omicidio, dopo essere stato rintracciato a casa della fidanzata a Oggiono. “Si tratta di una persona in difficoltà, soffre per la situazione in cui si trova: si sente molto depresso e in colpa perché non si aspettava che il suo gesto avesse questo esito” ha detto Giunta, parlando del 25enne, tracciandone poi sinteticamente il vissuto. Guebre – presente personalmente in Aula, sorvegliato a vista dalla polizia penitenziaria in quanto ritenuto a rischio fuga – sarebbe arrivato in Italia da ragazzino, dieci anni fa, per raggiungere il padre, venendo così separato dalla madre, mai più rivista. Inserito in prima media, pur essendo più grande dei compagni, avrebbe avuto importanti difficoltà ad inserirsi tanto a scuola tanto nella sua “nuova” famiglia, venendo ripetutamente sospeso in quanto irrequieto e entrando in conflitto con i parenti, specie con la compagna del papà. 
Uniche “ancore”, per lui, una fidanzata – con la quale parrebbe aver vissuto un anno in Belgio prima di tornare in Italia – e un buon lavoro in fabbrica. Pur restando “schiavo di questa sostanza” ha aggiunto Giunta in relazione alla cannabis, usata “per cercare di calmarsi”.
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Ascoltata tale “relazione”, la Corte – presieduta dal dottor Carlo Cecchetti, presidente della sezione penale del Tribunale di Como, affiancato anche da giudici popolari – si è riservata sulla richiesta di perizia avanzata dalla difesa, decidendo poi in coda all'audizione di tutti i testi previsti per la giornata odierna e dunque il dottor Luca Taiana, l'anatomopatologo che ha effettuato l'autopsia sul corpo della vittima e gli operanti che si sono occupati della vicenda.
La perizia si farà. E' stata disposta dalla Corte, superando l'opposizione della dottoressa Di Francesco. E dalla stessa dipenderà dunque l'esito del procedimento. 
Nel mentre, sono già stati messi alcuni paletti nella narrazione dell'accaduto. Haruna Guebre, finito il turno di lavoro in una fabbrica di Calolzio, quel pomeriggio – come cristallizzato nei filmati prodotti agli atti –  con un collega si è portato alla stazione dove ha poi raggiunto Malcom Mazou Darga sulla banchina dei binari 2 e 3. 
Dopo un diverbio durato qualche istante – ingenerato come anticipato forse dalla richiesta di una sigaretta  - sarebbe scattato l'accoltellamento. Il tutto a poca distanza, di fatto, da due agenti della Polfer – in servizio – in procinto di salire sul treno che lì avrebbe ricondotti a Lecco. Ed è stato dunque l'ispettore Mauro Artusi il primo a prestare soccorso al 23enne. Drammatica l'interlocuzione tra i due, riferita in Aula dal poliziotto. “Sto morendo, sto morendo” avrebbe ripetuto lo straniero, perdendo copiosamente sangue da una gamba. “Non muori” gli avrebbe assicurato la divisa, tamponando disperatamente con le proprie mani la ferita, in attesa dell'arrivo del personale sanitario. 
“Mio cugino”, l'unica risposta data dal ragazzo all'operante per spiegare cosa fosse successo, prima di perdere i sensi, per poi essere dichiarato morto, in ospedale, alle 15.33.
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Essenziale, come emerso dalle testimonianze degli operatori della Questura chiamati a deporre dal PM,  per giungere all'identificazione dell'odierno imputato, le dichiarazioni rese dal collega che lo aveva accompagnato in stazione che hanno “guidato” - previo passaggio con il datore di lavoro - la Squadra Mobile poi a Oggiono, a casa della fidanzata di Haruna Guebre, dove sono stati trovati abiti compatibili con quelli indossati dall'assassino nonché una “cassaforte” contenente dosi di stupefacente, mini cellulari e diverse sim (anche straniere) nonché contante per 4.300 euro.
Non è invece saltato fuori il coltello, con lama presumibilmente di 10-12 centimetri ritenuto essere l'arma del delitto. Vi è “traccia”, però, nello smartphone del 25enne. Ha scovato infatti una foto – contenuta in file datati 23 agosto - di un utensile compatibile, l'ingegner nominato dalla Procura di esaminare i cellulari posti in sequestro. E' stato proprio il consulente tecnico – escusso in coda all'udienza odierna – ad attribuire alla vittima il “ruolo” di acquirente abituale di stupefacente e all'imputato quello di “pusher”, alla luce delle conversazioni estrapolate dai loro dispositivi. Conversazioni che, però, ad esclusione di pochissimi messaggi via Instagram, non intercorrono mai tra i due, dettaglio che lascerebbe pensare che il pomeriggio dell'omicidio i due non si fossero dati appuntamento. Riportando dunque al delitto d'impeto, con il coltello, tenuto nello zainetto da Guebre estratto solo dopo il “battibecco” per la sigaretta. Come già in fase d'indagine, anche in Aula, chiave – per la lettura dell'accaduto – sarà probabilmente la deposizione del collega dell'assassino, prevista per la prossima udienza.
La causa è stata aggiornata al prossimo 8 maggio.
A.M.
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