I luoghi della Prima Guerra Mondiale in Provincia di Lecco/1: Forte Montecchio Nord a Colico, pronto a fermare l'invasore
Alle 3.30 del 24 maggio 1915, un lunedì, le truppe italiane oltrepassarono il confine italo-austriaco, puntando verso le «terre irredente» del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia.
Accompagnata dal proclama di Re Vittorio Emanuele - “SOLDATI DI TERRA E DI MARE! L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata” – anche l’Italia si tuffa nel baratro della Prima Guerra Mondiale.
Un’apocalisse che costò la vita a 16 milioni di vittime in tutta Europa, 6000 al giorno. I morti italiani furono 1,24 milioni, 651 mila militari e 589 mila civili.
Abbiamo deciso così di celebrare il centenario dall’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale con un piccolo reportage, una sorta di pellegrinaggio laico, attraverso i luoghi della Provincia di Lecco che ancora oggi testimoniano quelle terribili vicende.
Il nostro viaggio parte da Colico: la prima tappa del nostro reportage non poteva che essere il Forte di Montecchio Nord.
E’ una domenica di inizio maggio insolitamente grigia quella che ci accompagna alla visita della fortificazione: le nubi coprono le cime del Legnone e del Legnoncino e una fitta nebbiolina aleggia silenziosa sulla distesa del Pian di Spagna.
Lasciamo la macchina non lontano dalla ferrovia e, dopo pochi minuti, eccoci di fronte agli impressionanti cancelli d’ingresso del forte.
Di colpo dimentichiamo la ss36 che abbiamo percorso per arrivare fin qui, le industrie e i capannoni del fondo valle, i turisti in coda per raggiungere la Valtellina, gli smartphone nelle nostre tasche, e ci sembra invece di respirare un’ epoca fatta di fermenti nazionalistici e interventisti, sprofondati poi nell’abisso di milioni di morti.
Da allora il Forte domina l’alto Lario, silenzioso, con le sue 4 bocche – i 4 grossi cannoni – ancora puntati verso la Svizzera e la Valtellina.
La fortezza è solo una delle grandi opere fortificate concepite e realizzate dal Regno d’Italia a protezione della cosiddetta ‘’Frontera Nord’’, contro un eventuale possibile attacco in forze attraverso la Confederazione Elvetica proveniente dalla Germania o dall’Austria-ungheria.
I cannoni del forte era pronti infatti a bloccare l’imbocco della Valtellina e della Valchiavenna, dove si trova anche la Galleria di mina di San Fedele a Verceia, pensata per far esplodere e crollare i tunnel stradali e ferroviari della vecchia strada statale dello Spluga.
Costruito in pochi mesi tra il 1912 e il 1914 scavando nella roccia della collina, Montecchio Nord non partecipò mai ad azioni di guerra durante la Prima Guerra Mondiale.
Gli unici colpi – oltre a quelli di addestramento – che sparò furono al termine della Secondo Conflitto, quando i partigiani che ne assunsero il controllo cercarono di fermare la colonna tedesca che stava trasportando Mussolini verso la Svizzera.
Iniziamo la nostra visita, scoprendo piccoli momenti di vita quotidiana dei soldati di stanza: il campo di bocce, la cucina, le latrine, le 40 brandine con altrettanti armadietti per gli oggetti personali, il tecnologico sistema di pompe, vasche e lunghe condotte per rifornire d’acqua il complesso.
Ma lasciando la fureria e avvicinandoci alla batteria corazzata iniziamo a comprendere l’importanza strategica di questa fortezza.
Percorriamo in silenzio i 120 metri del corridoio blindato – con pareti spesse più di un metro – che ci porta verso la polveriera e i locali dove venivano caricate le granate pesanti fino a 50 chili.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la situazione precipita. Nel 1945 quel che resta della Repubblica Sociale valuta l’ipotesi di trasformare la Valtellina – e quindi anche il Montecchio - nell’ultimo baluardo di difesa fascista.
Un progetto che non andò mai in porto: tra il 25 e il 26 aprile vi fu uno scontro armato tra militari italiani e tedeschi all’interno del forte. Due soldati tedeschi morirono e la cannoniera venne consegnata ai partigiani.
Proseguiamo tra corridoi e scale verso la principale attrattiva del forte: l’enorme batteria corazzata. Diverse scritte sui muri accompagnano i nostri passi: “OGNI GUARDIA FRONTIERA VALE PER TRE”; “VIGILANTE ED INCROLLABILE”; ‘’DIFFIDA DI TUTTO, NON FIDARTI DI NESSUNO’’ si legge a caratteri cubitali.
4 enormi fauci di acciaio, pronte ad “addentare” il nemico, l’invasore. Ma, escluse le esercitazioni, spararono, come accennato, una sola volta, il 27 aprile 1945.
I partigiani cercarono infatti di colpire l’autocolonna tedesca che scortava il Duce sulla sponda orientale del Lario. I tedeschi avevano già consegnato Mussolini ai partigiani a Dongo e stavano cercando di raggiungere il confine Svizzero, ma furono bloccati dalle cinque cannonate sparate dal CLN. I colpi andarono in realtà a vuoto perché i tedeschi avevano distrutto le carte di tiro, necessarie per puntare correttamente i cannoni, ma intimorirono comunque il comandante dell’autocolonna Fallemayer, che raggiunse Colico con la bandiera bianca. Iniziarono così le trattative di pace che si conclusero con la resa firmata dai tedeschi presso l’albergo Isolabella.
Saliamo infine sul tetto del forte, il momento più spettacolare della visita.
Da qui si capisce l’importanza strategia della fortezza, che sorge su un piccolo colle proprio dove la Valtellina termina e l’Adda si fa improvvisamente lago. Poco lontano scorgiamo il Forte di Fuentes, una struttura seicentesca spagnola dove durante la prima guerra mondiale furono realizzati due appostamenti blindati per cannoni di medio calibro.
Fa impressione vedere le bocche di fuoco ancora puntate verso la Svizzera, contro i fantasmi del tempo. E, mentre guardiamo l’orizzonte, tra la nebbia si materializzano nella nostra mente quelle caserme e quelle trincee dove si è combattuto tra il fango e la neve, tombe fredde e solitarie per centinaia di migliaia di giovani soldati…
Accompagnata dal proclama di Re Vittorio Emanuele - “SOLDATI DI TERRA E DI MARE! L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata” – anche l’Italia si tuffa nel baratro della Prima Guerra Mondiale.
Un’apocalisse che costò la vita a 16 milioni di vittime in tutta Europa, 6000 al giorno. I morti italiani furono 1,24 milioni, 651 mila militari e 589 mila civili.
Abbiamo deciso così di celebrare il centenario dall’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale con un piccolo reportage, una sorta di pellegrinaggio laico, attraverso i luoghi della Provincia di Lecco che ancora oggi testimoniano quelle terribili vicende.
Il nostro viaggio parte da Colico: la prima tappa del nostro reportage non poteva che essere il Forte di Montecchio Nord.
E’ una domenica di inizio maggio insolitamente grigia quella che ci accompagna alla visita della fortificazione: le nubi coprono le cime del Legnone e del Legnoncino e una fitta nebbiolina aleggia silenziosa sulla distesa del Pian di Spagna.
Lasciamo la macchina non lontano dalla ferrovia e, dopo pochi minuti, eccoci di fronte agli impressionanti cancelli d’ingresso del forte.
Di colpo dimentichiamo la ss36 che abbiamo percorso per arrivare fin qui, le industrie e i capannoni del fondo valle, i turisti in coda per raggiungere la Valtellina, gli smartphone nelle nostre tasche, e ci sembra invece di respirare un’ epoca fatta di fermenti nazionalistici e interventisti, sprofondati poi nell’abisso di milioni di morti.
Da allora il Forte domina l’alto Lario, silenzioso, con le sue 4 bocche – i 4 grossi cannoni – ancora puntati verso la Svizzera e la Valtellina.
La fortezza è solo una delle grandi opere fortificate concepite e realizzate dal Regno d’Italia a protezione della cosiddetta ‘’Frontera Nord’’, contro un eventuale possibile attacco in forze attraverso la Confederazione Elvetica proveniente dalla Germania o dall’Austria-ungheria.
I cannoni del forte era pronti infatti a bloccare l’imbocco della Valtellina e della Valchiavenna, dove si trova anche la Galleria di mina di San Fedele a Verceia, pensata per far esplodere e crollare i tunnel stradali e ferroviari della vecchia strada statale dello Spluga.
Costruito in pochi mesi tra il 1912 e il 1914 scavando nella roccia della collina, Montecchio Nord non partecipò mai ad azioni di guerra durante la Prima Guerra Mondiale.
Gli unici colpi – oltre a quelli di addestramento – che sparò furono al termine della Secondo Conflitto, quando i partigiani che ne assunsero il controllo cercarono di fermare la colonna tedesca che stava trasportando Mussolini verso la Svizzera.
Iniziamo la nostra visita, scoprendo piccoli momenti di vita quotidiana dei soldati di stanza: il campo di bocce, la cucina, le latrine, le 40 brandine con altrettanti armadietti per gli oggetti personali, il tecnologico sistema di pompe, vasche e lunghe condotte per rifornire d’acqua il complesso.
Ma lasciando la fureria e avvicinandoci alla batteria corazzata iniziamo a comprendere l’importanza strategica di questa fortezza.
Percorriamo in silenzio i 120 metri del corridoio blindato – con pareti spesse più di un metro – che ci porta verso la polveriera e i locali dove venivano caricate le granate pesanti fino a 50 chili.
Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 la situazione precipita. Nel 1945 quel che resta della Repubblica Sociale valuta l’ipotesi di trasformare la Valtellina – e quindi anche il Montecchio - nell’ultimo baluardo di difesa fascista.
Un progetto che non andò mai in porto: tra il 25 e il 26 aprile vi fu uno scontro armato tra militari italiani e tedeschi all’interno del forte. Due soldati tedeschi morirono e la cannoniera venne consegnata ai partigiani.
Proseguiamo tra corridoi e scale verso la principale attrattiva del forte: l’enorme batteria corazzata. Diverse scritte sui muri accompagnano i nostri passi: “OGNI GUARDIA FRONTIERA VALE PER TRE”; “VIGILANTE ED INCROLLABILE”; ‘’DIFFIDA DI TUTTO, NON FIDARTI DI NESSUNO’’ si legge a caratteri cubitali.
4 enormi fauci di acciaio, pronte ad “addentare” il nemico, l’invasore. Ma, escluse le esercitazioni, spararono, come accennato, una sola volta, il 27 aprile 1945.
I partigiani cercarono infatti di colpire l’autocolonna tedesca che scortava il Duce sulla sponda orientale del Lario. I tedeschi avevano già consegnato Mussolini ai partigiani a Dongo e stavano cercando di raggiungere il confine Svizzero, ma furono bloccati dalle cinque cannonate sparate dal CLN. I colpi andarono in realtà a vuoto perché i tedeschi avevano distrutto le carte di tiro, necessarie per puntare correttamente i cannoni, ma intimorirono comunque il comandante dell’autocolonna Fallemayer, che raggiunse Colico con la bandiera bianca. Iniziarono così le trattative di pace che si conclusero con la resa firmata dai tedeschi presso l’albergo Isolabella.
Saliamo infine sul tetto del forte, il momento più spettacolare della visita.
Da qui si capisce l’importanza strategia della fortezza, che sorge su un piccolo colle proprio dove la Valtellina termina e l’Adda si fa improvvisamente lago. Poco lontano scorgiamo il Forte di Fuentes, una struttura seicentesca spagnola dove durante la prima guerra mondiale furono realizzati due appostamenti blindati per cannoni di medio calibro.
Fa impressione vedere le bocche di fuoco ancora puntate verso la Svizzera, contro i fantasmi del tempo. E, mentre guardiamo l’orizzonte, tra la nebbia si materializzano nella nostra mente quelle caserme e quelle trincee dove si è combattuto tra il fango e la neve, tombe fredde e solitarie per centinaia di migliaia di giovani soldati…
Paolo Valsecchi