In viaggio a tempo indeterminato/379: dentro lo slum più grande di tutta l'Asia

Il sultano e le formiche.
Non credo esista immagine migliore per descrivere una città complessa e contraddittoria come Mumbai.
L'abbiamo lasciata alla fine del viaggio, come si fa con le cose preziose o con quelle che hai paura di affrontare.
E a posteriori posso dire per fortuna!
È stata un colpo ben ferrato. Di quelli per cui non sarai mai abbastanza pronto, nonostante tutto l'allenamento.
Ma andiamo per ordine perché di caos a Mumbai ce n'è già abbastanza.
Abbiamo iniziato a esplorare la città dalla "casa del sultano", cioè dal quartiere ricco, moderno e alla moda di Mumbai.
I palazzi qui toccano il cielo e lo fanno in modo arrogante, come a voler dire "guardatemi, io e posso e voi no".
Uno di loro, in particolare, non si limita a dirlo ma lo urla a tutta la città, anzi a tutta l'India.
Sì tratta di "Antilla" soprannominata la "Dream House", la casa dei sogni. È la più costosa residenza privata al mondo, testa a testa con Buckingham Palace. Costruirla è costato 2 miliardi di dollari, ma oggi ne vale già più di 4. È una struttura di 27 piani (173 metri d'altezza) in acciaio e vetro. All'interno ci sono appartamenti, templi, piscine, cinema, piste da ballo e tre eliporti. Ci lavorano circa 600 persone a tempo pieno!
Appartiene all'uomo più ricco dell'India, Mukesh Ambani, soprannominato il "re del ferro" perché è il presidente e amministratore delegato di un gruppo che opera principalmente nella raffinazione e nella petrolchimica.
Posso essere sincera? Nella mia immaginazione, la famiglia più ricca dell'India vive in una residenza "da sultano", con fontane, giardini immensi, enormi porte e archi d'accesso. Questo palazzo, invece, è sicuramente moderno ma con quelle suo forme squadrate non stonerebbe nella periferia degradata di una grande città italiana.
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Quello che però la mia immaginazione non calcolava è che da 173 metri di altezza domini la città, dal basso del palazzo di un sultano forse no.
A ripensarci, però, l'idea del grattacielo non è male perché in un certo senso tiene con i piedi per terra anche l'uomo più ricco dell'India.
Sì perché da lassù la vista è inevitabilmente sull'altra Mumbai. Quella più povera, più densamente popolata, meno alla moda, più "alla giornata".
In una città con centri commerciali che sembrano usciti da una Dubai qualunque, il 60% della popolazione vive in uno slum. 
Per slum o baraccopoli, si intende (cito la definizione della Treccani) "un quartiere di abitazione, per solito urbano, poverissimo, ad alta densità, caratterizzato da costruzioni malsane e cadenti, baracche provvisorie, e da mancanza di attrezzature di servizio sociale."
È dove vivono le "formiche", per tornare alla frase iniziale.
A Mumbai gli affitti sono molto cari, arrivano a 500 dollari al mese per un monolocale e sono impossibili da sostenere per chi ha uno stipendio medio. Quindi le persone sono costrette ad affittare un'abitazione dentro lo slum, dove una baracca è disponibile per pochi dollari.
Nonostante la svariata presenza di insediamenti di questo genere, lo slum più famoso e ormai iconico di Mumbai è quello di Dharavi. 
Questa città nella città, conta ufficialmente oltre un milione di abitanti, anche se le cifre non ufficiali parlano di 2 milioni abbondanti.
Si tratta dello slum più grande di tutta l’Asia, uno dei più grandi del mondo.
Tra le sue viette strette e anguste hanno girato diversi film, tra questi "The milionaire" è sicuramente uno dei più famosi.

Eravamo molto in dubbio se andare o meno a visitare lo slum di Dharavi. Sicuramente non volevamo farlo per pietismo o con lo spirito di chi va a vedere uno zoo. Il rischio purtroppo, in queste situazioni, è davvero dietro l'angolo. 
L'esercizio che abbiamo provato a fare è lo stesso che facciamo da anni. Abbiamo cercato di mettere da parte le nostre convinzioni, il nostro concetto di giusto/sbagliato, tutti i nostri pregiudizi. E con nostri non intendo miei e di Paolo, ma della cultura in cui siamo cresciuti e che inevitabilmente ci ha porta a valutare le situazioni con un metro di giudizio "occidentalocentrico". (Non so se esiste questa parola, ma credo renda bene l'idea).
È un esercizio che facciamo ormai da 7 anni questo e a volte ci riesce bene, altre è più difficile.
A Dharavi, però, ci siamo quasi stupiti di noi stessi. Come se la nostra testa, in questi mesi in India, fosse ormai abituata a quello che ci circondava. È strano da dire, me ne rendo conto, ma in quelle strade anguste e buie, con i bambini che giocavano con le bottiglie di plastica vuote, l'odore delle fogne e il cielo che sembrava più piccolo, lì abbiamo apprezzato davvero la resilienza umana. La forza e la dignità di chi ha lasciato il suo villaggio in campagna per guadagnare qualcosa, quel poco che gli permette di mantenere la famiglia.
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Ma come si è arrivati alla baraccopoli più grande dell'Asia?
Prima dell’arrivo degli inglesi, Dharavi era una delle tante isole che costituivano Mumbai.
Tra fine ottocento e inizio novecento si decise di costruire le principali industrie di lavorazione delle pelli nell'area dell'attuale slum. Il progetto era quello di concentrare in un’unica zona fuori dalla città, il forte inquinamento che ne derivava. La lavorazione delle pelli era considerata una mansione molto umile, quasi “impura”, e per questo motivo affidata alle caste più basse della popolazione.
Furono proprio i lavoratori delle concerie che, per stare vicini al posto di lavoro, costruirono le prime baracche di lamiera.
Negli anni successivi, le migrazioni dalle aree rurali fecero crescere la popolazione dello slum a ritmi insostenibili, che sfuggirono a qualsiasi tentativo di controllo e regolamentazione da parte del governo. La città di Mumbai continuava a crescere e le opportunità di lavoro si moltiplicavano attirando sempre più persone.
Passeggiare per qualche ora dentro Dharavi ci ha permesso di vedere le attività che tengono in piedi l'economia dello slum: riciclo della plastica, produzione di vestiti, creazione di oggetti in terracotta, lavorazione delle pelli.
Ma a colpirci e affondarci non è stato renderci conto che i vestiti che nei negozi si trovano a centinaia di euro qui vengono venduti a pochi centesimi. Quello ormai lo si sa, non è una grande novità.
Quello che più ci ha tolto il sonno la notte è stata la disparità enorme dentro questa città. E soprattutto la consapevolezza che Mumbai non è un'eccezione ma è una regola.
C'è chi guarda il mondo da 173 metri di altezza e chi dalle lamiere di uno slum. Il sultano e le formiche, a Mumbai come nel mondo.
Angela (e Paolo)
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