Lecco, Giovani Protagonisti: l'esempio della World House di Rondine, per il dialogo con il 'nemico'

La Fondazione Sinderesi, che quest’anno festeggia i dieci anni dalla sua nascita, nella serata di ieri, ha proposto, in collaborazione con il Comune di Lecco, l’incontro “Trasformare i conflitti per costruire la pace”, aperto alla cittadinanza e conclusione dell’ottavo percorso di formazione etica rivolto alle scuole secondarie di secondo grado, “Giovani Protagonisti”. 
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La conferenza è stata ospitata dall’aula magna del Politecnico di Milano – polo territoriale di Lecco. Dopo il saluto del presidente della Fondazione Sinderesi, mons. Samuele Sangalli, in collegamento da Roma, ha preso la parola il sindaco Mauro Gattinoni, che ha ringraziato relatori e pubblico, sottolineando l’importanza della diversità come normalità e valore, ricordando il percorso di giustizia riparativa avviato da anni a Lecco, dove il dialogo tra vittime e colpevoli contribuisce alla costruzione della pace. 
A moderare l’incontro è stata la giornalista Chiara Zappa, che ha guidato il dialogo con i tre ospiti: Zora e Adelina, due giovani studentesse della World House di Rondine, Cittadella della Pace e Franco Vaccari, psicologo, docente e fondatore del progetto, una esperienza coraggiosa e pionieristica di un luogo dove giovani che appartengono a popoli divisi da pregiudizi, odio reciproco e guerre, imparano a dialogare con il diverso.
Alla domanda su come sia nata Rondine, Vaccari ha raccontato che tutto è cominciato con un gruppo di amici poco più che ventenni, pieni di sogni e desiderosi di impegnarsi per i poveri e per la pace. Il vescovo dell’epoca, rispondendo a una loro richiesta, assegnò loro un borgo abbandonato, Rondine, da riabitare e ricostruire. Il progetto iniziale non partì mai, ma da quegli incontri e da quell’inizio nacquero esperienze che li portarono a impegnarsi concretamente per la pace. “Non puoi stare sul divano ad aspettare che qualcuno ti dica cosa fare, ma non puoi nemmeno sognare in solitudine ed essere ostinato nel tuo sogno: devi restare in relazione con gli altri”, ha ricordato Vaccari. Successivamente accolsero a Rondine tre giovani ceceni e due russi, per farli incontrare e dialogare durante la guerra. Cercarono di mostrare loro che erano entrambi vittime e sembrava che si fossero convinti di essere in pace. Con un sorriso Vaccari ha aggiunto però che i ceceni chiesero una seconda lavatrice: non volevano lavare le loro cose intime con quelle dei “nemici”. Si capì allora che occorreva trovare ceceni disposti a condividere anche la lavatrice. Vaccari li trovò. E da lì partì tutto. “La guerra sporca le coscienze dei ragazzi che nascono nei luoghi della guerra senza responsabilità”, ha affermato. “Si è nemici senza esserne responsabili”. 
Alla domanda sul metodo, Vaccari ha risposto che i giovani di Rondine dimostrano il loro coraggio proprio nell’accogliere la diversità dell’altro. Da questo nasce un conflitto, non una guerra, ma un conflitto interno, in cui ciascuno cerca di capire come relazionarsi con chi è diverso da loro. Hanno la possibilità di incontrarsi e raccontarsi senza maschere, condividendo successi e sconfitte. E non si parla solo di guerra, perché non c’è solo la guerra. A Rondine – rimarca - “c’è sempre festa”: i giovani vengono da tutto il mondo e hanno religioni diverse, e si celebrano le feste di tutti. Questi giovani non hanno prodotto la guerra, non ne sono responsabili: sono vittime, e imparano a confrontarsi tra loro. 
“L’amicizia non è un valore privato, ma un valore civile. Non è una cosa da tenere tra due persone, ma è l’anima della vita sociale e della politica”.
Vaccari ha parlato dell’amicizia che nasce a Rondine, ma anche delle amicizie in generale. E aggiunge che per costruire la pace bisogna sminare i propri cuori, liberarsi dalle mine della guerra che ciascuno può portare dentro di sé.
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E’ iniziata quindi la prima testimonianza, quella di Zora, che viene dall’Azerbaijan. Ha raccontato del conflitto con l’Armenia, della sua famiglia sfollata e della sua infanzia segnata dai racconti su quanto gli armeni fossero crudeli per averli colpiti e privati del loro territorio. I suoi amici venivano chiamati a combattere e lei era terrorizzata. A Rondine ha stretto un’amicizia con alcune ragazze armene, che le hanno persino organizzato una festa per il compleanno. Alla fine della sua riflessione, Zora sostiene che, se le chiedessero se preferirebbe riavere le terre che il suo popolo ha perso o la pace, lei risponderebbe che nel mondo c’è abbastanza spazio per tutti, e sceglierebbe la pace e l’amore. Tutto questo, grazie a Rondine. 
Ha preso poi la parola Adelina, dal Kosovo. Ha ricordato di come da bambina si allontanasse ogni volta che i suoi genitori parlavano della guerra, e osserva che molte persone che parlano di guerra iniziano sempre con “i miei genitori mi hanno detto..”. A Rondine ha vissuto un’esperienza intensa, non adatta a tutti, che le ha permesso di conoscere la storia del suo paese attraverso gli occhi degli altri. Ha così confessato di voler essere come quelle persone che hanno potuto vedere e sapere, ma di non voler conservare ricordi fatti di foto, rumori o dolore: vuole un’altra memoria. Ha “presentato” anche la sua “nemica-amica” Tania, che un giorno le ha chiesto scusa per ciò che il suo popolo ha fatto ai kosovari. Entrambe, innocenti, si sono chieste scusa per qualcosa che non era responsabilità loro. 
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Prima di concludere la serata, Vaccari ha coinvolto direttamente anche il pubblico con una domanda provocatoria: “Secondo chi, l’umanità può vivere senza guerra?”. Solo tre persone hanno alzato la mano. Vaccari le ha ringraziate, poi ha guardato il resto della sala dicendo ai presenti: “Siete qui perché volete la fine della guerra, ma non credete che sia possibile”. E ha aggiunto: “Avete mai conquistato qualcosa senza crederci?”. Una domanda che è già una risposta: senza credere davvero nella pace, non possiamo nemmeno sperare che essa si realizzi. 
A chiudere l’incontro è stata Adelina che ha letto, con grande intensità, la sua prima poesia scritta in italiano. Un testo che mette a confronto il modo di vivere “normale” con quello di chi conosce la guerra. Con parole semplici e dirette, ha paragonato per esempio il fastidio causato dal rumore di un aspirapolvere con quello delle bombe. È una poesia cruda, reale, ma piena di sentimento, e la sua voce riesce a restituire tutto il peso e la speranza che porta con sé. 
Gloria Draghi
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